"Sigma Draconis" - читать интересную книгу автора (Arnason Eleanor)

Derek

Attraversammo a guado il fiume. Sull’altra sponda Nia trovò una pista. La seguimmo, inerpicandoci su per la scogliera e superandola, e arrivammo sulla pianura. Davanti a noi la pista conduceva verso l’orizzonte occidentale.

— Chi è stato a batterla? — domandai.

— Le donne. Quelle che portano i doni al Popolo dell’Ambra e riportano a casa altri doni. — Nia fece schioccare le redini. Il suo animale si lanciò in avanti. Il mio lo seguì e io cambiai posizione, cercando di mettermi comoda.

La giornata si fece torrida, non tradendo le aspettative. I nostri animali procedevano con passo lento verso occidente. Nia era silenziosa e io passai il tempo a osservare. Non c’era molto da vedere. La pianura era monotona, quasi priva di interesse. Il cielo era limpido e non vidi alcun animale all’infuori degli insetti.

A mezzogiorno ci fermammo e smontammo. Io feci i miei esercizi di stretching, poi bevvi un po’ d’acqua dalla ghirba di Nia. L’acqua era calda e aveva un gusto strano.

— Come ti senti? — mi domandò Nia.

— Indolenzita. Ma posso proseguire.

— È una fortuna. — Bevve e si asciugò la bocca con il dorso della mano. — Anch’io sono dolorante. Sono anni che non cavalco. Ci fermeremo presto questa sera.

Nel pomeriggio inoltrato ci fermammo presso un basso monticello. Smontai di sella, mi stiracchiai e gemetti.

— Mi occuperò io degli animali — disse Nia.

— Ne sei sicura?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — È evidente che tu non sai niente di cornacurve.

Feci il gesto dell’assenso e salii sul monticello. Nel cielo sopra di me un unico uccello si muoveva in un ampio e lento cerchio. Feci la mia ginnastica, poi meditai. Ero talmente irrigidita che riuscii a stento a mettermi nella posizione del semiloto.

Nia finì di accudire gli animali e si allontanò gironzolando. Tornò con le braccia piene di roba. Era rotonda, grigia e friabile.

— Sterco — mi spiegò. — È rimasto dalla primavera, quando sono passate le mandrie.

Accese un fuoco, usando lo sterco come combustibile. Cenammo con pane e un pezzo di carne che aveva l’aspetto e il gusto del cuoio. Finito di mangiare, restammo sedute a osservare il fuoco.

Mi informai sulla sua caviglia.

— Fa male. E anche le altre ferite. — Fece una breve pausa. — Mi sono sentita peggio. Sopravviverò.

La parola che usò significava "durare", "mantenersi", "restare utilizzabile", "non esaurirsi".

— Bene. — Lanciai un’occhiata al monticello. Non mi dava l’idea di essere naturale. Sembrava artificiale. Che cosa ci faceva lì da solo nel bel mezzo della pianura? — Da chi è stato fatto? — Lo indicai col dito.

— Non lo so. Non è opera di animali. È troppo grande. Forse l’hanno fatto delle donne. O dei demoni. Gli spiriti non costruiscono. — Sembrava disinteressata. Che la sua gente non avesse il senso della storia? Oppure Nia era soltanto stanca?

— Dove andremo? — m’informai.

Nia corrugò la fronte. — C’è un posto nel quale desideri andare?

— Un altro villaggio. Voglio imparare altre parole e usanze.

— Le popolazioni che vivono a ovest di qui viaggiano tutte e in questo momento i loro villaggi si trovano su a nord. Ma se andiamo sempre avanti dovremmo riuscire a incontrare il Popolo del Ferro quando torna verso sud. — Esitò. — Mi è venuto in mente che mi piacerebbe vedere i miei figli.

— Ma quelle persone ti hanno scacciata. Non è probabile che lo facciano di nuovo?

— Probabilmente lo farebbero, se arrivassi da loro da sola. Ma tu sei una straniera. Chi potrebbe mai essere più estraneo? E loro sanno, assai meglio del Popolo del Rame, ciò che è dovuto agli stranieri.

— Che cosa? — domandai.

Nia parve sorpresa. — Cibo. Un posto dove dormire. Aiuto, se è necessario. Racconti e doni. Non è mai corretto scacciare una straniera, a meno che non sia violenta.

— Ma è giusto scacciare un membro del proprio villaggio?

— Sì. Che danno può venire da qualcuno di passaggio? Se un’estranea di passaggio ha idee insolite, è una cosa prevedibile. Se si comporta in modo strano, se ne andrà comunque abbastanza presto. Ma se un’abitante del villaggio è pervertita, litigiosa o pazza… Ah! Questo è un problema serio!

Uno splendido ragionamento. Sorrisi.

— Tu stai mostrando i denti — osservò Nia. — Sei arrabbiata?

— No. La mia gente mostra i denti quando è contenta.

— Aiya! Il Popolo del Ferro ci lascerà sicuramente entrare!

Il giorno successivo fu uguale al primo, e il terzo giorno fu uguale al secondo. Il tempo si manteneva caldo e sereno. La pianura si estendeva sempre piatta e coperta di pseudo-erba, e neppure questa era cambiata. Restava alta circa un metro, verde, verdeazzurra e gialla. La forma predominante di vita animale erano gli insetti. Svolazzavano e ronzavano tutt’attorno a noi.

Come faceva la storia?

Un vescovo chiedeva a un biologo: "Che cosa ti hanno insegnato i tuoi studi sul Creatore?".

E il biologo rispondeva: "Che nutre un amore smodato per gli insetti".

Dopo quattro giorni ci imbattemmo in un nuovo tipo di vegetazione: una pianta di un verde brillante che sembrava erba o pseudo-erba, se non che era alta cinque metri. Costituiva un muro che si spingeva a nord e a sud fin dove l’occhio poteva arrivare.

— Qui c’è dell’acqua — disse Nia. — Questa roba cresce presso le rive dei fiumi.

Cavalcammo verso nord lungo quella barriera. Non c’era modo di attraversarla. Gli steli crescevano troppo vicini fra loro, e le foglie avevano bordi ruvidi.

— Tagliano — mi spiegò Nia. — Ecco quello che cercavo. — Tirò le redini dell’animale e indicò col dito. — Un sentiero.

Smontammo. Io mi lamentai come sempre, ma il dolore incominciava a diminuire. Nia s’incamminò lungo il sentiero. La seguii, conducendo il mio animale, che mi sollecitava. Doveva aver fiutato l’acqua. — Finiscila! — Diedi una pacca sul muso della creatura, che sbuffò.

— Fa’ silenzio — mi ordinò Nia. — Non si può mai dire che cosa stia in attesa vicino a un fiume.

La vegetazione finì. Ci trovavamo sulla riva del fiume. Di fronte a noi uno stretto rivolo serpeggiava su un ampio letto sabbioso. Sull’altra sponda cresceva ancora quell’erba enorme. Più a valle c’era una pozza d’acqua.

— Aiya! - esclamò Nia.

Nella pozza c’era un uomo. Era nudo ed era privo di pelliccia. La sua pelle era bruna, i lunghi capelli biondi. Sulla schiena aveva un tatuaggio: un complesso disegno geometrico. Raffigurava le forze cosmiche dentro e attorno la Balena Grigia. La balena, o meglio il disegno della balena, era il totem della sua capanna. Forse avrei dovuto usare la sua terminologia. Era il mandala della sua eco-nicchia.

Aveva una canna da pesca e la stava lanciando con tutta la sua consueta abilità.

— Ho una domanda per te — fece Nia. — Sai che cos’è quello?

— Una persona. Un mio amico.

Lui si guardò attorno e tirò su la lenza, poi si avvicinò sguazzando alla riva. La barba e i peli pubici erano di un bruno rossiccio. Sul torace e le braccia aveva le cicatrici dell’iniziazione. La canna da pesca che portava era fatta a mano. Era lunga, molto lunga, e priva di mulinello.

— Come va? — chiesi in inglese.

— La canna da pesca? Non molto bene. — Sorrise. — Ma ho dei pesci. — Posò a terra la canna. — Tu sei Nia — disse nel linguaggio dei doni. — Io sono Derek. Appartengo alla tribù degli Angelinos. La casa a cui appartengo è la casa de… — Esitò un momento. — Del grande pesce. Il nome che mi sono guadagnato è Colui-che-lotta-nel-mare. Ed è meglio che te lo dica, sono un uomo.

— L’avevo pensato — replicò Nia. — Benché sia difficile sentirsi sicuri di qualcosa quando si ha a che fare con persone così diverse. Sei santo? Come la Voce della Cascata? È per questo che sei nudo?

— No. Torno subito. — Si allontanò lungo il fiume, muovendosi rapidamente, e in un attimo sparì alla vista.

Nia mi guardò. — Non credevo davvero che ci fossero altre persone uguali a te. Credevo che fossi qualcosa di particolare, come i piccoli che hanno talvolta le nostre femmine. Hanno cinque gambe o due teste. Noi li uccidiamo, e la sciamana esegue cerimonie per scacciare la cattiva sorte.

Derek tornò con indosso un paio di jeans. Aveva i capelli tirati indietro e legati sulla nuca. Portava una collana fatta di conchiglie e frammenti d’osso e un ciondolo di metallo. Era lo stesso che portavo io, un registratore audiovisivo.

Come sempre aveva quel suo aspetto aggraziato e barbaro. Aveva una laurea in antropologia ed era ordinario presso l’Università di San Francisco, in permesso al momento, naturalmente. Un permesso piuttosto lungo. Non sarebbe stato di ritorno per altri 120 anni, come minimo.

— Adesso prendiamo i pesci. — Andò al fiume e tirò fuori uno spago sul quale erano infilati sei pesci: lunghi, sottili e di un grigio argenteo. Li tenne sollevati. I pesci si dimenavano e sbattevano la coda. — Voi occupatevi dei vostri animali. Io mi occuperò dei miei.

— Bene — disse Nia.

Quando tornammo, Derek stava già aprendo l’ultimo pesce. Vicino a lui ardeva un fuoco. I restanti pesci erano distesi in una fila ordinata su una roccia, sventrati.

— Abbiamo due scelte — disse. — Possiamo infilzarli su bastoncini e arrostirli oppure avvolgerli in foglie bagnate e cuocerli fra i carboni.

— Quale modo è più rapido?

Lui sorrise. — Arrostiti. Andate a tagliare dei bastoncini.

Ci voltammo e ci dirigemmo di nuovo verso l’erba enorme.

— Dà un sacco di ordini — disse Nia. — Chi crede di essere? Una sciamana?

— Ha un incarico permanente — risposi. — Questo gli dà sicurezza di sé. — Provai una fitta di invidia. Il mio passato accademico era assai meno brillante. Il lavoro che avevo lasciato non era fisso.

— Che cos’è? La parola che hai detto?

— Un incarico permanente. Significa che ha la possibilità di tenersi stretto quello che ha.

— È come gli uomini grandi e grossi fra la mia gente — osservò Nia. — Loro si tengono i loro territori e nessuno può farli recedere, finché non diventano vecchi.

— Credo che sia proprio così.

Ci procurammo i nostri bastoncini e tornammo presso il fuoco. Derek cucinò i pesci. Mangiammo. Dopo di che io dissi: — Tu non dovresti essere qui.

— Mi sentivo solo e da quanto Eddie mi ha detto su Nia, ho pensato che avrebbe potuto sopportare un uomo.

— Può darsi — dichiarò Nia. — Ma tu non sei come Enshi, e lui è stato l’unico uomo con il quale abbia mai passato del tempo.

Guardai Nia. Lei incominciò a leccarsi la parte interna della mano, raccogliendo quel che restava dell’olio di pesce. — Se la sua presenza ti disturba, gli dirò di andarsene.

Nia alzò lo sguardo. — No. Voglio imparare come cattura i pesci. Adesso vado a lavarmi. — Si alzò e si slacciò la cintura, poi si tolse la tunica. Nuda, s’incamminò verso il fiume. S’inginocchiò e si slacciò i sandali. La sua pelliccia splendeva come rame e i suoi movimenti erano disinvolti come quelli di Derek. No, mi sbagliavo. I suoi movimenti erano più vigorosi e meno aggraziati. Lei si alzò, si liberò con un calcio dei sandali ed entrò nell’acqua.

Il mio compagno si massaggiò il naso, che incominciava un po’ a spellarsi. — Pensavo, da ciò che ha detto prima, che la nudità non fosse del tutto appropriata. O questo si riferisce soltanto agli uomini? O forse è ammissibile svestirsi per fare il bagno, non importa chi ci sia in giro.

— Quando hai dei dubbi, chiedi.

— Una buona idea. — Si alzò in piedi. — Me la immaginavo come un’anziana donna severa. Una Madre Coraggio. Invece è bellissima. — La seguì fino alla riva del fiume.

Oh, no, pensai. Derek aveva una pessima fama. Il Don Giovanni di San Francisco. L’Amante Interstellare. Aveva attraversato l’intera nave come una fiamma divoratrice. C’erano perfino voci su di lui e la Ivanova, sebbene trovassi assai improbabile una tale combinazione. Lui rifiutava di dire se le voci corrispondessero a verità, e certamente io non avevo la faccia tosta di domandarlo a lei.

Una sera, dopo che avevamo finito di fare l’amore, gli avevo chiesto il perché di quella promiscuità sessuale. Senso di colpa, mi aveva risposto.

"Fra la mia gente ci si sposa giovani. Ho avuto una moglie. Aveva forse tredici anni, era sottile come un giunco con lunghi capelli bruni. I suoi occhi erano azzurri. L’ho abbandonata quando ho lasciato la mia gente. Non la tradirò mai. Non mi sistemerò mai con una donna di fuori."

Nia era immersa nell’acqua fino alla vita e sguazzava con le braccia. Derek la chiamò. Non riuscii a capire che cosa le disse. Lei rispose. Incominciarono a parlare. Nia si avvicinò di più a riva. Grazie al cielo eravamo a metà estate. Il periodo dell’accoppiamento era trascorso. Non era assolutamente possibile che Nia si interessasse a Derek. Nonostante ciò decisi di andare a raggiungerli. Udii Nia che diceva: — La mia gente pensa che sia vergognoso andare in giro senza vestiti. Ma alle donne del villaggio di Nahusai piace nuotare. Si lavano spesso. Loro sostengono che la sola vergogna è stare nudi quando c’è un uomo. O anche un ragazzo, poiché costoro crescono e diventano uomini. Ma io faccio le cose a modo mio. — Disse quest’ultima frase in tono di sfida. — Non faccio attenzione alle opinioni delle donne anziane. Faccio quello che penso sia giusto.

Derek sorrise, poi fece il gesto dell’approvazione. Nia andò più al largo e incominciò a lavarsi la schiena.

Nel pomeriggio sul tardi lui le fece vedere come si usava una canna da pesca. Nia non pescò niente. Mangiammo carne essicata per cena. Giunse la notte. C’erano stelle cadenti.

— Compaiono in questo periodo dell’anno — spiegò Nia. — Noi le chiamiamo le Frecce dell’Estate.

Derek mise altra legna sul fuoco. Mi addormentai e sognai di lui. Eravamo in una delle cabine di ricreazione sulla nave. Le pareti erano di un lucido bianco giallognolo. Derek era nudo e rideva. Aveva il pene eretto. Si protendeva verso di me. Mi svegliai. Alla mia destra, a una certa distanza, Nia russava, e Derek era disteso dall’altra parte del fuoco. Sentivo il suo respiro lento e profondo. Restai distesa lì per un po’ a osservare il cielo notturno, poi tornai a dormire.

L’indomani mattina Derek andò a pescare. Come esca usò un insetto locale. Somigliava a un bruco: grasso e verde, con numerose zampe. C’erano centinaia di quelle creature lungo il fiume. Si nutrivano dell’erba enorme. I pesci si nutrivano di loro, e noi ci nutrivamo dei pesci.

— E in queso modo comprendiamo la grande catena dell’esistenza — osservò Derek quando ebbe finito l’ultimo pezzo di pesce.

Nia appariva perplessa. Derek aveva parlato in inglese.

— Natura rossa nei denti e negli artigli — proseguì. — È un verso di Tennyson. Ha detto anche che noi saliamo sui gradini del nostro io morto verso cose più elevate. — Mi rivolse un ampio sorriso. — Un tempo ero affascinato dalla storia dell’Ovest, soprattutto dalla storia delle società industriali. Questo accadeva quando ho lasciato per la prima volta la mia gente. Pensavo: c’è un segreto qui, in Marx e in Tennyson e nelle grandi macchine. In seguito giunsi alla conclusione che aveva ragione la mia gente. È meglio essere vicini alla balena grigia e alla pianta del peyote. Ma a quel punto ero ormai abituato a sentirmi a mio agio. Che cosa facciamo adesso, Lixia?

— Viaggiamo verso ovest. Ci sono popolazioni sulla pianura. Nomadi. Nia sostiene che può trovarceli. Intendo fare tutto il lavoro di raccolta diretta di dati che mi sarà possibile. Voglio il mio nome dappertutto nel rapporto preliminare.

Lui sorrise. — C’è questa ambizione nella piccola Lixia?

— So quello che sono. Una ricercatrice di dati di prim’ordine. Ma non sono mai stata brava nelle stronzate accademiche. L’analisi. I giochetti teorici. Se mai dovrò arrivare da qualche parte, sarà sulla base di quello che faccio qui sul campo.

— Può darsi. Non c’è alcun dubbio sulla tua abilità nel raccogliere dati. Sei in grado di imparare una lingua più in fretta di chiunque altro che io conosca.

— Salvo Gregory.

Derek fece il gesto con cui riconosceva che potevo aver ragione. — Ma senti come parli. Tu dici "stronzate accademiche" e "giochetti teorici". Ciò lascia intendere un pregiudizio. Il rifiuto di teorizzare è, di per sé, una posizione teoretica, amor mio. Purtroppo per te, non è una posizione popolare. Dove saremmo senza i nostri sistemi, le nostre gerarchie di informazioni, le nostre analisi? I nostri punti di vista e la nostra etica?

Si alzò in piedi e si stiracchiò. — Quei vostri animali non sembrano affatto più veloci dei cavalli. Posso tenere il vostro passo. — Scagliò con un calcio un po’ di terriccio sul fuoco, poi raccolse le sue cose: lo zaino e la canna da pesca, avvolta in un rotolo, un arco e mezza dozzina di frecce.

— Hai fabbricato tu l’arco?

— Naturalmente. — Si guardò i piedi. — Non posso correre in questo modo. — Si tolse gli stivali e i calzini. — Ecco. — Li consegnò a me.

Nia disse: — Se intendi viaggiare senza scarpe, resta sulla pista o, se la lasci, stai attento a dove metti i piedi. Ci sono piante che pungono sulla pianura. Non mettere i piedi su niente che abbia un aspetto insolito.

— Sempre dei buoni consigli — replicò Derek. Fece il gesto della gratitudine.

Sellammo gli animali. Io legai al mio le mie cose e quelle di Derek, poi Nia e io montammo in sella. Attraversammo il fiume sollevando spruzzi d’acqua. Sull’altra sponda trovammo una pista che serpeggiava fra l’erba enorme e ben presto ci ritrovammo sulla pianura. Si estendeva senza interruzione verso ovest, nord e sud.

In un primo tempo Derek cercò di camminare al nostro fianco, ma la pista era troppo stretta, così ci precedette, muovendosi a grandi passi. Aveva i capelli sciolti che sbattevano al vento, così come l’estremità della sua camicia. Si muoveva in modo agile e sicuro e appariva felice e rilassato.

— Quell’uomo è strano — osservò Nia. Mi rivolse un’occhiata. Io feci il gesto dell’approvazione.

— È così che sono i vostri uomini?

— No. Lui è un tipo speciale. Mette a disagio quasi tutti noi.

— Mmm!

Il terreno mutò. Adesso era ondulato. Spesso, in lontananza, vedevo fitte macchie di quell’erba enorme: alta e di un verde brillante, simile a un boschetto di alberi. Nel pomeriggio inoltrato ci accampammo in un avvallamento. Derek e Nia andarono a raccogliere sterco mentre io mi occupavo degli animali. Erano irrequieti; dovevano aver sete, decisi. Quando Nia tornò, le chiesi: — Perché non andiamo in uno di quei boschetti? Mi hai detto che crescono nelle vicinanze dell’acqua.

— C’è un animale. L’assassino-delle-pianure. Se ne sta in agguato vicino all’acqua. I cornacurve vengono ad abbeverarsi e quello gli balza addosso.

— Oh. — Riflettei un momento. — È per questo motivo che eri inquieta quando siamo arrivate al fiume.

Nia fece il gesto dell’assenso. — Sapevo che non c’era modo di aggirare il fiume. Dovevamo attraversarlo. Ma avevo paura di quell’animale.

Dopo cena chiamai la nave. Rispose Eddie.

— Perché Derek è qui?

Eddie rise. — Ce l’ha fatta, eh? Per tre ragioni, Lixia. È un ricercatore sul campo di prim’ordine, ed era sprecato se restava da solo. — Esitò un momento. — Nia è la nostra informatrice più singolare. Desideravamo una seconda valutazione di lei e delle sue informazioni. Questa è la ragione numero due. Infine, tu non chiami abbastanza spesso. Derek è lì per tenere d’occhio te e Nia.

— Oh, sì?

— Aha. Parlando dei nostri compagni dell’Asia Orientale, ci sono parecchi manifesti appesi lungo il Muro della Democrazia.

C’era un corridoio principale che attraversava gli alloggiamenti. I cinesi ne avevano rivestito una parte con tavole di sughero e l’avevano chiamato il Muro della Democrazia. Sostenevano che era necessario per la corretta espressione della volontà popolare.

Che cosa c’era di male nei computer? avevamo chiesto noialtri.

I computer isolavano le persone, ciascuna seduta di fronte al suo piccolo schermo. Il muro riuniva le persone. Potevano discutere di ciò che leggevano. Potevano guardarsi attorno e vedere come reagivano i loro vicini. Potevano distinguere chi stava ascoltando.

I computer accentuavano il pensiero lineare e la logica. Il muro, al pari dell’ideogramma cinese, usava modi lineari e non lineari di organizzare le informazioni: la costante così come la sequenza, lo spazio così come il tempo. Quando si osservava il muro, si utilizzava l’intero cervello umano.

Inoltre, era tradizionale. Gli esseri umani avevano sempre scritto e disegnato sui muri.

Era difficile mettere in discussione questo concetto, e il muro aveva un certo fascino disordinato. Non c’era modo di sapere che cosa vi avrebbero affisso le persone: un disegno ingegnoso, una stupida poesiola, una maschera di cartapesta: "Cercasi… un compagno per gli scacchi". E un sacco di ragionamenti politici. Era un modo di raggiungere quelle persone che non avrebbero mai pensato di partecipare a nessuna delle reti di discussione politica.

Eddie proseguì: — Lu Jiang, l’idraulica, ha una teoria, che ha affisso al muro. Dice quanto segue: se le informazioni che abbiamo ora sono esatte, tutte le società indigene sono ferme a uno stadio di sviluppo pre-urbano. Per quanto ne sappiamo, è impossibile sviluppare una tecnologia avanzata al di fuori delle città. Senza una tecnologia avanzata, non può esserci alcun proletariato, e senza proletariato, non può esserci alcuna rivoluzione socialista. Di conseguenza, sostiene, gli sventurati abitanti di questo pianeta non raggiungeranno mai una società socialista. Naturalmente è stata criticata per aver sottovalutato il ruolo dei contadini nella realizzazione del socialismo.

— Sembra splendido.

— È pericoloso, Lixia. C’è gente che incomincia a dire che, se Jiang ha ragione, allora forse dovremmo prendere contatti con le popolazioni autoctone del pianeta; contatti formali, dicendo loro chi siamo. Forse abbiamo da offrire loro la nostra tecnologia. Se non lo faremo, li condanneremo a un’esistenza senza possibilità di progresso. Resteranno per sempre come sono.

Mi massaggiai il naso.

Lui continuò. — Ciò che vedo verificarsi è un’alleanza fra gli altruisti e i tecnologi. Coloro che amano le persone e coloro che amano le macchine. Insieme decideranno che dobbiamo aprire il pianeta alla colonizzazione.

— Eddie, ti stai crucciando anzitempo.

— Ascoltami. Mio nonno era un uomo di medicina. Vedeva le cose prima degli altri. E ti assicuro, in questo momento ho la sua stessa capacità. Riesco a vederlo come in una visione: le miniere, le raffinerie e i proletari coperti di pelliccia, che timbrano il cartellino ogni mattina.

Decisi di mettere fine alla conversazione. Eddie si stava adirando e non volevo avere alcuna parte in nessuna delle sue collere.

— Adesso spengo questo aggeggio. Voglio fare la mia ginnastica.

— Okay. Di’ a Derek di chiamare. No. Ripensandoci, lascia perdere. Lui si ricorda sempre di farlo.

Spensi la radio e feci ginnastica. Dopo di che meditai, tenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte orientale. Il cielo laggiù era di un azzurro intenso e limpido con una sfumatura di verde. Più in alto, dove l’azzurro si schiariva e si faceva un po’ più verde, brillava un punto luminoso. Un pianeta. Mi concentrai sulla respirazione. Dentro. Fuori. So. Hum.

Alle mie spalle sentii la voce di Derek. — Stai raggiungendo l’unità con l’universo?

Mi contrassi, poi mi guardai attorno. Era fermo a circa un metro di distanza. Mi era arrivato vicino senza fare il minimo rumore. Sorrideva. — Vuoi del peyote? Ne ho portato giù un po’.

— Mi sembrava che avessimo convenuto sull’esclusione di qualunque narcotico sulla superficie di questo pianeta. A meno che, naturalmente, non fossero stati forniti dai nativi.

— Per prima cosa, il peyote è un allucinogeno. E in secondo luogo, è necessario per la pratica della mia religione.

— Il comitato ti ha dato il consenso?

— Quale? La nave è piena di comitati.

Aprii la bocca per parlare, ma lui sollevò una mano. — Hai ragione. Non ho avuto il permesso.

— E questa che cosa sarebbe? Una specie di ribellione infantile?

— Mi sono stancato delle regole. Mi pare di capire che non vuoi del peyote.

— No.

— E del sesso che ne dici? Stavo notando che sei molto attraente quaggiù. Credo che dipenda dalla luce del sole. Non c’è niente che abbia un bell’aspetto sulla nave. Ma qui. — Fece un cenno della mano in direzione del cielo che si andava oscurando.

Ci pensai su un momento. — Okay.

Derek si sedette accanto a me e mi cinse con un braccio.

Era, come avevo ricordato, molto abile. Non frettoloso. Derek veniva da una società di cacciatori e raccoglitori e conosceva il valore della pazienza e del lavoro lento e accurato. Sapeva come usare le mani. Sapeva che cosa dire e quando. Esiste un piacere pari al vedere, o all’udire, o al sentire all’opera un artista veramente bravo?

Finimmo nudi fra la pseudo-erba spinosa. Lui era sopra di me e dentro di me.

Ci giunse la voce di Nia: — Che cosa state facendo? Non vi rendete conto che siamo in piena estate? Nessuno si accoppia in questo periodo dell’anno.

Derek disse: — Vattene, Nia. Ti spiegheremo più tardi.

— Benissimo. Ma siete delle persone ben strane voi due.

Derek sollevò il capo. — Se n’è andata. Ora, dov’ero rimasto?

Risi.

Dopo restammo distesi per un po’ fra la vegetazione. Mi sentivo in modo splendido. Ero rimasta da sola per troppo tempo. Quanti giorni? Quarantasette? Quarantotto? Avrei dovuto chiederlo a Eddie. Avevo perso il conto.

Derek si alzò in piedi e incominciò a vestirsi. Seguii il suo esempio. Cadde una meteora. Ci incamminammo verso l’accampamento. Nia era seduta accanto al fuoco, che era fioco e aveva un odore particolare. Lo sterco non bruciava come il legno. Lei alzò lo sguardo. — Avete finito il vostro accoppiamento?

— Sì.

— Siete dei pervertiti.

— Può darsi. — Derek si sedette.

Nia teneva lo sguardo fisso sul fuoco. — Sono sfortunata. Ovunque vada, incontro persone che fanno le cose nel modo sbagliato.

Derek sorrise. — Che cosa vuoi dire con questo? Qual è il modo sbagliato? Ciò che è sbagliato secondo le donne anziane? Ci hai detto che non ti importava delle loro opinioni.

— È vero. Ma lo sanno tutti che le persone provano la smania in primavera. Solo le persone ammalate hanno la smania in qualunque altro momento.

— Noi non siamo persone comuni, Nia. Devi capirlo. Siamo più estranei di quanto tu possa pensare. Ma non siamo cattivi. E non c’è niente che non vada nella nostra salute.

— Mi mettete a disagio. Vado a fare una passeggiata. — Si alzò e si allontanò zoppicando. Un attimo dopo era sparita, nascosta dalle tenebre.

Mi sedetti. Derek aggrottò la fronte. — Fino a che punto è turbata?

Feci il gesto del dubbio.

— Questo è proprio un grande aiuto.

Restammo alzati ad aspettarla per circa un’ora. Nia non tornò. Alla fine mi addormentai. Mi svegliai all’alba. Nia era distesa vicino a me, avvolta nel suo mantello, e russava piano.

Ci alzammo al levar del sole e proseguimmo verso ovest. Il tempo si mantenne sempre uguale: molto caldo e limpido. La regione si estendeva sempre ondulata. Verso nord c’era una catena di basse colline rotonde sopra le quali si libravano delle nuvole.

— Quella è la terra del fumo — ci spiegò Nia. — È un luogo sacro. L’acqua laggiù ribolle come l’acqua in una pentola per cucinare. E il fumo sale da fenditure nella roccia.

— Ah, sì?

Nia fece il gesto dell’affermazione.

Era passato da poco mezzogiorno quando Derek si fermò. Era in cima a un’altura. Andammo a raggiungerlo.

— C’è qualcuno dietro di noi — disse.

— Un uomo — osservò Nia. — Nessuna donna viaggia da sola. — Tossì. — No. Non dico la verità. Io ho viaggiato da sola. Ma di solito le donne vanno in gruppo. — Si voltò a dare un’occhiata. — Non lo vedo. Devi avere dei buoni occhi.

— Sì.

Nia si riparò gli occhi con la mano e guardò di nuovo. — Ho deciso di crederti. Qualcuno dovrà stare sveglio di notte. Se l’uomo ha deciso di avvicinarsi, lo farà allora.

Proseguimmo. Ormai c’erano nuvole per tutto il cielo. Erano piccole e soffici, disposte in file. La terra era screziata di ombre. Qua e là vedevo affioramenti di roccia scura. Forse basalto? Secondo i planetologi, le rocce su questo pianeta erano di fatto identiche a quelle sulla Terra.

Le colline a nord erano più vicine di prima. Nia continuava a lanciarvi occhiate. — Non mi piace la terra del fumo. Ci sono demoni laggiù.

— Oh.

Alla sera ci accampammo presso la sommità di una collina, sotto un’enorme massa di roccia. Era nera e ruvida. Vulcanica. Sotto di noi c’era una valle piena di cespugli. Le loro foglie erano di un verde giallognolo. Scendemmo e trovammo della legna secca. Nia accese un fuoco. La fiamma illuminava la superficie scura della roccia e i corpi dei miei compagni: Derek, magro, glabro e bruno; Nia, grossa e coperta di pelliccia.

Mangiammo. Derek si alzò. — Farò io il primo turno di guardia. — Rivolse un’occhiata attorno. — Dovrebbe esserci una buona vista da lassù. — Si diresse verso la roccia e incominciò ad arrampicarvisi, salendo in modo rapido e senza esitazioni.

Nia lo osservava. — Sa fare bene ogni cosa?

— Ci sono volte in cui credo di sì.

— Lui non ti piace.

— Non molto.

— Perché?

— Perché fa bene ogni cosa. Per me non c’è niente di facile. Lo invidio.

Nia aggrottò la fronte e guardò il fuoco. — Avevo un fratello così. Anasu. Faceva tutto quello che andava fatto, e lo faceva meglio di quasi tutti gli altri. Ormai è un uomo grande e grosso. Ne sono sicura. Non era il tipo da restarsene fra le colline con i giovani, con gli uomini come Enshi. Ormai deve avere un territorio vicino al villaggio e molte donne nella stagione degli accoppiamenti. — Nia si grattò il naso. — C’era un’altra. Angai. Una mia amica. Era difficile andare d’accordo con lei quando era giovane. Non piaceva alla gente. Ma è cambiata in meglio. È la sciamana del mio villaggio. Ha con sé i miei figli. — Alzò lo sguardo. Mi ritrovai a guardare dritto nei suoi occhi color arancione. — Non capisco che cosa mi sia successo. Ma una cosa la so. È sbagliato provare invidia. Hakht la provava. Bruciava dentro di lei come fuoco sotto terra. L’ha trasformata in qualcosa di disgustoso. Non invidierò altre persone. — Si alzò e andò a prendere il suo mantello. — Adesso me ne vado a dormire.

Si coricò. Io rimasi alzata. La grande luna era visibile a occidente: una mezzaluna alta nel cielo, di un brillante giallo limone, che illuminava nuove nuvole. Erano grandi e ondeggianti. Un nuovo sistema atmosferico? Incominciavo a sentirmi assonnata. La mia mente vagava da un argomento all’altro: l’invidia, poi il fratello di Nia. Chissà che tipo era? Che cosa significava avere un fratello nella sua cultura? Ricordavo i membri più giovani della mia famiglia. Leon. Clarissa. Charlie. Maia. Mark. Fumiko.

Fumiko era di gran lunga la più giovane. Quando ero partita lei stava terminando l’università e si preparava per il suo anno, o i suoi anni, di vagabondaggi. Io ero andata molto presto, a vent’anni. Avevo lasciato la scuola e me ne ero andata nella Grande Isola a tagliare canna da zucchero. Poi mi ero recata in Asia, lavorando su uno dei nuovi piroscafi da carico. Cucinavo e imparavo a far funzionare il computer che controllava le vele. Quello era un compito facile. Il computer funzionava quasi da solo. Ma ero quasi impazzita cercando di cucinare nella minuscola cambusa mentre tutto attorno a me si muoveva.

Bene, era accaduto molto tempo addietro e su un altro pianeta. Presi il mio poncho e mi coricai per dormire.

Fui svegliata da un grido ululante: acuto, pauroso, disumano. Un istante dopo ero in piedi. Non ricordavo come ci fossi arrivata in quella posizione. Dall’altra parte del fuoco c’era Nia. Era in piedi anche lei. Aveva gli occhi sgranati e teneva in mano il suo coltello.

— Che cos’è stato? — chiese.

— Non lo so.

Mi resi conto che lo sapevo e che mi ero sbagliata. Il suono non era disumano. Era il grido di battaglia di un aborigeno californiano. Mi guardai attorno. — Derek?

Dalle tenebre giunse un altro suono, un grido di paura nel linguaggio dei doni. — Aiuto! Aiuto! Un demonio!

Mi voltai e mi precipitai giù per la collina. Nia mi seguì. Ci facemmo strada fra la pseudo-erba. Sotto di noi la voce ripeteva: — Aiuto! Aiuto!

Derek gridò: — Smettila di lottare con me!

Li vidi, una massa che si dimenava, appena visibile nel chiarore lunare. Mi fermai. I due corpi rotolavano avanti e indietro. Derek era sopra. Vedevo agitarsi i suoi capelli biondi. La persona che stava sotto gridava: — Aiutatemi!

Nia disse: — Se hai intenzioni pacifiche, smettila di dibatterti. L’altra persona non ti farà del male. Non è un demonio.

— No? — Il corpo che stava sotto cessò di muoversi. — Sei sicura?

Derek si sollevò dall’altro individuo e lo tirò in piedi.

— Aiya! Guarda che cosa doveva capitarmi! Sei assolutamente certa che questa creatura non sia un demonio?

— Sì — rispose Nia. — E tu chi sei?

— Sono la Voce della Cascata.

— Non è possibile! Ne ho sentito parlare. Passa tutta la sua vita vicino alla cascata. Quando muore e la gente trova il suo corpo, lo getta nel fiume. Le sue ossa giacciono fra le rocce sul fondo della cascata.

— Questo è vero. Non possiamo parlarne accanto al fuoco? Ho paura a restare qui fuori al buio. E questo essere dalle mani forti non potrebbe lasciarmi andare?

— Lixia? — chiese Derek.

— È tutto a posto. Lascialo andare.

C’incamminammo su per la collina. Quando arrivammo accanto al fuoco guardai l’oracolo. Questa volta non era più nudo, ma indossava un gonnellino lacero. Non riuscii a distinguerne il colore. Grigio o marrone. Attorno al collo portava una collana: perline d’oro e grossi pezzi irregolari di turchese. I turchesi erano blu e verdeazzurri. La collana era splendida. L’uomo si massaggiò le braccia. — Uh! Che presa che ha quella creatura! — Guardò Derek. — Un altro individuo senza pelo! Che cosa sta accadendo al mondo?

— Perché sei qui? — gli domandò Derek.

— Non possiamo sederci? Sono stanco. Sono giorni che cammino. Mi fanno male i piedi e ho così sete che non riesco quasi a parlare.

Nia prese la sua ghirba. L’uomo bevve, poi si sedette. — Aiya! Così va meglio. Avete qualcosa da mangiare?

Nia gli porse un pezzo di pane. Lui lo mangiò.

Derek gli chiese: — Perché ci stavi seguendo?

— È una lunga storia. Sedetevi. Tutti quanti. Ma non troppo vicino. Non sono abituato alle persone.

Ci sedemmo. L’uomo prese un altro sorso d’acqua. Poi mi fissò. — Tu sei quella che ho incontrato.

— Sì.

— Sei andata al villaggio. Dopo, mia madre è venuta da me con altre donne. Lei, mia madre, ha portato cibo e una nuova coperta, una bella coperta spessa e soffice. Mi ha detto che non mi prendevo cura di me stesso. Sarei morto di freddo in inverno. Le ho risposto: "Vecchia, sei pazza quanto me. Non preoccuparti per me. Io appartengo alla cascata. La cascata si prenderà cura di me". Lei mi ha dato una medicina che fa bene per il mal di gola e il senso di pesantezza al petto. Poi se ne è andata. È tornata con quella. — Indicò Nia. — Dopo che tutti se ne furono andati, ho fatto un sogno. Mi è apparso lo Spirito della Cascata. Era simile a una persona, salvo che era grigio come l’argento, e non avrei saputo dire se fosse maschio o femmina. Mi ha detto: "Sta succedendo qualcosa di importante e riguarda la persona senza pelo. Segui quella persona. Ascolta quello che dice".

"Ho cercato di protestare, ’Il mio posto è qui. La Voce della Cascata non lascia mai questo posto’. Lo spirito allora ha assunto un’aria adirata. ’Tu sei la mia voce. Non ribattere con arroganza.’ Allora ho incominciato a tremare. Lo spirito ha continuato: ’Io non appartengo a nessun luogo, sebbene mi piacciano questo canyon e questa cascata. Quanto a te, il tuo posto è dove ti dico di stare. Adesso va’! E non discutere. Ricorda di chi sei la voce’.

"Mi sono svegliato. Che cosa potevo fare? Solo quello che mi aveva ordinato lo spirito. Sono andato al villaggio. Tu" puntò il dito nella mia direzione "eri nel villaggio. Ho aspettato. Ho mangiato ciò che sono riuscito a trovare. Quando qualcuno si avvicinava, mi nascondevo fra i cespugli. Finalmente siete uscite, e vi ho seguite sulla pianura.

"Che viaggio! Ci sono voluti… quanti giorni? Cinque o sei. Non riuscivo a non perdervi di vista. Ma sapevo che avreste seguito la pista. Dopo un giorno o due mi si sono rotti i sandali. Li ho gettati via entrambi. Hanno incominciato a farmi male i piedi e avevo fame. Ho cavato la radice della pianta di rukha spinosa. Mi ha fornito cibo e acqua, ma mi sono punto le dita con le spine.

"Dopo quattro giorni sono arrivato a un fiume. Uh! Che piacere! Ho bevuto acqua e raccolto insetti. Ho acceso un fuoco e li ho arrostiti. Che dolcezza! Che delizia! Ne ho mangiati fino a sentirmi male, poi mi sono riposato e poi ho attraversato il fiume.

"La notte successiva è stata terribile." S’interruppe un momento e rabbrividì. "Ero disteso sulla pianura, da solo, senza un mantello per coprirmi. È arrivato un animale. Sentivo il rumore del suo respiro. Oo-ha! Oo-ha! Riuscivo a sentirne l’odore. Puzzava di carne putrefatta. Mi girava intorno furtivamente. Fiutava e faceva una specie di brusio. Ho pensato: so che cos’è. Un assassino-delle-pianure, e adesso mi mangerà. Non mi sono mosso. Ero troppo spaventato.

"La creatura ha fatto un secondo giro intorno a me, continuando a mormorare. La sentivo. Aiya!" Rabbrividì e batté le palpebre. "L’ho sentita prendermi un gamba fra i denti. Ha sollevato la mia gamba, poi l’ha lasciata andare. Ho lasciato cadere la gamba come se fossi stato già morto. Deve avermi guidato lo spirito. Deve avermi detto lui che cosa fare."

Nia si protese in avanti. — L’ho già sentito dire. Attaccano se uno si muove. O se sentono l’odore del sangue. Ma se una persona rimane immobile, la lasciano in pace.

L’oracolo si accigliò. — Questa è la mia storia. Lasciamela finire.

— Okay — disse Nia.

— Che cosa?

— Va’ avanti.

— Poi l’animale se ne è andato. Sono rimasto dov’ero e ho ringraziato lo spirito. Al mattino mi sono guardato la gamba. Non c’era sangue. L’animale non aveva rotto la pelle. Aiya! Che fortuna!

Derek fece il gesto dell’approvazione.

— Mi sono alzato e ho proseguito. Che altro potevo fare? Mi sono affrettato. Ero terrorizzato all’idea di passare un’altra notte da solo sulla pianura. Il sole è tramontato. Ho visto il vostro fuoco che brillava nell’oscurità. Mi sono avvicinato e quell’individuo — indicò Derek — mi è saltato addosso. Ho pensato: mi sono imbattuto in un demonio. Adesso morirò, e spero soltanto che lo Spirito della Cascata sia felice di questa piega degli eventi.

"Ma non sono morto ed eccomi qui. Questa è la fine della mia storia."

Derek parlò in inglese: — E questo chi è?

— È un oracolo. L’ho incontrato dopo che Nia è rimasta ferita. Sua madre è la sciamana del Popolo del Rame della Pianura. Credo che sia un po’ pazzo, anche se non ne sono certa. Come si fa a giudicare la pazzia in una cultura aliena?

— E come si fa a vedere la differenza fra pazzia e santità? — Derek passò al linguaggio dei doni. — E adesso? Vuoi viaggiare con noi?

— Sì. Certo. È la volontà dello spirito. Ora mi metto a dormire. Potete discutere se mi volete come compagno oppure no. Ma vi avverto. Qualsiasi cosa decidiate, vi seguirò. — Si alzò in piedi e si allontanò dal fuoco fino al limitare delle tenebre. Si coricò, la schiena rivolta alla pianura, e si raggomitolò in posizione fetale. Dopo un momento spostò un braccio in modo da coprirsi la faccia.

Nia osservò: — Davvero, il mondo sta cambiando. Incontro persone che si accoppiano in estate, e adesso compare un sant’uomo, deciso a lasciare il suo luogo sacro e a viaggiare con gente comune. — Poi guardò me e Derek. — Non intendo dire gente comune. Voglio dire, gente che non è santa.

— Bene — disse Derek in inglese. — Viaggia con noi?

— Perché no? — Guardai Nia e parlai nel linguaggio dei doni. — Che cosa pensi di lui?

— Non possiamo lasciarlo da solo sulla pianura. È indifeso come un bambino o una donna anziana. Inoltre è santo. Se lo abbandoniamo, gli spiriti si adireranno. Su questo non c’è alcun dubbio. Deve venire con noi.

Derek annuì e si alzò in piedi. — Torno a fare la guardia. Cerca di dormire un po’, Lixia. Ti sveglierò più tardi.

Mi svegliò dopo mezzanotte e feci il mio turno di guardia. La notte era fresca e silenziosa, a parte il rumore che facevano gli insetti fra la pseudo-erba. Verso l’alba svegliai Nia. Lei si alzò e io tornai a dormire.

L’indomani mattina proseguimmo. Nia e l’oracolo cavalcarono mentre io viaggiai a piedi con Derek. La pista serpeggiava fra le colline. In questa zona c’erano numerose rocce: rupi, affioramenti e massi, tutti neri e scabri. Le valli erano coperte d’erba. Di quando in quando vedevamo un gregge di bipedi: pseudo-dinosauri. Erano alti per lo più un metro e di un vivace azzurro turchese.

— È un bellissimo pianeta — osservò Derek mentre camminava al mio fianco.

— Sì.

— Come fa quel verso di Donne? "O mia America, mia terra nuova!" Naturalmente parlava di una donna. Una nuova amante.


Da’ licenza alle mie mani erranti, e lasciale andare,

Davanti, dietro, in mezzo, sopra, sotto,

Oh mia America! Mia terra nuova,

Mio regno, più sicuro se abitato da un solo uomo.

Mia miniera di pietre preziose, mio impero.

Che fortuna averti scoperta.


— Derek, come fai a essere così colto?

Mi rivolse un’occhiata e sorrise. — Duro lavoro, mia cara. E un’intelligenza superiore.

— Oh. Okay.

Rise. — In ogni modo, mi sento come dev’essersi sentito Colombo. O il prode Cortés, silenzioso sul suo picco di Darien. Quale scoperta! Quale pianeta! — Fece un ampio gesto con la mano, indicando le colline e il cielo verdeazzurro. Uno pseudo-dinosauro lanciò un grido e fuggì.

Nia si voltò a guardare. — Che cosa c’è?

— Niente. A Derek piace questa regione.

— A me no.

— Perché no?

Si fermò e si guardò attorno. — Non me la ricordo. Devo aver preso la direzione sbagliata in qualche punto. Questa non è la pista che volevo seguire.

L’oracolo fece il gesto che significava "non preoccupatevi". — Ci guiderà lo spirito.

— Può darsi.

Nel pomeriggio il cielo si annuvolò e verso sera incominciò a piovere, una pioggerella leggera. Ci accampammo in un boschetto di alberi. Derek uccise uno pseudo-dinosauro. Nia lo pulì. Io e la Voce della Cascata andammo in cerca di legna.

Dopo cena chiamai la nave. Rispose un computer. Aveva una tranquilla e gradevole voce femminile con un leggerissimo accento russo.

— In questo momento non è disponibile nessun umano — disse. — Puoi riferire a me.

Lo feci.

Il computer mi ringraziò e disse che le informazioni sarebbero state trasmesse alle persone adatte. — Sono un programma di livello sei — spiegò. — La mia intelligenza è una costruzione mentale e… dovrei dire o?… un’illusione. Pertanto non sono una persona, in base alla corrente definizione del termine.

— Ti dispiace? — chiesi.

— Questa non è una domanda che abbia senso, almeno se rivolta a me. Io non penso e non ho sentimenti. Faccio quello che mi si dice di fare.

Mi sembrò di avvertire del sarcasmo nella cortese voce uniforme. Ma non era molto probabile. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto inserire del sarcasmo in un programma di livello sei?

Spensi la radio, mi coricai e restai ad ascoltare la pioggia che picchiettava sulle foglie sopra di me.

La mattina era uggiosa. Nia disse: — Oggi cavalca tu, Lisa. Voglio scoprire come va la mia caviglia.

— I piedi mi fanno ancora male — disse l’oracolo. — Sono ricoperti di vesciche.

Derek rise. — Non preoccuparti. Puoi prendere l’altro cornacurve.

Incominciò a cadere la pioggia e la foschia nascondeva le distanze. Viaggiammo in mezzo al grigiore, risalendo un lungo pendio. Più o meno intorno a mezzogiorno arrivammo in cima. C’era uno spazio pianeggiante, poi un precipizio. Ci trovavamo sul limitare di una valle. Tirai le redini del mio animale. Il fondo della valle era visibile nonostante la foschia. Il terreno era brullo e di un arancione acceso.

Derek annusò. — Uova marce e zolfo. Penso che si possa presumere dell’attività geotermica. — Parlò in un miscuglio di inglese e linguaggio dei doni. Io riuscii a capire tutto, ma i nostri compagni apparivano perplessi.

Dopo un momento Nia disse: — Non so di che genere di attività stiate parlando. Ma l’aspetto di questa valle non mi piace. E neppure l’odore, se è per questo.

Derek lanciò un’occhiata di lato. — Non preoccuparti. Non andiamo giù. La pista corre lungo il ciglio.

Seguimmo la pista. La pioggia cessò. Le nuvole si alzarono. Ora vedevo chiaramente la valle. Era poco profonda e più o meno circolare. L’intero fondo aveva brillanti colori: arancione, arancione rossiccio e giallo. Qua e là si levavano bianchi pennacchi. Vapore. I pennacchi si muovevano, spinti dal vento. Al centro della valle c’era un lago: scuro e rotondo. Derek continuava a guardarlo.

— C’è qualcosa che non va. Quel lago è singolare.

— Non stento a crederlo — osservò Nia. — Questa terra è singolare. — Usò lo stesso termine utilizzato da Derek. Significava "insolito", "imprevisto", "sbagliato". Dopo una breve pausa proseguì. — Non mi ricordo affatto di questo posto. Sono sicura che siamo sulla pista sbagliata, anche se non so come sia possibile. Ho una buona memoria e un eccellente senso dell’orientamento. Non mi sono mai persa.

Mi girai sulla sella. Nia arrancava accanto a me. Aveva i piedi infangati e la pelliccia bagnata. La tunica le si incollava al corpo. — Che cosa dobbiamo fare?

Nia fece il gesto dell’incertezza.

— Proseguire — disse l’oracolo alle mie spalle. — Lo Spirito della Cascata provvederà a farci arrivare nel posto giusto.

— Che consolazione! — fu il commento di Derek.

Finalmente arrivammo in un punto in cui la parete della valle era bassa. Un pendio conduceva giù verso il fondo giallo e arancione. La sommità del pendio era ricoperta di vegetazione: piccoli arbusti e moltissima pseudo-erba. Più in basso il terreno era brullo. Una linea scura l’attraversava serpeggiando: un’altra pista, più stretta della nostra, meno usata, che si addentrava nella valle.

Derek si fermò. Io tirai le redini del mio animale.

L’oracolo venne a fermarsi accanto a me. — Che cosa c’è? — chiese.

— Penso che dovremmo accamparci.

— Qui? — domandai.

Derek fece il gesto dell’affermazione.

Mi guardai attorno. Su un lato avevo il pendio, sull’altro un affioramento di roccia, nero e massiccio. La pista, quella principale, conduceva oltre la roccia. Non c’era nient’altro. Non c’era legna, a parte i piccoli arbusti, né alcuna traccia di acqua. — Perché? — chiesi.

— Non riusciremo a discendere il pendio prima di notte, e non ho visto nessun luogo che sia migliore di questo.

— Ha ragione lui — disse Nia. — La roccia ha una sporgenza. Dovrebbe ripararci, se pioverà, e c’è foraggio per gli animali. Ammetto che mi piacerebbe un po’ d’acqua fresca. L’acqua nelle nostre ghirbe sta diventando vecchia. Ma quando una persona viaggia senza il proprio villaggio, deve prendere quello che riesce a trovare.

— Ed essere grata di questo — aggiunse l’oracolo.

Nia fece il gesto dell’approvazione.

Smontai di sella. L’oracolo fece lo stesso. Mi stiracchiai e mi allungai il più possibile, poi mi piegai. Riuscivo a stento a toccare il terreno. Lo sfiorai con la punta delle dita e mi raddrizzai, inspirando nello stesso tempo. Altra ginnastica! Questa spedizione non doveva servire da scusa per impigrirmi.

L’oracolo disse: — Lui vuole scendere nella valle.

Guardai Derek. Stava fissando il panorama. Il cielo si andava rasserenando. La luce del sole illuminava i bordi delle nuvole e i colori della valle erano ancora più accesi di prima. — Perché? — domandai.

Lui si voltò. Conoscevo quell’espressione, le sopracciglia inarcate e il sorriso contorto. Derek stava progettando qualcosa di futile o pericoloso, e voleva la mia approvazione. La seduzione era entrata in funzione. Non avevo idea di come facesse, ma era teatrale come un luce al neon che incominciava ad accendersi. Il suo sorriso si allargò.

— Derek, falla finita! Spegnila!

— Che cosa?

— La bellezza mascolina, la seduzione, il fascino erotico. — Ero passata all’inglese. Nia incominciava ad accigliarsi.

— Voglio dare un’occhiata a quel lago — disse Derek. Stava parlando il linguaggio dei doni. La sua voce era profonda e tranquilla. Una voce ragionevole. La voce del buonsenso. — Credo di potercela fare ad andare e tornare prima che la luce sparisca del tutto.

— Ne dubito, e credo che tu sia pazzo a tentare. Quella laggiù è un’area molto attiva. Il suolo è probabilmente rovente, e forse non è sicuro. Potrebbe essere una crosta sopra qualcosa di brutto. Potresti sprofondare. Potresti finire nel brodo, e parlo più in senso letterale che metaforico.

— Parla la nostra lingua — protestò Nia. — Mi interessa questa discussione.

— Okay. Sto dicendo a Derek di non andare in quella valle.

— Non riuscirai a fargli cambiare idea — disse l’oracolo.

Derek rise. — Ha ragione. Rinuncia, Lixia. È inutile parlare. Ho intenzione di andarci.

Feci il gesto che significava "così sia". — Prendi i tuoi stivali.

— Perché? Mi muovo più rapidamente a piedi nudi.

— Te l’ho detto. Credo che il terreno sia rovente. — Mi piegai su un lato, sollevando un braccio, e abbassai l’altro braccio fino a toccare la caviglia, poi chiusi gli occhi, concentrandomi sulla respirazione. Dentro. Fuori. So. Hum. O gioiello del loto!

Mi raddrizzai e aprii gli occhi. Derek se n’era già andato: una piccola figura scura che si muoveva a scatti fra la pseudoerba, già a notevole distanza. Oltre e sotto di lui si estendeva la valle.

Nia dissellò i cornacurve. Accendemmo un fuoco sotto la sporgenza rocciosa. Per cena mangiammo quel che restava dello pseudo-dinosauro.

— Perché c’è andato? — domandò Nia.

— Non ne ho idea. Derek fa di queste cose. Non spesso. — Esitai. Volevo dire che quasi sempre giocava pulito, secondo le regole, ma non conoscevo la parola locale per definire "gioco". Dissi: — Quasi sempre fa quel che è giusto.

Nia finì un pezzo di carne, poi gettò l’osso nel fuoco. — Tutti gli uomini sono pazzi in un modo o nell’altro.

L’oracolo fece il gesto dell’approvazione.

Fissai il cielo della sera. La Grande Luna era sorta. Era più di una mezzaluna ormai e sembrava… che cosa?… tre quarti delle dimensioni della Luna terrestre vista da Skyline Drive, a Duluth, in una notte di piena estate.

Perché non conoscevo il termine per definire "gioco"? Guardai Nia. — Che parola si usa per definire quello che fanno i bambini quando lanciano una palla?

— Si dice "scherzare".

Be’, sì, aveva un senso logico. Era uno dei significati di "gioco". Ma ne aveva anche altri. Pensavo all’Amleto e alla tripla azione, sebbene non fossi del tutto certa di che cosa fosse. E al maneggio della spada. Amleto e Laerte, per esempio. E ai musicisti che suonano i loro strumenti. Quello che mi serviva era l’Old English Dictionary. Eddie aveva accesso ai computer linguistici. Afferrai la radio e l’accesi.

Mi rispose di nuovo un computer. Lo stesso programma di prima. Riconobbi l’accento e il tono di distaccata cortesia. La voce pacata arrivava attraverso un lieve e costante crepitio, simile al fuoco.

Chiesi la definizione di "gioco".

— Un minuto soltanto — rispose il computer.

Sentii i consueti rumori che fanno i computer quando sono al lavoro: un bip, seguito da una serie di cinguettii e poi un nota simile a un campanello. Una nuova voce, un altro programma, mi riferì i significati della parola "gioco" in inglese. Che significa anche scherzare, suonare, giocare d’azzardo, rappresentare, agire, divertirsi, dirigere, far funzionare, muoversi rapidamente…

Era una voce maschile con un accento cinese.

Quando ebbe terminato, ringraziai e spensi la radio.

— Che cos’è quell’oggetto? — s’informò l’oracolo.

Nia si protese in avanti. — Li-sa me l’ha spiegato. È un modo di parlare con persone che si trovano oltre l’orizzonte.

— Oh. Credevo potesse trattarsi di uno strumento musicale. Fa un sacco di differenti tipi di rumore, e alcuni sono piacevoli.

— Che cosa fate con uno strumento musicale? — domandai.

L’oracolo aggrottò la fronte. — Che cosa intendi dire?

— Qual è la parola che significa usarlo. Fargli fare un rumore.

— Oh. Nakhtu.

— Questo è nella sua lingua — precisò Nia. — Nel linguaggio dei doni è nahu.

— È uguale a scherzare? — chiesi.

— No. Certo che no. I bambini scherzano. Gli adulti sono assennati. O, se non sono assennati, sono pazzi, il che è diverso da essere sciocco.

— Oh. — Guardai il fuoco, poi la luna. Gli alieni possedevano strumenti musicali. Avevano cerimonie. Danzavano. Sapevo che conoscevano la rivalità. Pensai a Hakht e a Nahusai. Ma giocavano come noi? L’aggressività rituale e la rivalità erano assolutamente fondamentali nelle culture occidentali. Nell’estremo oriente avevano l’opera, il kabuki e tutte le arti marziali. Tutti avevano il calcio. Queste persone avevano la necessità di giocare quanto noi? C’era una tale tensione nella società umana, una tale aggressività frustrata. Perfino adesso che la vecchia società, la società dell’avidità e della privazione, era sparita.

Aspetta un minuto. Non tutte le società umane erano piene di tensione. Mi ricordai degli aborigeni californiani. Loro erano miti, in modo consapevole e calcolato. La mitezza era fondamentale nella loro religione. Era un segno di illuminazione. L’aborigeno ideale era mite e saggio. Manteneva un basso profilo, vicino alla Madre Terra.

Pensai a Derek. Sapeva essere mite, ma era una finzione. Sotto la superficie era come un tricheco maschio. Sapeva ciò che voleva, ed era disposto a lottare per ottenerlo. Era consapevole di com’era stato da bambino? Era per questo che aveva abbandonato la sua gente? Sarebbe stato un fallimento, frustrato e collerico, fra individui in grado di stare seduti per ore a osservare un condor nel cielo e sentirsi felici.

— "È qui che sta il senso", mi aveva spiegato uno di loro, una maga che indossava solo un perizoma e aveva il corpo pieno di tatuaggi. "La Madre Terra e il Padre Cielo, le cose che vivono: le piante e gli animali. Tutti gli antichi misteri di cui parlavano i profeti. Alce Nero e il Buddha. Gesù e Madre Carità. Tutti ci dicono la stessa cosa. Per quanto lottiate e vi sforziate, non lascerete mai questo mondo vivi. Perché lottare, dunque? E perché sforzarsi? Fa’ ciò che devi. Prendi ciò di cui hai bisogno. Sii grata e sii mite."

Okay, dissi a quel vecchio ricordo. Chiusi gli occhi e la rividi: la faccia piena di rughe e i lunghi seni piatti. C’era… c’era stata… una falce di luna sulla sua fronte. Fra i seni aveva un ciondolo, una scure a doppio taglio scolpita in una conchiglia. Una vecchia saggia. Chissà se Derek l’aveva conosciuta. Improbabile. Apparteneva a una tribù diversa. Erano una popolazione di montagna, i Bernadinos.

Mangiai un altro pezzo di carne, poi mi addormentai e mi svegliai nel cuore della notte. La luna era sparita e il cielo era pieno di stelle. Mi sollevai a sedere. Il fuoco era ormai solo un mucchio di tizzoni che rosseggiavano ancora leggermente. Mi guardai attorno. Nia era sdraiata accanto a me e russava. Più in là vidi un altro corpo. Doveva essere l’oracolo.

Dall’altra parte del fuoco c’era una terza figura, ritta in piedi, alta e pallida. — Derek?

— Sono appena tornato. — Parlava a bassa voce. — Avevi ragione. Il terreno scotta. L’ho sentito attraverso gli stivali.

— Qualche problema?

— No, salvo… una cosa buffa. Mentre tornavo, la luna stava tramontando. Proprio mentre spariva ho visto un bagliore improvviso. Credo che la luna stia eruttando.

Riflettei un momento. — È possibile, no? I planetologi hanno detto che c’erano prove che fosse stata attiva di recente.

— L’eruzione dev’essere enorme — disse Derek. — Davvero enorme, se riesco a vederla.

— Hai ragione. — Ci pensai ancora un momento. Poteva essere quello il motivo per cui non ero riuscita a mettermi in contatto con Eddie? Nessuno sano di mente vorrebbe perdere l’opportunità di vedere un’importante eruzione. — Altri problemi per i planetologi.

— Uhu. — Rise. — Quei poveri sciocchi. Gli sta bene. Hanno elaborato tutte le teorie sulla base di un solo sistema.

— Hanno usato quello di cui disponevano, Derek.

Lui disse: — Adesso voglio mettermi a dormire. Ti racconterò il resto domani.

— Okay. — Tornai a coricarmi. Il vento era girato. Adesso soffiava dalla valle, portando l’odore dello zolfo. Pensai alla luna, che aveva un’atmosfera. C’era un sacco di zolfo in essa, da quanto ricordavo. Deve puzzare davvero lassù in questo momento.

I planetologi non erano stati contenti quando avevano visto i primi ologrammi a lunga distanza. La luna era troppo grande, ci avevano detto. Tutte le migliori teorie sostenevano che la Terra era un’anomalia. I piccoli pianeti non avevano lune o, se le avevano, le lune erano piccolissime: frammenti di scorie spaziali catturate.

La nave si era avvicinata di più. I planetologi avevano scoperto che la superficie della luna era relativamente liscia.

Il sistema era pieno di scorie. Il pianeta aveva altre dodici lune, e tutte erano chiaramente planetoidi catturati. La grande luna avrebbe dovuto essere coperta di crateri creati da impatti. Invece c’erano vaste pianure di origine vulcanica e alcune montagne abbastanza notevoli, pure di origine vulcanica.

La luna era attiva, e le migliori teorie affermavano che i piccoli pianeti non avevano lune attive.

Il che significava che i planetologi dovevano incominciare a lavorare su nuove teorie. Ne avevo sentite un paio. Una implicava un’attrazione delle maree. L’altra presupponeva una composizione davvero strana del corpo celeste in questione. Erano troppo lontane entrambe dal mio campo di competenza perché io mi facessi un’opinione. Mi limitavo ad ammirare la stranezza della luna.

Mi svegliai all’alba, mi alzai e andai in cerca di un posto per orinare. Poi feci i miei esercizi, terminando con il saluto al sole. Arrivai in tempo perfetto. Quando ebbi finito il sole era sorto del tutto, rotondo e rosso sangue, proprio sopra la parete orientale della valle.

Nia si svegliò, e subito dopo di lei l’oracolo. Derek fu l’ultimo a svegliarsi. Si stiracchio e gemette, poi si tirò in piedi. Mangiammo. Nia andò a sellare i cornacurve. L’oracolo la seguì.

Derek sbadigliò. — Caffè. Ecco quello di cui ho bisogno.

— Che cosa hai trovato?

— Il lago è fango. Fango caldo. Bollente. È uno spettacolo interessante. Ci sono bolle che compaiono in superficie. Diventano sempre più grandi e poi… pffft, e sono sparite. Scoppiate. — Sbadigliò di nuovo. — L’odore di zolfo è davvero rivoltante. E ci sono pali lungo i bordi.

— Che cosa?

— Pali di legno. Grossi forse dieci centimetri e alti circa tre metri. Sono decorati con penne e pezzetti di stoffa. Alcuni hanno corna fatte di rame in cima. Davvero molto corrose. Devono essere stati i gas del lago.

"Presumo che il lago abbia una qualche specie di significato religioso. Non pensi? Ho trovato questo nel fango presso la riva." Si arrotolò una manica. Sul braccio aveva un braccialetto. Se lo tolse e me lo porse. Era d’oro, alto e pesante. Lo rigirai e notai un disegno, ripetuto quattro volte: un cornacurve con un altro animale che lo aggrediva, piantandogli gli artigli nella carne e azzannandolo. Che animale poteva essere? Il corpo era flessuoso come quello di una pantera, la testa stretta e allungata con orecchie enormi, e la coda finiva in un ciuffo. — Nia?

Lei si avvicinò.

— Che cos’è questo?

Prese il braccialetto. — Uh! È proprio bello! L’ha fatto qualcuno del mio popolo. Nessun altro sa fare un lavoro di questa qualità.

— Che animale è? Quello che sta sopra.

— Un assassino-delle-pianure. — Inclinò il braccialetto in modo che il disegno si vedesse meglio. — L’assassino-delle-montagne è più piccolo e ha delle squame oltre al pelo. Mi chiedo come ci sia arrivato qui. Dove l’hai trovato?

— L’ha trovato Derek giù nella valle, vicino al lago.

— Allora è un’offerta. Un dono ai demoni del fuoco. Non avresti dovuto prenderlo. — Porse il braccialetto a Derek.

— Oh, no? — Si rimise il braccialetto.

— Vedo che hai intenzione di tenerlo. — Nia fece il gesto che significava "così sia". — Credo che tu stia facendo un errore. — Si voltò e si allontanò.

Derek sorrise, poi si tirò giù la manica e l’allacciò.

— Ci sono volte in cui credo che tu sia pazzo — osservai.

— No. Solo gravemente alienato. In ogni caso, non credo ai demoni del fuoco. — Lanciò un’occhiata alla valle. — È un bene che non ci creda. La mia protezione personale è troppo lontana. La Balena Grigia non può aiutarmi qui.

La pista curvava verso sud, lasciando il margine della valle. Ancora una volta viaggiavamo in mezzo a colline. La giornata era nuvolosa e il sole era un luminoso disco bianco. Nella luce diffusa non c’erano ombre. Ero quasi certa che stessimo viaggiando verso occidente, ma non ci avrei scommesso. Pensavo anche che stessimo salendo, ma non avrei scommesso neppure su questo. La pista si snodava su e giù.

Gradualmente, i pendii delle colline si facevano più dolci, le valli più ampie e meno profonde. Gli alberi e gli arbusti, quei pochi che c’erano stati, sparirono.

— Uhu — disse Nia in tono soddisfatto. — Stiamo arrivando sulla pianura.

Ci inoltrammo in una nuova valle. Al centro scorreva un fiumiciattolo e un gregge di animali pascolava lungo la riva. Erano bipedi, una nuova specie, più grossa e più pesante di ogni specie vista in precedenza. Soltanto due si tenevano ritti sulle zampe posteriori. Forse stavano di vedetta. Gli altri avevano le zampe anteriori appoggiate al suolo e la testa abbassata, e stavano pascolando.

Derek disse: — Devono essere più abili dei nostri dinosauri. Devono competere con i mammiferi per i pascoli. O dovrei chiamarli mammiferoidi? Non capisco come riescano a sopravvivere.

— Ci sono, o c’erano, un sacco di strani uccelli sulla Terra. Struzzi. Emù. Casuari dell’elmo. E che dire del moa e del grande uccello degli alcidi? Sono sopravvissuti anche nell’era dei mammiferi. Di fatto, credo che la loro evoluzione sia avvenuta nell’era dei mammiferi.

Derek scosse il capo. — Si sono evoluti dai comuni uccelli per colmare determinate nicchie ecologiche: su isole, in almeno due casi. Il moa viveva nella Nuova Zelanda. Il grande uccello degli alcidi nidificava in Islanda. Queste creature invece si trovano ovunque. È evidente che riescono a competere con successo. E non credo che i loro antenati fossero uccelli. Sembrano più rettili, se questo termine ha un significato, su questo pianeta.

— Sono pennuti, e sono disposta a scommettere che sono animali a sangue caldo.

— Lo erano anche i dinosauri. Animali a sangue caldo, voglio dire.

Uno degli animali eretti emise un muggito. Gli altri s’impennarono sulle zampe posteriori e si allontanarono su per la valle lungo il fiume. Avevano un’andatura buffa, un modo di correre goffo. A dispetto dell’atteggiamento maldestro, coprivano una notevole distanza. Quando arrivammo sul fondo della valle erano già spariti.

All’incirca a metà del pomeriggio mi guardai attorno e mi resi conto che le colline erano finite. Ci trovavamo su una pianura ondulata, ricoperta di pseudo-erba che ondeggiava al vento, cambiando colore ogni volta che le foglie si rovesciavano: verde, verdeazzurro, bruno e grigio.

Qualcosa s’innalzava sopra l’orizzonte verso nord. Mi riparai gli occhi con la mano e osservai. La cosa era quasi dello stesso colore del cielo e così lontana che la si vedeva a stento. Un cono, ampio alla base. La sommità del cono, la punta, era mancante. Al suo posto c’era una linea orizzontale. L’orlo di un cratere.

Mi voltai ad aspettare Nia, che cavalcava a una certa distanza alle mie spalle. L’oracolo era dietro di lei, e cavalcava anche lui. — Che cos’è quello? — chiesi, indicandolo con la mano.

Lei lanciò un’occhiata, poi tirò le redini del suo animale.

— Non l’ho mai visto prima, ma ne ho sentito parlare. Quello è Hani Akhar. La Grande Montagna. La dimora della Signora della Fucina.

L’oracolo venne a fermarsi accanto a noi. Guardò verso nord. — Sì, è quella. Riesco a sentirla anche a questa distanza. È un luogo molto sacro. E anche pericoloso. Quello spirito non è sempre amichevole.

— Questa è certamente la pista sbagliata — disse Nia. — Siamo molto più a nord di dove volevo essere.

— Alla fine arriveremo nel posto giusto — ribatté l’oracolo. — La strada che prendiamo non conta.

Nia si grattò il naso. — Non c’è modo di discutere con una persona santa. Costoro sono sempre sicuri di saperne più di noi. E se diciamo "no", loro replicano: "Gli spiriti hanno parlato".

Proseguimmo. Non mi piaceva camminare accanto ai cornacurve. Erano troppo grossi, e la cavalcatura di Nia ogni tanto era irrequieta e perfino cattiva. E certamente non mi andava di seguire gli animali. Era una seccatura dover fare sempre attenzione allo sterco.

Quella sera ci accampammo presso un piccolo lago paludoso. Derek e Nia andarono a caccia. Tornarono al calar della notte, a mani vuote. Mangiammo pane vecchio e bevemmo l’acqua del lago. Aveva uno strano gusto.

— Acqua di palude — osservò Derek. — Ho bevuto di peggio in California.

— Nel deserto? — domandai.

— Per lo più. Ma anche a Berkeley. C’erano un paio di tizi nella mia facoltà che avevano gusti veramente disgustosi in fatto di vino. Ed erano persone importanti. Ero costretto ad andare alle loro feste.

— Di che cosa state parlando? — s’informò Nia.

— Di una bevanda simile al bara - risposi.

— Ha un gusto cattivo?

— Qualche volta — disse Derek.

Si allontanò, portando con sé la sua radio. Io rimasi accanto al fuoco con i due nativi.

La grande luna era sorta ed era più di una mezzaluna. La guardai, cercando di scorgere segni di un’eruzione vulcanica, ma le nuvole la velavano e ne rendevano indistinti i bordi.

Guardai i due indigeni. — È mai successo qualcosa di strano alla grande luna?

— Che cosa intendi dire? — domandò Nia.

Riflettei un momento, cercando di immaginare un modo per descrivere qualcosa che non avevo visto. — Non vi compaiono mai delle macchie luminose? Non si vedono mai delle cose sul bordo, come fili di vapore o come una lingua di fiamma sporgente?

Nia fece il gesto dell’affermazione. — Ma è una cosa eccezionale.

— Che cosa significa? — chiesi.

— Niente che io sappia. — Aggrottò la fronte mentre pensava. — Ci sono persone a occidente che hanno trovato un modo di osservare il sole senza ferirsi gli occhi. Secondo loro il sole non è perfetto e senza macchie come pensiamo. Sostengono che è chiazzato. Le chiazze sono nere e si muovono strisciando come insetti. Quando compaiono le macchie, in grande quantità, significa che il tempo si metterà al brutto.

— Non ho mai sentito questa storia — disse l’oracolo. — Ma so che cosa significa quando compare una macchia sulla luna.

Feci il gesto della curiosità.

— Significa che la Madre delle Madri non ha tenuto d’occhio la sua pentola.

— Che cosa? — domandai.

— Le donne anziane sostengono che la grande luna è una pentola per cucinare. Appartiene alla Madre delle Madri. A volte lei si dimentica di tenerla d’occhio e allora trabocca. Allora vediamo quello che hai descritto tu. Le vecchie dicono che significa che sarà un inverno di carestia. — Fece una pausa. — Mia madre sostiene che le vecchie si sbagliano. Lei tiene da parecchi anni una cordicella della luna. Ogni volta che succede qualcosa lassù, fa un nodo. E ha altre cordicelle che usa per tenere il conto del tempo atmosferico. Pioggia. Neve. Un vento forte. Siccità. Ha una cordicella per ogni tipo di tempo. Non c’è alcun collegamento fra quello che succede sulla luna e quello che succede sulla pianura. Questa è la sua opinione. Credo che abbia ragione.

— Mmm — fece Nia. — Non ho mai sentito la storia sulla luna. Se non è vera, non la ripeterò.

— La parte sulla pentola per cucinare è molto probabilmente vera — dichiarò l’oracolo. — Mia madre non ha detto niente a tale proposito. Non tutto quello che succede nel mondo degli spiriti ha una conseguenza sul mondo quaggiù.

Nia fece il gesto dell’approvazione.

Derek tornò. Gli rivolsi un’occhiata. — Sei riuscito a parlare con Eddie?

— Sì. Perché non avrei dovuto?

— C’era elettricità statica la notte scorsa e negli ultimi due giorni ho parlato con dei computer.

— Eddie non ha detto niente a proposito di elettricità statica. — Si sedette e si piegò con cura. — Né di computer. Ma ha passato il tempo in una delle grandi sale olovisive. La luna è davvero in eruzione, e l’eruzione è grossa. Ci stiamo perdendo un diavolo di spettacolo.

— Di che cosa stai parlando? — chiese Nia.

— La luna — dissi. — Sta traboccando.

Lei guardò il cielo. — Peccato che il cielo sia nuvoloso.

Il giorno seguente Nia disse di voler camminare.

— Mi sento di nuovo irrequieta. Se la caviglia incomincerà a darmi fastidio, ti chiederò di farmi cavalcare.

— D’accordo — dissi.

L’oracolo viaggiò cavalcando, come sempre. Di quando in quando passavamo accanto a piccoli acquitrini o a laghetti semiasciutti. Il cielo era caliginoso. Hani Akhar rimaneva appena visibile.

Nel pomeriggio inoltrato arrivammo in cima a una salita. Sotto di noi c’era un lago. Era molto più vasto degli altri che avevamo incontrato, dalla forma irregolare e pieno di minuscole isolette. Le rive erano paludose e vi cresceva l’erba enorme a mucchi.

Nia disse: — Conosco questo posto, benché non ci sia mai stata prima. È il Lago degli Insetti e delle Pietre. Ci troviamo nel territorio del Popolo dell’Ambra. Loro vengono qui in autunno durante il viaggio verso sud. Pescano e cacciano uccelli, ed eseguono cerimonie in onore della montagna.

L’oracolo fece il gesto dell’approvazione. — Un altro luogo sacro.

Scendemmo. Il cielo era limpido a occidente e il sole era basso. L’acqua luccicava e facevo fatica a vedere. Passammo accanto a una macchia di erba enorme. Il lago era solo a qualche metro di distanza. Le canne si muovevano al vento. L’acqua brillava. Qualcosa mugghiò. Era proprio di fronte a me ed emergeva con un gran fracasso dalle canne, impennandosi. Mio Dio! Era alto tre metri! La bocca era aperta. Le zampe anteriori erano protese verso di me, gli artigli aperti. Un altro muggito! L’animale che cavalcavo mosse di scatto la testa. Le redini diedero uno strappo fra le mie mani. Il cornacurve recalcitrò e mi ritrovai disarcionata. Un istante dopo atterrai con violenza al suolo. La scossa mi percorse da parte a parte e gridai. Poi mi ritrovai ritta in piedi.

— Tirati indietro — mi disse Derek. — Lentamente. Non spaventarlo.

Feci un passo indietro. Derek era al mio fianco. Non riuscivo a vedere Nia, né l’oracolo, né il mio cornacurve. Lo pseudo-dinosauro emise un altro muggito, ma non si mosse. Ora, per la prima volta, lo vedevo chiaramente. Alto tre metri. All’inferno! Erano più probabilmente quattro. Aveva il ventre di un rosa acceso e una cresta di piume gialle. Le zampe anteriori e le spalle erano di un color grigioazzurro scuro.

Feci un altro passo. La creatura sibilò. La bocca aperta era piena di denti. Denti smussati. Era un erbivoro. Ma gli artigli erano lunghi e affilati. Per scavare? Combatteva? Inclinò la testa e un minuscolo occhio vivo mi fissò.

— Continua a muoverti — disse Derek. La sua voce era sommessa e tranquilla. — Un passo alla volta.

Vidi Nia al mio fianco, dall’altro lato, con in mano un coltello. Un’arma inutile contro quel mostro.

Ora lo pseudo-dinosauro faceva un altro verso, un lamento. Che cosa significava? Poi vidi qualcosa muoversi alle sue spalle, proveniente dal lago. Un altro mostro. Battei le palpebre, cercando di vedere contro sole. Questo era più piccolo dell’animale che ci fronteggiava, e camminava su quattro zampe. Aveva la schiena grigia.

— La femmina — disse Derek.

L’animale girò la testa e strappò una canna con i denti. Poi proseguì, masticando e facendo un forte suono sgranocchiante. Frammenti di canna gli penzolavano dalla bocca. Dietro venivano altri tre animali. Erano piccoli, delle dimensioni di un cane San Bernardo. Due erano quadrupedi e seguivano la madre con un’andatura dondolante. Il terzo saltellava goffamente.

— Ebbene, che cosa sai?

Continuammo a indietreggiare, allontanandoci dal maschio infuriato. Dov’era l’oracolo? Non riuscivo a vederlo.

La madre proseguì dondolandosi, seguita dai tre piccoli. Finalmente scomparvero alla vista, nascosti da una macchia di erba enorme. Il maschio sibilò, poi si voltò e seguì a balzi la sua famiglia. La spalla incominciava a farmi male. Mi cedettero le ginocchia e mi sedetti.

— Davvero interessante — osservò Derek. — Si preoccupano dei loro piccoli. Ciò contribuisce a spiegare come siano in grado di sopravvivere in concorrenza con gli pseudo-mammiferi. I mammiferoidi. Abbiamo bisogno di un intero nuovo vocabolario. O Santa Unità! Pensavo che mi sarei pisciato nei pantaloni.

Nia disse: — Uh! — Mise via il coltello. — Spero che il pazzo stia bene. Il suo cornacurve è fuggito. L’ultima volta che l’ho visto si teneva ancora aggrappato.

— Oh, mio Dio, Derek. La nostra attrezzatura. Le radio.

Lui scoppiò in una risata. — Sui cornacurve. Là fuori. — Fece un ampio gesto con la mano per indicare la pianura. — Tu stai bene?

— La spalla mi fa un male infernale e mi sono morsa la lingua. Non so quando.

Derek mi sottopose a un rapido esame. — La tua spalla non è lussata e la lingua è ancora al suo posto. Credo che te la caverai. — Si voltò a fissare la pianura. — Vado in cercadella nostra attrezzatura. Ero abituato a rincorrere i cavalli in California. I cornacurve non sono più veloci. Li raggiungerò. — Si volse verso di me. — Accampatevi qui da qualche parte. Vi troverò.

— Derek… — incominciai.

Lui si allontanò a grandi passi.

— Derek! — gridai.

Non si voltò a guardare indietro.

— È un individuo molto strano — osservò Nia.

— Sì. — Restai a osservarlo finché non scomparve alla vista, poi mi voltai a guardare Nia. — Bene, troviamo un posto per accamparci.