"Sigma Draconis" - читать интересную книгу автора (Arnason Eleanor)InahooliSeguimmo la pista lungo la riva finché non arrivammo a una macchia di erba enorme. Nia tagliò dei rami e li intrecciò per formare dei canestri: trappole per i pesci. — Può darsi che questo modo non funzioni. È più facile catturare pesci in un fiume. — Mise le trappole dentro l’acqua. Dopo di che esplorammo il boschetto. Nia trovò un gruppetto di piante che crescevano sul margine orientale. Erano radici commestibili. Io raccolsi legna per il fuoco. Cucinammo le radici. Erano croccanti e quasi senza sapore. — Sono buone nello stufato di carne — mi spiegò Nia. — Da sole… — Fece il gesto che significava "il resto è chiaro". — Sempre meglio di niente. Lei fece il gesto dell’affermazione. Calò la sera. Il vento cambiò. Ora soffiava dal lago. All’improvviso il boschetto si riempì di insetti. — Morsicatori! — esclamò Nia. Mi diedi una pacca sul collo. — Hai ragione. Ci rannicchiammo accanto al fuoco. Il fumo ci proteggeva fino a un certo punto. Venni morsicata una seconda volta, su un polso. Anche Nia fu morsicata una volta, sul palmo della mano, dove non aveva pelliccia. — Uh! — Batté fra loro le mani. — Bene, ho preso la creatura. Non darà più fastidio a nessuno. Come riesci a sopportarlo, Li-sa? Tu non hai pelliccia. Possono morderti dappertutto. Il fumo mi era entrato negli occhi, che ora lacrimavano. I punti in cui ero stata punta dagli insetti prudevano. — Non amo affatto le situazioni come questa. — Mi grattai una morsicatura. — Ma che cosa posso farci? Non posso farmi crescere la pelliccia. E in ogni caso, ho sopportato di peggio. Un tempo vivevo nel Minnesota. — Dove? — domandò Nia. — Una terra con molti laghi e molti insetti. — Feci una pausa e restai in ascolto. Gli insetti mi ronzavano attorno alle orecchie. Ce n’erano un sacco. Avrebbero dovuto morsicare di più. Forse non avevo l’odore giusto. Forse erano soltanto gli insetti coraggiosi, o quelli stupidi, che decidevano di fare un tentativo con me. — Mi allontanai il fumo dalla faccia con la mano. — Riescono a morsicarti attraverso la pelliccia? — Solo in qualche punto, dov’è più sottile. Attorno agli occhi o nell’incavo del gomito. Il vento cambiò di nuovo direzione e scacciò gli insetti. Ci coricammo. Non avevamo niente con cui coprirci. Il mantello di Nia si trovava con il resto dei nostri bagagli da qualche parte della pianura, così pure il mio poncho. Ma la notte era mite e io ero sfinita. Mi raggomitolai e mi addormentai subito. Mi svegliai presto. Le nuvole erano sparite e il cielo sopra di me era di un brillante verdeazzurro. Gli uccelli facevano rumori fra le foglie. Nia russava accanto alle ceneri del fuoco. Mi alzai, gemendo. Avevo il corpo completamente irrigidito e la spalla mi faceva particolarmente male. Me la massaggiai e intanto mi guardai attorno. Non c’era un filo di vento, e il lago era immobile. Al largo, oltre i canneti, una canoa scivolava sull’acqua. — Nia! Lei balzò in piedi. Gliela indicai. Nia gridò e agitò le braccia. La canoa virò nella nostra direzione. Un attimo dopo era sparita, nascosta dai canneti. Ci precipitammo verso la riva. — Chi può essere? — domandai. — Non lo so. Una donna. Una del Popolo dell’Ambra. La prua si fece largo fra le canne. Era fatta rozzamente con un tronco scavato. Veniva silenziosa verso di noi. La donna, seduta nella parte posteriore, sollevò la pagaia dall’acqua, poi alzò una mano e si riparò gli occhi. — Sto vedendo delle cose? Una di voi è senza pelo? — Sì — dissi. La canoa raggiunse la riva. La donna scese. Era più alta di me, dinoccolata, con il pelame di un bruno scuro. La faccia era larga e piatta, gli occhi di un arancione scuro, quasi rosso. Indossava una tunica giallo chiaro decorata con strisce ricamate. Il disegno era complicato e geometrico, fatto in diverse tonalità di azzurro. La cintura era blu, e portava un lungo coltello in un fodero di cuoio blu. — Sei nata così? — s’informò. — O sei stata ammalata? — Questo è il mio modo naturale di essere. — Usai la parola che significava "consueto" o "giusto". Lei mi squadrò dalla testa ai piedi. — Naturale, eh? E tu? — Si rivolse a Nia. — Chi sei? E perché viaggi con uno scherzo di natura? — Sono una donna del Popolo del Ferro. Nia la lavoratrice del ferro. La nuova arrivata corrugò la fronte. — C’è qualcosa di familiare in quel nome. — È abbastanza comune — replicò Nia. La donna manteneva la sua espressione accigliata. Nia proseguì. — E il tuo nome qual è? — Toohala Inahooli. Appartengo al Popolo dell’Ambra e al Clan della Cordaia. In questo momento, ho una posizione di grande prestigio. Sono la guardiana della torre del clan. Nia fece il gesto del riconoscimento. Io dissi: — Che cos’è una torre del clan? La donna mi guardò con astio. — Da dove vieni? Non lo sai che fra il Popolo dell’Ambra ogni clan erige una torre in onore della sua Prima Antenata? Costruiamo ogni torre cercando di farla più alta possibile. La ricopriamo di decorazioni ed eseguiamo cerimonie di fronte alla torre per impressionare gli altri clan e far sì che provino invidia e mortificazione. Un nuovo tipo di manufatto! Riflettei un momento. — Posso vedere la torre? — Sì. Naturalmente. A che serve una torre se la gente non ne viene impressionata? E come fa essere impressionata se non viene a vederla? Ma ti avverto, la nostra magia è potente. Se c’è qualcosa di demoniaco in te, riporterai dei danni. — No. Non sono demoniaca. — Non possiamo andare — intervenne Nia. — Deragu… — Esitò. — Non so dire il suo nome. — Derek. — Derag ci ha detto di aspettare. La donna si accigliò. — Chi è questa persona? Mi sembra un nome maschile. — La persona è una donna — disse Nia. — Viene dallo stesso posto di Li-sa. Loro parlano una lingua che è assolutamente diversa dalle lingue della pianura. Le desinenze sono differenti. Inahooli fece il gesto che significava che capiva ciò che dicevamo. Nia proseguì. — I nostri cornacurve sono fuggiti. Lei… questa persona, Derag… è andata a cercarli. Inahooli ripeté il gesto della comprensione. — Tu rimani qui — feci io. — Se Derek arriva, dille dove sono. Capirà. Nia fece il gesto che significava "no". — Perché no? Nia si grattò la nuca. Forse era stata morsicata in quel punto, anche se, da quanto ricordavo, la pelliccia lì era piuttosto folta. — Ascoltate — disse Inahooli. — Io me ne vado. Voi due potete discutere. Forse quella — puntò il dito contro Nia — ha qualcosa di cattivo da dire su di me. — S’incamminò lungo la riva — Okay — dissi. — Qual è il problema? Credi che quella donna sia pericolosa? — No. Ma credo che abbia sentito parlare di me. Quando la mia gente ha scoperto di me ed Enshi, c’è stato un gran clamore. Il Popolo dell’Ambra potrebbe aver sentito quelle voci. Loro fanno scambi con noi. — Voglio vedere la torre. Hai sentito parlare di cose del genere? — Sì. Il Popolo dell’Ambra non è come la mia gente. Noi siamo imparentati con il Popolo della Pelliccia e dello Stagno. Conosciamo quelle persone. Le chiamiamo "consanguinee". E credo che possa esserci una parentela anche con il Popolo del Rame. La loro lingua non è difficile da imparare. Ma il Popolo dell’Ambra… La loro lingua è difficile e le loro usanze sono particolari. Loro si vantano moltissimo. Ogni clan cerca di superare gli altri nella costruzione di torri e nella danza. Non li capisco. — Io vado — dissi. — Dovrei essere di ritorno questa sera. Nia fece il gesto che significava "così sia". — Non dirle che viaggiamo con degli uomini. Non credo che capirebbe. — Okay. — Feci un cenno della mano a Inahooli, che tornò indietro. — Vengo con te. — Bene. Sarà un evento straordinario. Nessuna guardiana ha mai mostrato la nostra torre a una persona senza pelo. Spingemmo lontano dalla riva la canoa e ci salimmo. Inahooli incominciò a pagaiare. Nel giro di un minuto o due Nia era sparita alla vista, nascosta dalle piante che io chiamavo canne, che ondeggiavano sopra di noi, alte e di un grigioazzurro spento. La maggior parte degli steli terminava in un ammasso di foglie, ma qui e là distinguevo una testa rotonda, scura e pelosa. Il fiore della pianta? Non lo sapevo. Scivolammo silenziose verso il largo. Davanti a noi c’erano delle isole. Erano piccole, larghe solo alcuni metri, costituite di una tenera pietra vulcanica che l’azione degli agenti atmosferici aveva modellato in forme assai bizzarre. Una somigliava a un fungo. Un’altra, alta e sottile, mi faceva venire in mente una donna umana con una lunga veste. Una terza era un arco. Una quarta era una cattedrale in miniatura. Tardo Gotico, decisi. La cattedrale aveva un sacco di guglie. Scivolavamo fra le isole. Guardai giù. L’acqua era limpida. Un pesce comparve con un guizzo, poi si girò di lato e sparì. Che pianeta! Tutt’a un tratto provai un senso di orrore all’idea di tornare a casa. Falla finita, pensai. Non pensare alla Terra. Concentrati sul presente. Goditi quello che hai adesso. Guardai davanti a me. C’era un’altra isola in vista: lunga e bassa, circondata di canne. A un’estremità sorgeva una costruzione, alta una ventina di metri, calcolai, e fatta di una rozza ingraticciata. Alla torre erano appesi stendardi, che in quel momento penzolavano flosci. Man mano che ci avvicinavamo, scorsi altre decorazioni: mucchi di penne e lunghe filze di conchiglie. — La torre della Cordaia — mi spiegò Inahooli. Girammo intorno all’isola. Sull’altro lato c’era una spiaggia. Sbarcammo e tirammo la canoa sulla ghiaia. Inahooli mi guidò verso la torre. L’isola era rocciosa e quasi totalmente brulla, con solo sporadiche macchie di vegetazione: pseudomuschio color arancione, pseudo-licheni bruni e una grigia pianta ricca di foglie che mi arrivava a metà polpaccio. C’erano soltanto due oggetti abbastanza grandi: la torre e una tenda di tessuto marrone scuro. — Quella è la mia dimora — mi spiegò Inahooli. — Ogni primavera veniamo qui. Il clan ricostruisce la torre ed esegue cerimonie per santificarla. Poi lanciamo i dadi e una di noi viene scelta per fare la guardiana. Quella donna resta presso la torre per tutta l’estate. La sorveglia e si assicura che non le capiti nulla. In autunno la tribù ritorna. Il clan invita tutti a una grande danza. Mangiamo. Facciamo musica, ci vantiamo delle nostre antenate. Se tutto va bene, gli altri clan si sentono in imbarazzo. Dopo di che andiamo tutti a sud verso la Terra dell’Inverno. Il Clan dell’Uccello Terrestre esegue laggiù le proprie danze. Di solito malamente. Per qualche ragione, non sono mai state brave a vantarsi. E in ogni caso, di cosa mai dovrebbero vantarsi? La loro antenata non è che un miserabile uccello terrestre che ha fatto soltanto una cosa di una certa importanza. — Che cosa? — Ha rubato il fuoco allo Spirito del Cielo e lo ha dato al popolo del mondo. Un’ottima cosa. Ci sentiamo grate nel cuore dell’inverno quando la neve è alta e soffia il vento e così via. Ma la nostra antenata ha salvato tutti gli esseri viventi. — Oh, davvero? Arrivammo alla tenda. La torre si trovava solo a una decina di metri di distanza. Vicino alla base c’era una fila di maschere appese all’ingraticciata. Erano ovali e con fori degli occhi rotondi. Ciascuna era dipinta di un colore uniforme: rosso, giallo, nero, bianco. Le indicai col dito. — Chi rappresentano? — Quella nera è la Cordaia. La gialla è l’Imbroglione. La rossa è la Signora della Fucina. E la bianca è la Vecchia del Nord. — Parlami di loro. Lei mi scrutò da capo a piedi. Era uno sguardo prudente, lo sguardo di una narratrice che ha avuto un’opportunità. — Benissimo. Ma non posso usare le maschere. Devono restare dove sono fino alla grande danza. Siediti. Cercherò di rendere la storia semplice e il più breve possibile. Mi sedetti di fronte alla tenda e Inahooli si sistemò davanti a me. Nel cielo un uccello zufolò, librandosi sopra il lago. — Questa è la storia del pettine d’avorio — mi disse con voce sonora. "Nell’estremo nord vive una vecchia. La sua tenda si trova nel cielo. Le pareti della tenda sono fatte di luce e pendono in pieghe dai pali della tenda, che sono fatti con le ossa del mostro del mondo originale. Come siano arrivate nel cielo è un’altra storia, che non ho il tempo di raccontare. La vecchia ha un pettine, ricavato da uno dei denti del mostro. È d’avorio, bianco come neve. Lei lo usa per pettinarsi la pelliccia. Quando lo fa, tira fuori delle creature. Queste cadono sul pavimento e spariscono, passando attraverso il pavimento per finire nel mondo. Tutti gli animali del mondo nascono in questo modo. "Quando la vecchia si pettina il lato sinistro del corpo, gli animali che escono sono buoni e utili: i cornacurve che conduciamo in branco, gli uccelli che cacciamo e mangiamo. Quando si pettina il lato destro del corpo, gli animali che escono sono dannosi: lucertole dal morso velenoso e insetti che mordono. Gli abitanti del mondo cantano rivolti alla vecchia, lodandola e chiedendole aiuto. Questa è una delle canzoni: "Nonna, sii generosa. Pettinati la parte sinistra del corpo. Allora saremo prosperi. Allora saremo felici. I nostri figli saranno grassi Nelle nostre tende presso il fuoco. "Nonna, sii compassionevole. Non pettinarti la parte destra del corpo. Lascia le lucertole dove sono. Non mandarci gli insetti che mordono e pungono. "Nell’estremo sud c’è un giovane. È alto e di bell’aspetto. I suoi occhi sono gialli come il fuoco. Nessuno sa con certezza chi sia sua madre. Alcuni dicono che sia il grande spirito, la Madre delle Madri. Altri dicono che sia un demone del fuoco. "Il giovane è chiamato l’Imbroglione. È colui che appare agli uomini in inverno, quando sorvegliano la mandria. Ogni uomo siede da solo sotto una tenda che è fatta con un mantello steso sopra i rami di un arbusto o di un albero. La neve scende su di lui. Il fuoco che ha davanti a sé è basso. L’uomo sta seduto e rabbrividisce, tenendo le braccia strette contro il corpo. Allora compare l’Imbroglione. La sua voce è come il vento. Dice: ’Perché lo fai? Perché soffri per le ingrate donne del villaggio? Dimenticati di tua madre. Dimenticati delle tue sorelle. Dimentica i figli e le figlie che potresti avere. Vattene fra le colline e vivi come un animale senza obblighi, soddisfacendo soltanto te stesso’. "La maggior parte degli uomini ignora la voce. Ma alcuni ascoltano. Impazziscono e abbandonano la mandria, vagando fra le colline. Dopo di che nessuno li vede più. "L’Imbroglione è lo stesso che va incontro alle donne in primavera, quando è il periodo degli accoppiamenti. Si presenta come il migliore degli uomini, grande e grosso, forte e sicuro di sé. Fissa il suo territorio vicino al villaggio. Nessun altro uomo osa affrontarlo. Quando arrivano le donne smaniose, lo incontrano. Alcune di loro, comunque, lo incontrano. Ogni donna che si accoppia con lui pensa: che padre eccellente! Mia figlia sarà robusta e intraprendente. E anche di bell’aspetto. "Ma l’accoppiamento non genera figli. O se nascono dei figli o delle figlie, sono malaticci e irascibili. Non causano altro che guai. "Di solito succede così. Ma l’Imbroglione non è mai prevedibile neppure nel male che fa. Una volta ogni tanto una donna si accoppia con lui e la figlia che nasce è come il padre, grande, forte e sicura di sé: una vera eroina. "Una di queste era la mia antenata, la Cordaia. Ma prima devo raccontarti in che modo l’Imbroglione rubò il pettine d’avorio. "Si trovava nell’estremo nord e aveva freddo e fame. Non c’era niente lì attorno all’infuori della vasta pianura coperta di neve. Dopo un po’ arrivò alla tenda della vecchia. Risplendeva sopra di lui, bianca, gialla e verde. Lui si tolse le racchette da neve e le infilò in un mucchio di neve, poi si arrampicò su nel cielo. Entrò nella tenda. La vecchia era lì, seduta al centro del pavimento. La sua pelliccia era diventata grigia per l’età. Si stava pettinando con il pettine d’avorio. "L’Imbroglione si sedette e restò a guardare con bramosia. La vecchia stava passando il pettine nella pelliccia sull’avambraccio sinistro e ne uscivano degli animali. Erano piccoli e scuri. La vecchia scuoteva il pettine e gli animali cadevano giù. Quando toccavano il pavimento, sparivano. Andavano nel mondo, nelle profonde tane dei costruttori di monticelli. "’Nonna’ disse l’Imbroglione. ’Dammi qualcuno dei tuoi animali. Ho fame, e sembrano deliziosi.’ "La vecchia lo fissò. ’Io so chi sei. L’Imbroglione, Colui Che Racconta Menzogne.’ Scosse il pettine, poi afferrò uno degli animali a mezz’aria. Se lo mise nella mano. Il minuscolo muso si contrasse e i baffi fremettero. Fissava l’Imbroglione con i vivaci occhi scuri. ’Questi animali sono parte di me. Io li dono alla gente che li tratta con rispetto. Ma tu, o Malvagio, tu maltratti tutto ciò su cui metti le mani. Non c’è rispetto in te. Non ti darò nulla.’ Capovolse la mano. L’animale cadde al suolo e sparì. "L’Imbroglione digrignò i denti. ’Nonna, abbi pietà.’ "’No’ disse la vecchia. ’Puoi anche morire di fame per quel che me ne importa. Che ti serva di lezione.’ Si voltò, dando le spalle all’Imbroglione. "Lui balzò in piedi. ’Te ne pentirai, vecchia gallina!’ Corse fuori dalla tenda, scese dal cielo e si sedette accanto alle sue racchette nel mucchio di neve. Qui aspettò che la vecchia si addormentasse. Il suono del suo russare pervase la pianura. L’Imbroglione si arrampicò di nuovo nel cielo ed entrò di soppiatto nella tenda. Le pareti risplendevano più che mai e la tenda era piena di una pallida luce tremolante. Vide la vecchia distesa sulla schiena. Accanto a lei c’era il pettine d’avorio. Lo prese. "’Ma dove mi nasconderò?’ si chiese. ’Quando gli spiriti scopriranno che è sparito, frugheranno l’intero mondo. Quale posto è sicuro?’ "Allora gli venne un’idea. Si fece piccolissimo, se stesso e anche il pettine, e strisciò dentro la vagina della vecchia. Lei gemette e si grattò, ma non si svegliò. "’Questo non è il posto più piacevole dove sia stato’ disse l’Imbroglione. ’Gradirei più luce e un po’ meno di umidità. Ma a nessuno verrà in mente di guardare qui dentro.’ "La vecchia si svegliò e allungò la mano per prendere il pettine. Non c’era. Lanciò un urlo. In ogni parte del mondo gli spiriti balzarono su. ’Che cosa c’è?’ gridarono. ’Che cosa succede?’ "Allora ebbe inizio la ricerca. Su e giù, avanti e indietro, dentro e fuori. Gli spiriti frugarono ovunque. Ma non trovarono il pettine. "’Che cosa farò?’ disse la vecchia. ’Il pettine è insostituibile. Non ne esiste un altro uguale, e senza di esso non posso pettinarmi la pelliccia.’ "Gli spiriti non seppero che cosa rispondere. "Giunse la primavera. La vegetazione fece la sua comparsa. Le colline e la pianura divennero azzurre. Gli abitanti del mondo notarono che c’era qualcosa che non andava. In ogni villaggio si recarono dalla sciamana. "’Che cosa sta succedendo?’ chiesero. ’I pesci guizzano nel fiume come fanno ogni anno, ma nessuno ha visto pesciolini. Gli uccelli edificano nidi come sempre, ma i nidi sono vuoti. Quanto ai piccoli animali, i costruttori di monticelli, gonfiano la sacca nel collo. Gridano e gemono e si agitano, ma non generano piccoli.’ "Le sciamane mangiarono piante narcotiche. Danzarono ed ebbero visioni. Dissero: ’L’Imbroglione ha rubato il pettine d’avorio. Senza pettine non nascerà nessun animale. Moriremo tutte di fame a causa di quell’individuo maligno’. "Tutte le persone gridarono. Si batterono il petto e le cosce. Pregarono gli spiriti. Ma che cosa potevano fare gli spiriti? "Ora la storia passa alla Cordaia. Era una donna del Popolo dell’Ambra. Era grande e grossa con un pelame lucente. I suoi occhi erano gialli come il fuoco. Le braccia erano forti, le dite agili. La maggior parte delle persone credevano che fosse figlia dell’Imbroglione. Ne aveva l’aspetto. "Il suo mestiere consisteva nel fabbricare corde di cuoio. In questo era molto abile. Le sue corde erano sottili e flessibili, e non si allungavano. Erano dure da rompere e duravano per anni. "In ogni caso, arrivò il periodo degli accoppiamenti. Le donne del Popolo dell’Ambra sentirono crescere dentro di loro la smania primaverile. Ma quell’anno erano riluttanti ad andarsene sulla pianura. ’A che serve lasciare il villaggio?’ dicevano. ’Perché dovremmo prenderci la briga di andare in cerca di un uomo? I figli che concepiremo moriranno di fame.’ "Ma la smania si fece più forte. Ogni donna impacchettò i doni che aveva preparato durante l’inverno. Ogni donna sellò un cornacurve e si diresse verso la pianura. Fra queste c’era la Cordaia. Nella borsa da sella aveva una lunga corda di ottima qualità. Era il suo dono di accoppiamento. "Ora la storia torna all’Imbroglione. Ormai incominciava a diventare irrequieto. Non c’era nulla da fare nella vagina della vecchia. Sapeva che era primavera. Voleva andarsene per il mondo a giocare un tiro mancino a qualcuno. Attese che la vecchia si addormentasse e sgattaiolò fuori. Si lasciò dietro il pettine e via che andò verso sud. Dopo un po’ arrivò nella terra del Popolo dell’Ambra. Trovò un territorio in prossimità del villaggio. C’era già un uomo lì, un uomo grande e grosso con molte cicatrici. L’Imbroglione si avvicinò e gli disse: ’Faresti meglio ad andartene’. "’Sei pazzo?’ rispose l’omaccione. ’Sono arrivato qui per primo. E in ogni caso, sono più grosso di te.’ "L’Imbroglione si allungò fino a diventare più alto dell’altro uomo, poi lo guardò furioso dall’alto. I suoi occhi gialli splendevano come il fuoco. ’"Be" disse l’uomo. ’Se è così che la metti.’ Montò in sella al suo cornacurve e se ne andò. "L’Imbroglione gli gridò dietro una serie di insulti. L’uomo non si voltò. "Dopo di che l’Imbroglione si sistemò e restò in attesa. Passò un giorno e poi un altro. Il terzo giorno comparve una donna. Era la Cordaia. L’Imbroglione si sentì soddisfatto. Era una donna notevole. Era una persona che valeva la pena trarre in inganno. "Quanto alla Cordaia, le piacque ciò che vide: un uomo grande e grosso che se ne stava ritto sulla pianura a gambe divaricate e con le spalle diritte. La sua pelliccia era folta e lucida. Indossava una splendida tunica, ricoperta di ricami. Sulle braccia portava braccialetti d’argento. Erano alti e brillanti. "Quando si avvicinò, notò che l’uomo aveva un particolare odore. ’Be’, nessuno è perfetto’ disse fra sé. "Arrivata accanto all’uomo, smontò di sella. Giacquero sulla pianura e si accoppiarono. Dopo di che lei disse: ’Ho brutte notizie’. "’Oh, davvero?’ fece l’Imbroglione. "’La Vecchia del Nord ha perduto il suo pettine. A causa di ciò, non può pettinarsi la pelliccia, e nel mondo non nasceranno più animali.’ "’E con questo?’ "’Se avremo un figlio, morirà di fame.’ "’E con questo? La cosa non mi riguarda. Fintantoché potrò accoppiarmi, sarò soddisfatto. Chi se ne frega del risultato di quello che facciamo insieme?’ "’A me importa. E in ogni caso, se questa situazione continuerà, moriremo tutti. Perché, come potremo vivere senza i cornacurve, gli uccelli nel cielo e i pesci nei fiumi?’ ’"Se tu vuoi morire, accomodati. Io non mi preoccupo. Intendo continuare a vivere, qualunque cosa accada al resto del mondo.’ L’Imbroglione si rigirò e si mise a dormire. "La Cordaia lo guardò. La sua pelliccia riluceva come rame e c’era come un alone attorno al suo corpo. Si rese conto che quello non era un uomo comune. Era uno spirito. Uno spirito malvagio. L’Imbroglione. "Allora prese la corda e lo legò. Poi attese. Lui si svegliò e cercò di stirarsi, ma non ci riuscì. ’Che cos’è questa storia?’ gridò. "’Sei in trappola’ gli disse la Cordaia. ’E non ti lascerò andare finché non mi darai il pettine d’avorio.’ "L’Imbroglione digrignò i denti, si dimenò e si rotolò. Un tallone colpì il terreno e fece un buco; dal quale scaturì acqua che creò un lago. Il lago c’è ancora. È vasto, poco profondo, pieno di sassi e canneti. È chiamato il Lago dell’Imbroglione o il Lago degli Insetti e delle Pietre. "La corda non si spezzò. L’Imbroglione continuò a divincolarsi. Si allontanò rotolando dalla Cordaia. Batté sul terreno con le mani legate. Fece un altro buco, più profondo del primo. Da questo sgorgò fango caldo che ribollì attorno all’Imbroglione. Lui bolliva come un uccello in una pentola. Ma la sua magia era potente e non si fece alcun male. La corda, tuttavia, non poteva resistere al calore e all’umidità. Incominciò ad allungarsi. Con uno strattone, l’Imbroglione si liberò e balzò in piedi. Gridò: "Io sono l’Imbroglione, o stupida donna! Non posso essere trattenuto. Non ho nessun obbligo. "Io sono l’Imbroglione, o stupida donna! Nessuno può trattenermi. Nessuno può fermarmi." "Dopo di che si allontanò di corsa attraverso la pianura. Andò a nord, tornando nel suo nascondiglio. La Cordaia l’osservò allontanarsi. Si morse il labbro e serrò i pugni. ’È un grande spirito, e può darsi che sia un mio parente. Ma non gli permetterò di fuggire così.’ "Montò in sella al suo cornacurve e si diresse verso nord. Viaggiò a lungo ed ebbe parecchie avventure. Ma non ho il tempo di raccontartele. "Finalmente arrivò nel luogo in cui viveva la vecchia. Era piena estate. La pianura era gialla, i fiumi poco profondi. La Cordaia smontò di sella e legò il suo animale. Poi si arrampicò su nel cielo. "’Nonna’ chiamò. ’Vuoi lasciarmi entrare? Ho fatto un lungo viaggio per vederti.’ "’Entra’ rispose la vecchia. ’Ma non posso aiutarti. Ho perso il mio pettine. Non ho nulla da dare.’ "La Cordaia entrò nella tenda. La vecchia era lì, seduta al centro del pavimento. Era nuda e si grattava il ventre con entrambe le mani. ’Sto impazzendo’ disse. ’La mia pelliccia è piena di animali e non posso tirarli fuori. Me li sento strisciare fra le pieghe del ventre. Me li sento sotto le ascelle. Me li sento sulla schiena. Nipote, ti prego. Sii gentile con me! Grattami in mezzo alle scapole.’ "La Cordaia le grattò la schiena. La vecchia continuava a lamentarsi. ’Me li sento perfino nella vagina, sebbene non abbia pelliccia là dentro. Ogni tanto si muovono e mi fanno il solletico. Oh! È una cosa terribile!’ "La Cordaia aggrottò la fronte. Si ricordò dell’odore che aveva sentito addosso all’Imbroglione e all’improvviso capì qual era il suo nascondiglio. ’Ma come riuscirò a farlo uscire?’ si chiese. ’E come farò a catturarlo e a tenerlo prigioniero una volta che sarà uscito?’ "Decise di mettersi a dormire. Si coricò e chiuse gli occhi. La vecchia era seduta accanto a lei e si grattava. Ben presto la Cordaia incominciò a sognare. Nel sogno le apparvero tre spiriti. Una era una donna di mezza età con un ventre enorme e seni imponenti. Indossava una lunga veste ricoperta di ricami. "Il secondo spirito era un uomo. La sua pelliccia era verdeazzurra e aveva ali al posto delle braccia. Portava un gonnellino dello stesso colore della pelliccia. La fibbia della sua cintura era rotonda e fatta in oro. Scintillava in modo splendido. "Il terzo spirito era una giovane donna. Era grande e muscolosa. Teneva in mano un martello e indossava un gonnellino di cuoio. I suoi occhi erano di un rosso arancione. "La Cordaia li riconobbe. La prima era la Madre delle Madri. Il secondo era lo Spirito del Cielo. E la terza era la Signora della Fucina, che vive in Hani Akhar, il grande vulcano. "’O, santi’ esclamò la Cordaia. ’Aiutatemi! So dove si nasconde l’Imbroglione. Ma mi serve un modo per farlo uscire dal suo nascondiglio. E quando sarà uscito, cercherà di fuggire. Mi serve un modo per catturarlo.’ "Lo Spirito del Cielo parlò per primo. ’Resterò di guardia. Se cercherà di fuggire, vedrò dove andrà. Non riuscirà a trovare un nuovo nascondiglio.’ "La Signora della Fucina parlò per seconda. ’Fabbricherò una corda di ferro, forgiata con la magia, in modo che non si spezzi mai. Si allaccerà da sola e potrà muoversi. L’Imbroglione non riuscirà a liberarsene.’ "La Madre delle Madri parlò per ultima. ’So come far uscire l’Imbroglione dal suo nascondiglio.’ Si protese in avanti e bisbigliò qualcosa all’orecchio della Cordaia. "Al mattino la Cordaia si svegliò. Accanto a lei c’era una corda attorcigliata. Era di un color grigio spento e aveva una particolare struttura simile alle squame di una lucertola. La Cordaia l’osservò con attenzione. Era fatta di minuscole maglie fissate fra loro. "’Buongiorno, nonna’ disse alla Vecchia del Nord. ’Mi è venuta un’idea. Hai detto che sentivi prurito nella vagina, sebbene non ci sia pelliccia là dentro.’ "La vecchia fece il gesto dell’assenso. "’Non credo che tu abbia un animale lì dentro. Credo che tu abbia bisogno di un po’ di sesso.’ "’Sei pazza!’ esclamò la vecchia. ’È il periodo sbagliato dell’anno. E comunque sono troppo vecchia per provare la smania.’ "’Ricordati’ disse la Cordaia. ’Una donna non invecchia facilmente. La smania non svanisce di colpo. Spesso una donna diventa irritabile e instabile. Il suo comportamento cambia da un giorno all’altro. Prova la smania nel periodo sbagliato. Nel periodo giusto, in primavera, non prova assolutamente niente. Non riesce a capire che cosa stia succedendo, non più di una ragazzina quando diventa donna. Credo che sia quello che sta accadendo a te.’ "’No!’ protestò la vecchia. "’In ogni caso, prova con il sesso. Andrò in cerca di un giovanotto per te. Se ho ragione, e ciò che provi è la smania… un po’ tardi, lo ammetto… allora il giovane reagirà a te. E forse dopo ti sentirai meglio.’ "La Cordaia si alzò e uscì dalla tenda, portando con sé la corda di ferro. "L’Imbroglione sentì tutto questo e incominciò a sentirsi a disagio. ’Se quella pazza riuscirà a trovare un uomo disposto ad accoppiarsi con questa vecchia gallina… be’, la mia posizione non sarà comoda. È probabile che mi prenda delle terribili percosse. È meglio che me ne vada fuori di qui.’ "Attese che calasse la sera e che la vecchia stesse russando, poi sgattaiolò fuori. Aveva in mano il pettine. Si diresse furtivamente verso la porta e uscì. La Cordaia lo aspettava lì fuori. La Grande Luna era alta nel cielo e illuminava il cielo e la pianura. Illuminava l’uomo mentre usciva dalla porta. "’Eccoti, spirito malvagio!’ esclamò la donna. Gettò la corda di ferro. "Questa si attorcigliò a mezz’aria e si avviluppò attorno all’uomo, che inciampò e cadde. Il pettine gli volò via dalla mano. La Cordaia lo afferrò. Quanto all’Imbroglione, cadde giù dal cielo e atterrò sulla pianura. Rotolò avanti e indietro. Gridò. Si divincolò. Ma la corda non si ruppe. Dopo un po’ rinunciò e restò disteso lì, immobile, respirando con difficoltà. "Tre spiriti comparvero attorno a lui. L’Imbroglione alzò lo sguardo su di loro. ’Immagino che siate voi i responsabili di questo.’ "’Sì’ rispose la madre delle Madri. ’Questa è la fine di tutti i tuoi malvagi inganni. Ti porteremo lontano da qui e ti lasceremo cadere nell’oceano. Non causerai più altri guai.’ "’Non esserne tanto sicura’ ribatté l’Imbroglione. "Lo raccolsero e lo trasportarono per aria. Arrivati in mezzo all’oceano, lo lasciarono andare. Cadde con un tonfo nell’accqua e affondò sempre più. Finalmente toccò il fondo. "Quanto alla Cordaia, tornò dentro la tenda. Svegliò la vecchia e le restituì il pettine. "’Oh! È una cosa meravigliosa!’ esclamò la vecchia, e incominciò a pettinarsi la pelliccia. Ne uscirono animali, a centinaia. Ruzzolarono giù dal cielo e riempirono il mondo. Tutte le persone si rallegrarono." Inahooli smise di parlare. Io distesi le gambe e mi alzai. Ormai era mezzogiorno. Eravamo inondati dalla luce del sole e l’aria era calda e stagnante. Sudavo. — Ebbene — fece Inahooli. — Sei colpita? Credi che la mia antenata sia stata grande? — Sì. — Mi voltai a guardare la torre. Un dio burlone come Anansi il Ragno, il Coyote e Fratel Coniglietto. C’erano altre singolari analogie. La Vecchia del Nord mi ricordava un personaggio della mitologia Inuit. Esisteva forse una sorta di archetipo universale? Avremmo trovato gli stessi personaggi su un pianeta dopo l’altro? Immaginavo un inconscio collettivo che si estendesse attraverso la galassia, o forse al di sotto. Che idea! Ma stavo correndo troppo. Non avevo i dati. Mi stiracchiai. — Devo andare. — No! Non andartene! Ho altre storie. Feci il gesto del cortese rifiuto, seguito dal gesto dell’estremo rincrescimento. — Nia mi sta aspettando. Lei si alzò, aggrottando la fronte. — C’è qualcosa in quel nome… — Sgranò gli occhi. — Ora ricordo! Nia la lavoratrice del ferro. La donna che amava un uomo. — Usò il termine che significava affetto familiare, l’amore fra sorelle o fra una madre e le proprie figlie. — Ci hanno parlato di lei, le donne del Popolo del Ferro. Hanno detto che l’uomo è morto. Ma lei viveva ancora da sola sulla pianura. Una donna grande e grossa con l’aria della malasorte. Ci hanno messe in guardia contro di lei. Hanno detto: "Se arriva nel vostro villaggio, lasciatela restare solo per il tempo minimo richiesto dalle convenienze, poi invitatela ad andarsene. Se la lasciate restare, farà inacidire il latte nelle vostre brocche. Farà spegnere i vostri fuochi". — Nia non fa niente di male — replicai. Parlai con voce sommessa e tranquilla. Una voce sicura. La voce del buonsenso. Inahooli taceva, la faccia sempre corrucciata, e si vedeva che stava riflettendo. — Non ha abbandonato il suo vecchio comportamento. Quando ha parlato della vostra amica, non ha usato una desinenza della tua lingua. Tu hai pronunciato diversamente il nome. Ho sentito. Al momento non l’ho capito. Ha dato al nome una desinenza della sua lingua o del linguaggio dei doni. In entrambi i casi è una desinenza maschile. Questa vostra amica è in realtà un uomo. Aprii la bocca per protestare, ma che cosa potevo dire? Non mi andava di mentire, e non pensavo che Inahooli avrebbe creduto a qualunque menzogna avessi raccontato. — È meglio che me ne vada. Lei mi fissò, strizzando gli occhi. — Che cosa sei? Perché viaggi con una donna del genere? E con un uomo? — Te l’ho detto, sono una persona comune. Fra la mia gente, in ogni caso. Inahooli fece il gesto del dissenso, muovendo con enfasi la mano. — Ho incontrato il Popolo del Ferro é il Popolo del Rame e il Popolo della Pelliccia e dello Stagno. Nessuno è veramente diverso. Non sulle cose che sono importanti. Credo che tu sia un demonio. Come si può ragionare con una fanatica religiosa? Riflettei un momento. — Ricordati di ciò che hai detto prima che io venissi qui. La torre è magica. Se sono un demonio, perché non mi ha fatto del male? Si voltò, fissando l’ingraticciata. In cima, un paio di stendardi si muovevano debolmente. Un paio di penne ondeggiavano. Doveva essersi alzato un po’ di vento, sebbene non riuscissi a sentirlo. Inahooli fece il gesto dell’assenso. — L’ho detto. — E io sto bene. Ci fu una pausa. Poi Inahooli parlò, lentamente all’inizio. Era evidente che stava riflettendo ad alta voce. — Hai ragione. La torre avrebbe dovuto nuocerti. Ma così non è stato. — Tornò a girarsi verso di me. — Hai sconfitto la nostra magia. La torre è un qualcosa. Non conoscevo quella parola, ma ne immaginai il significato. La torre era stata contaminata, dissacrata. Aveva perso il suo potere. — Io ti ho condotta qui — disse Inahooli. — Sono la guardiana e questo rovinerà la mia reputazione. — Estrasse il coltello. — Ascoltami — dissi. Lei mi afferrò per il braccio e alzò il coltello. Mi divincolai e tirai calci, colpendola all’inguine. Era un bel calcio, forte. Inahooli barcollò all’indietro e ne approfittai per fuggire. Riuscii a raggiungere la canoa, ma la donna mi seguiva dappresso. Non c’era il tempo di mettere in acqua quella dannata cosa. Afferrai una pagaia e mi girai ad affrontarla. — Non possiamo parlare? — No! — Mi si lanciò contro. La colpii alla spalla con la pagaia. Lei gridò e lasciò cadere il coltello. — Ascoltami! Non intendo fare del male! Inahooli afferrò il coltello con l’altra mano. — Come possiamo servirci della torre? Le maschere sono rovinate. La magia è sparita. Si chinò di colpo verso sinistra. La mia sinistra. Mi voltai e sollevai la pagaia. Il coltello balenò. Sferrai un colpo. Inahooli balzò indietro. — Ti ho presa, demonio! — esclamò. — Che cosa? — Non vedi il sangue sul terreno? Abbassai per un attimo lo sguardo e vidi soltanto la spiaggia sassosa. Non c’era sangue. Con la coda dell’occhio scorsi un movimento. Inahooli. Veniva verso di me, il coltello nuovamente sollevato. Agitai su e giù la pagaia e la colpii al ventre. Lei grugnì e si piegò in due. Abbattei con forza la pagaia sul dietro della testa. Inahooli cadde. Raccolsi il coltello e lo scagliai fra i canneti, poi mi voltai a guardarla. Giaceva a faccia in giù, immobile. M’inginochiai e le tastai la gola, poi le passai la mano sulla parte posteriore del capo. Le pulsazioni erano forti e regolari. La testa era solida come una roccia. Bene! Ma non avevo alcuna intenzione di restare nei paraggi ad assisterla. Molto probabilmente avrebbe tentato di nuovo di uccidermi. Spinsi in acqua la canoa, vi saltai dentro e mi allontanai pagaiando dall’isola. Che cosa non facevo per conoscere la mitologia! Quando fui ben oltre i canneti, mi accorsi che qualcosa non andava nel mio braccio sinistro. Tirai dentro la pagaia e diedi un’occhiata. C’era un taglio nella mia camicia, dal gomito al polso. Il sangue gocciolava sul legno scuro della canoa e sui miei jeans. — Maledizione. — Mi tolsi la camicia e contorsi il braccio, cercando di vedere il taglio. Provai una fitta di dolore alla spalla. Strano. Mi ero dimenticata di quanto fosse rigida la spalla. Il taglio era lungo e poco profondo. Un graffio. Niente di cui preoccuparsi. Ma sanguinava ben bene, il che avrebbe dovuto ridurre il rischio di un’infezione. Non che un’infezione fosse probabile, a meno che non fosse provocata da qualcosa che avevo portato con me. Mi arrotolai la camicia attorno al braccio e legai insieme le maniche. Poi mi rimisi a pagaiare. Soffiava un po’ di vento, leggero e irregolare. Le onde spruzzavano la canoa. Il braccio incominciò a farmi male, e anche la spalla. Mi concentrai sulla respirazione: dentro e fuori, tenendo il tempo con il movimento delle braccia mentre sollevavo la pagaia, la portavo in avanti, la immergevo nell’acqua e la tiravo indietro. Davanti a me c’era la riva. Dove potevo approdare? Mi riparai gli occhi con la mano. Scorsi una figura sulla riva oltre i canneti. No. Due figure. Mi facevano cenni con le mani. Girai la canoa e pagaiai verso di loro. Un istante dopo erano spariti alla vista. Le canne si piegavano sopra di me, le teste pelose che ondeggiavano, e non avevo spazio per manovrare. Immersi la pagaia nell’acqua, toccai il fondo e spinsi. La canoa avanzò fra la vegetazione e arrivò in un punto dove l’acqua era limpida. Nia e Derek mi vennero incontro sguazzando e mi tirarono a riva. — Dov’è Inahooli? — s’informò Nia. Mi alzai. La canoa si mosse sotto di me. Derek mi afferrò per il braccio. — No! Mi lasciò andare. — Che cosa c’è? — Stese la mano. Il palmo era rosso. — Sangue. — Misi piede sulla terra asciutta, mi sedetti e svenni. Quando ripresi i sensi ero distesa sulla schiena e guardavo in su verso il fogliame, le foglie lunghe e sottili dell’erba enorme. Brillavano, i bordi illuminati dalla luce del sole. Derek disse: — Riesci a capirmi? — Sì. Certo. — Girai la testa. Lui stava seduto per terra a gambe incrociate. La parte superiore del suo corpo era nuda e vidi il braccialetto sul suo braccio. L’alta fascia d’oro. L’immagine continuava a sfocarsi e a tornare a fuoco. — Che cosa è successo? — Quella donna. Inahooli. — Nia me ne ha parlato. Che cosa ha fatto? — Era convinta che fossi un demonio. Che portassi sfortuna al suo… — esitai, cercando di pensare alla parola giusta — manufatto. Quello a cui stava di guardia. Mi ha inseguita con un coltello. L’ho colpita. Derek, è viva. E se verrà a cercarmi? Lui abbozzò un breve sorriso. — Di questo mi occuperò io. Tu riposa. — Okay. — Chiusi gli occhi, poi li riaprii. — I cornacurve. — Ne ho trovato uno. La Voce della Cascata è riuscito a tenersi in sella. Come non so. L’ha lasciato correre finché non si è sfiancato. Non aveva altra scelta, mi ha detto. Alla fine l’animale si è dovuto fermare. Lui l’ha calmato e l’ha lasciato riposare, poi è tornato indietro. L’ho incontrato al tramonto. Ci siamo accampati sulla pianura. E al mattino… — Fece un gesto che non riconobbi. — Che cos’era quello? — Che cosa? — Il gesto. Il cenno della mano. Lui sorrise. — È un gesto umano, Lixia. Significa, all’incirca, "lasciamo perdere" o "perché agitarsi" o "puoi immaginare il resto". — Oh. — Siamo arrivati qui a metà mattina, dopo che te n’eri andata. — Oh. — Chiusi gli occhi, poi mi ricordai di un’altra cosa. — Le radio. Derek rise. — Sono sull’altro cornacurve. Quello che non ho trovato. — Merda. — Aha. Ho ritenuto giusto assicurarmi che la Voce della Cascata facesse ritorno al lago. Domani Nia partirà con l’animale che abbiamo. Cavalca meglio di me, e questo è il suo pianeta. Con un po’ di fortuna troverà le radio. E io mi assicurerò che… come si chiama?… la donna che ti ha fatto quel taglio. — Inahooli. — Mi assicurerò che non provochi altri guai. — Che cosa significa? Lui sorrise. — Niente di drammatico. Resterò qui e terrò gli occhi ben aperti. Adesso, dormi. Derek se ne andò. Ero preoccupata. E se Nia non fosse riuscita a trovare l’altro animale? Saremmo stati soli per la prima volta. Veramente soli su un pianeta alieno. Probabilmente sarebbero passati giorni prima che quelli sulla nave si rendessero conto che qualcosa era andato storto. Che cosa avrebbero fatto allora? Come ci avrebbero trovati? Cercai di pensare a qualche tipo di segnale. Un fuoco enorme. Sarebbe stata la cosa migliore. Ma saremmo riusciti ad accenderne uno che fosse abbastanza grosso? E avrebbero capito che eravamo stati noi a farlo? Mi appisolai e feci dei brutti sogni. Inahooli mi dava la caccia. Correvo giù per un lungo corridoio fra pareti di ceramica. D’un tratto il corridoio spariva. Mi trovavo sulla pianura. Mi giravo e vedevo un muro di fiamma che avanzava verso di me. Un incendio della prateria! Correvo. Ma era così difficile. L’erba era alta e fitta. Continuavo a inciampare. Il fuoco si avvicinava sempre più. Caddi, ruzzolai e aprii gli occhi. Sopra di me si ammassava del fumo. Mi drizzai a sedere, terrorizzata. Oh, sì. Il fuoco di bivacco. Ardeva a tre metri di distanza e attorno erano seduti i miei compagni. Più in là c’erano il lago e il sole basso sull’orizzonte. Era pomeriggio inoltrato. Mi faceva male il braccio, la testa mi doleva e avevo la gola secca. — C’è qualcosa da bere? Mi guardarono. — Stai bene? — mi chiese Nia. — Ho sete. Nia mi portò una sfera verde con un foro sulla sommità: qualcosa di simile a una zucca o forse a una noce di cocco. Dove l’aveva trovata? La presi e bevvi. Il liquido all’interno era fresco e aveva un gusto asprigno. Simile a che cosa? Agli agrumi? Non del tutto. Bevvi ancora. — Adesso riesci a parlare? — s’informò Derek. — A che cosa stava di guardia quella donna? E perché ha deciso che fossi un demonio? Guardai Nia, accosciata accanto a me. — Avevi ragione. La tua gente ha parlato di te. Inahooli se ne è ricordata. Nia la lavoratrice del ferro. La donna che amava un uomo. Nia si accigliò. — A volte penso che la mia gente parli troppo. Non hanno niente di meglio da fare? — E ha capito che Derek era un uomo. — Perché ho usato la desinenza maschile del suo nome. — Sì. Si alzò in piedi e serrò i pugni, poi si batté la coscia. — Sono proprio come la mia gente. La mia lingua va su e giù come uno stendardo al vento, e non rifletto. — Aprì la mano e fece il gesto che significava "così sia". — Uno di noi dovrebbe stare sveglio questa notte e fare la guardia. Quella donna è probabilmente un po’ pazza. E stata sola troppo a lungo, ed è stata troppo vicina a qualcosa che è sacro. Può darsi che venga a cercare Li-sa. Derek fece il gesto dell’approvazione. — L’ho colpita abbastanza duramente — dissi. — Per quel che ne so, è ancora… — esitai e cercai di pensare alla parola giusta nel linguaggio dei doni — addormentata. O forse morta. Derek guardò in direzione dell’acqua. — Forse. Non ho intenzione di andare a controllare. L’isola è sacra. Ci ha fatto capire molto chiaramente che non vuole che ci andiamo. Di norma, non interferisco con il karma di altre persone. Ha scelto lei di invitarti sull’isola, e ha scelto di cercare di ucciderti. Se queste scelte si concludono con la sua morte, bene. — Fece una pausa, poi usò lo stesso gesto che aveva usato Nia circa un minuto prima. "Così vanno le cose" diceva il gesto. L’oracolo si protese in avanti. — Non so che cosa tu abbia fatto in passato, Nia, e non so perché la tua gente racconti delle storie su di te. Ma non sei tu la responsabile di questa situazione. — Perché no? L’oracolo puntò il dito contro Deek. — Lui è andato nella valle dei demoni. Ha preso il braccialetto. Adesso i demoni sono adirati. Ci stanno causando tutti questi guai, il L’oracolo si alzò in piedi e allungò la mano. — Dammi il braccialetto. Derek si accigliò. — Fallo — gli dissi in inglese. — Abbiamo già abbastanza problemi. Derek si tolse il braccialetto. L’oracolo lo prese e se lo infilò sul braccio. — Che cosa hai intenzione di farne? — domandai. — Lo spirito me lo suggerirà. — L’oracolo si tolse la tunica e restò nudo, fatta eccezione per il braccialetto e la collana. Il suo pelame scuro brillava. I gioielli luccicavano. Preso nel complesso, era solenne. Gettò a terra la tunica. — Me ne andrò per mio conto. Danzerò e canterò finché non sarò in uno stato di esaltazione. Allora, forse, lo spirito verrà da me. — Si allontanò in direzione del lago. — Credi che lo riavrò indietro? — chiese Derek. — No. — Dannazione. — Rise e scrollò le spalle. — Oh, be’. Nia preparò la cena: pesce fresco, svuotato e farcito di erbe, poi avvolto in foglie e arrostito nella brace. Era delizioso, ma ero troppo stanca per aver fame. Mangiai metà di un pesce e mi sdraiai. Il sole era tramontato e si stavano ammassando delle nuvole. Erano alte e indistinte, dorate dall’ultima luce del giorno. I miei compagni chiacchieravano sommessamente. Gli uccelli facevano piccoli versi serali. Chiusi gli occhi. Quando mi svegliai, il sole era nuovamente alto. Chi aveva fatto la guardia all’accampamento? Derek se n’era ricordato? Mi alzai in piedi con un gemito. Un corpo, scuro e peloso, era sdraiato scompostamente accanto al fuoco. L’oracolo. Dormiva. Non c’erano tracce di Nia o di Derek o del cornacurve. Feci qualche passo per il boschetto. L’animale era certamente sparito. Nia doveva essersi messa in viaggio non appena c’era stata un po’ di luce. Guardai in direzione della pianura, riparandomi gli occhi dalla luce del sole. Nulla. Tornai indietro attraverso il boschetto. L’oracolo si era rigirato sulla schiena e si teneva un braccio sulla faccia. Russava. Scesi al lago. Gli uccelli sbattevano le ali fra le canne. Sulla riva c’erano due canoe. Mi fermai, terrorizzata. Non ero in condizioni di battermi con Inahooli. Aveva fatto qualcosa a Derek? Mi serviva un’arma. La pagaia mi era già servita in precedenza. Mi diressi verso le canoe. In una c’era Inahooli, distesa di schiena. Era nuda. Aveva i piedi legati con una striscia di stoffa gialla ed era imbavagliata con un’altra pezza di tessuto giallo. Aveva le mani dietro la schiena. Non riuscivo a vedere come fossero legate. Lei mi lanciò un’occhiata astiosa. Io risi, sollevata. Non l’avevo uccisa. — Devi aver incontrato Derek. Lei grugnì. — Non credo proprio che ti toglierò il bavaglio. Mi piacerebbe sapere dov’è Derek, ma non credo che me lo diresti, neppure se lo sapessi. Inahooli emetteva brontolii e si dimenava. C’era qualche possibilità che si liberasse? Naturalmente no. Era stato Derek a legarla. Mi chiesi se avrebbe mai fatto un grave errore. — Devo andare. Tornerò più tardi. Inahooli grugnì una seconda volta. Trovai Derek un po’ più lontano lungo la riva, su una spiaggia di ghiaia nera. C’era un varco fra le canne. Un canale, ampio due o tre metri, sboccava nel lago. Un uccello galleggiava nel canale. Aveva un aspetto assolutamente comune. — Ha dei denti — disse Derek. I suoi lunghi capelli erano bagnati e c’erano chiazze di umidità sulla sua camicia. Si infilò la camicia nei jeans, poi mi rivolse un ampio sorriso. — Una nuotata mattutina? — chiesi. — Uhu. — Si allacciò una delle maniche. Scorsi un luccichio un istante prima che chiudesse il tessuto. Aveva qualcosa di metallico sul braccio. — Ho trovato Inahooli. Che cosa è successo? — Nia si era addormentata e io mi sono allontanato per osservare l’oracolo. Ho pensato: mai perdersi un rituale. Ha fatto esattamente quello che aveva detto. Ha danzato e cantato e agitato qua e là un ramo, il tutto sotto una luna all’ultimo quarto e chiaramente in eruzione. Si può vedere il pennacchio oltre il bordo. Incomincia alla luce del sole e poi curva oltre la parte della luna che è ancora in ombra. Un diavolo di spettacolo. "Non sono riuscito a capire che cosa diceva. Non usava il linguaggio dei doni. Ma ho tutto qui sul mio registratore." — Che ne ha fatto del braccialetto? — Gettato nel lago. È stata la fine della cerimonia. Poi è tornato all’accampamento. Io ho gironzolato qua e là e ho tenuto gli occhi aperti. Imaginavo che si sarebbe stancato dopo tutto quel saltellare. Tu eri ferita e Nia doveva alzarsi di buon’ora. Non restavo che io per fare la guardia, e volevo continuare a guardare la luna. — Chiuse il davanti della camicia. "La donna è arrivata due ore dopo. No. Più di tre. La luna era ancora alta nel cielo. È arrivata con la seconda canoa. Immagino che sia ovvio. Non l’ho vista sbarcare, né l’ho sentita. È una signora molto silenziosa. Ma ha svegliato un uccello mentre si avvicinava attraverso il canneto, e quello ha fischiato. "Ho atteso nell’oscurità. Il fuoco, il nostro fuoco, ardeva, e lei si è incamminata in quella direzione. Sapevo che l’avrebbe fatto. Quando è arrivata nel boschetto, le sono balzato addosso." Sorrise. "È forte oltre che silenziosa. Ma avevo il vantaggio della sorpresa. Quando ha perso conoscenza, l’ho trascinata di nuovo fino alla canoa e l’ho legata lì dentro. Non avevo una corda, così ho tagliato la sua tunica e ho usato quella. Sono affamato. Torniamo all’accampamento." Ci incamminammo lungo la riva. Derek proseguì: — Nia è partita all’alba. Non le ho parlato di… come si chiama. Era un’altra cosa di cui preoccuparsi e lei sembrava già abbastanza di malumore. Parlo di Nia. Immagino che non sia una persona mattiniera. — Che cosa intendi fare di Inahooli? — Trattenerla finché non torna Nia, poi lasciarla andare, ma solo quando saremo pronti a partire. Non ci seguirà. Ha la sua torre a cui fare la guardia. — Mi domando se non la stiamo facendo uscire di senno. — Che cosa? — Si fermò e mi fissò. — Mi ha colpito come una persona vulnerabile, sebbene sia difficile giudicare un individuo di un’altra cultura. Forse sono tutti così: vanagloriosi e sulla difensiva. In ogni caso, il suo rispetto di sé è totalmente collegato con la torre e con la sua posizione di guardiana. Adesso ha fallito. Sono quasi certa che sia convinta che la torre è rovinata e non credo che possa venire a patti col fallimento. Non credo che abbia… ehm… elasticità mentale. Derek fece il gesto del dubbio. — Credo che tu sottovaluti quella donna. La sua tecnologia è primitiva; ciò che chiamiamo primitivo, in ogni caso. Ma non penso che sia semplice. So che Nia non lo è. E l’oracolo è così dannatamente complicato che non so dove mi trovo con lui. Con ogni probabilità questa signora… ho dimenticato di nuovo il suo nome. — Inahooli. — Molto probabilmente farebbe ciò che farei anch’io al suo posto. — E cioè? — Mi rimisi a camminare. Derek procedette di pari passo con me. — Mentirei. Farei finta che non fosse successo nulla. All’arrivo della mia gente, direi: "È tutto a posto". Corrugai la fronte. Derek mi lanciò un’occhiata, poi continuò: — Ogni società ha dei modelli di comportamento appropriato, e in ogni società ci sono individui che non riescono a conformarsi a quei modelli. Subentrano la realtà e l’umana fragilità. Ebbene, non si possono abbandonare i modelli, e non è neppure possibile che ognuno nella società se ne vada in giro a gridare "Mea culpa". Così si inventa l’ipocrisia. È presente in ogni società che ho studiato. Sono certo che esiste anche su questo pianeta. — Può darsi. Ci allontanammo dalla riva e ci dirigemmo verso il boschetto. — Pensa alla mia gente — disse Derek. — Per loro due qualità sono importanti. La mitezza e l’onestà. Ebbene, che cosa fai quando l’onestà crea una situazione spiacevole? Fece una pausa. Io non dissi niente. — Per prima cosa, cerchi di eludere il problema. Mangi un po’ di peyote. Ti concentri su disegni cosmici. È questo che è importante, dopo tutta… tutta quell’energia che si riversa giù dalle stelle e sale dal suolo. "Il mondo è impregnato della grandezza di Dio. Avvampa, come lo splendore da una lamina scossa; Raggiunge una grandezza, come uno stillare di olio Schiacciato…" "E così via. Se non si può evitare il problema, se si è bloccati nel momento e nel luogo presenti, allora si mente. Il che è disonesto e ipocrita, ma naturale e umano, e permette di mantenere la mitezza in ogni cosa." Arrivammo all’accampamento. L’oracolo si era alzato e stava riaccendendo il fuoco. Ci rivolse un’occhiata. — Nia se n’è andata? — Sì — rispose Derek. — Ed è arrivata quella donna. Inahooli. È giù vicino all’acqua. L’ho legata. — La nostra fortuna sta cambiando. Nia troverà il cornacurve e tutto andrà nel modo dovuto. Lo spirito me l’ha promesso. Derek fece il gesto che significava che aveva sentito quanto era stato detto, ma si riservava il giudizio. Nella tarda mattinata scendemmo alla canoa, tutti e tre. Inahooli era nella stessa posizione di prima. Aveva la testa girata e gli occhi chiusi contro il bagliore del sole. La osservai per un momento. — Così non può funzionare — dissi in inglese. — Nia potrebbe assentarsi per giorni. Non possiamo tenere la donna in quello stato. Inahooli aprì gli occhi, guardandoci con sospetto e aggrottando la fronte. — È scomodo. È umiliante. Ed è antidemocratio. Che diritto abbiamo di privarla della libertà? — Abbiamo il diritto di proteggere noi stessi — ribatté Derek. — Be’, può darsi. In ogni caso, non è praticabile. Come farà a mangiare? O andare al bagno? Non possiamo lasciarla lì distesa nei propri escrementi come il personaggio di un romanzo sulla società di una volta. L’oracolo si chinò su Inahooli e le slacciò il bavaglio. — Demonio — lo apostrofò la donna. — No. Sono un uomo santo. Un oracolo. Servo lo Spirito della Cascata, che è grande e potente e in grado di occuparsi di ogni genere di male. Una parola interessante, questa. La tradussi come "male", un termine astratto. Nella sua lingua era un aggettivo accoppiato con un sostantivo che significava "cosa". L’aggettivo significava "cattivo", come in cattivo gusto. Significava anche "infausto" o "bizzarro". — Tu sei un demonio — insistette la donna. — Viaggi insieme a demoni. — Loro non sono demoni. Sono persone senza pelo. — Uno di loro è un maschio. E tu sei un uomo. L’oracolo fece il gesto dell’intesa. — Tutti sanno che gli uomini sono solitari per natura, hanno un carattere irascibile e non sono disposti a spartire niente con altri uomini. Ma tu viaggi con quello. — Fece un cenno del capo in direzione di Derek. — Devi essere un demonio o un mostro. — Pensi male — disse l’oracolo. Di nuovo la stessa parola, quella che significava "cattivo" o "malvagio" o "strano". Questa volta la forma era avverbiale. L’oracolo si raddrizzò. — Sei stata da sola per troppo tempo. Non è naturale per una donna starsene seduta da sola su un’isola. — Sono la guardiana. E quella, la donna, ha danneggiato la mia torre. — In che modo? — chiese la Voce della Cascata. — È venuta sull’isola. Si è seduta all’ombra della torre. — Non è vero. Era mezzogiorno. Non c’era ombra. Proprio sotto la torre, forse, ma non dove mi trovavo io. — Sei stata sull’isola. Le persone cattive, quelle che portano sfortuna, non possono andare in un luogo sacro. Non prima di aver partecipato a una cerimonia di purificazione. Ma non c’è modo di purificare un demonio. — Tu hai detto che se fossi stata un demonio, la torre mi avrebbe fatto del male. Ma non mi è stato fatto alcun male. Come posso essere un demonio? La donna chiuse gli occhi per un istante, aggrottando la fronte. Poi mi guardò. — L’ho già spiegato prima. Sei un demonio. Ora lo capisco. Devi essere un demonio. Chi altri viaggerebbe in compagnia di uomini? E di una donna come Nia? La magia della torre avrebbe dovuto annientarti. O, come minimo, causarti un terribile dolore. Ma tu stai bene. Pertanto, dev’essere la torre che è stata danneggiata. E io sono la guardiana! Come potrò mai spiegarlo? Derek disse: — Questo modo di pensare va avanti in un circolo vizioso. Se Lixia è un demonio, la torre le farà del male. La torre non le fa del male e ciò significa che lei è un demonio. Feci il gesto del dissenso. — Non hai capito il ragionamento. — Aiutatemi a mettermi seduta — protestò la donna. — Non posso parlare così. L’oracolo la prese per le spalle e la tirò su in posizione seduta. Inahooli grugnì e si divincolò, muovendo di qua e di là la parte superiore del corpo. — Ho le braccia intorpidite. Non hanno più sensibilità. E come faccio a parlare senza usare le mani? L’oracolo mi guardò. — Liberala. Ma soltanto le mani. — Mi serve un coltello — fece lui. Derek gliene diede uno. L’oracolo tagliò. — Sono libere? — s’informò la donna. — Non riesco a muoverle. — Sono libere. Si protese in avanti. Le braccia caddero ai lati e le mani batterono contro i lati della canoa. — Non sento niente! Non riesco a farle funzionare! — Le tue braccia sono addormentate — le disse Derek. Le tirò le braccia in avanti fino ad appoggiarle le mani sulle cosce, poi incominciò a massaggiarle un braccio. — Derek continuò a massaggiare. — Lixia? — Sì? — Spiegami il ragionamento. Quello che non ho capito. E tu… — guardò Inahooli — ricordati che hai i piedi legati. Non tentare niente di spiritoso. Inahooli si accigliò. — Non è il momento di scherzare. E in ogni caso, non sono brava a scherzare. Me lo dicono tutti. — Il problema è Nia — dissi. — Io sono un demonio perché viaggio con lei. E con te e l’oracolo. La donna alzò un braccio. Chiuse il pugno, poi l’aprì e fece il gesto dell’approvazione. Poi incominciò a massaggiarsi l’altro braccio. Derek si alzò e fece un passo indietro. — Se io sono un demonio, ne consegue che la torre è mia nemica. Se la magia della torre non mi nuoce, ne consegue che la mia magia deve aver danneggiato la torre. Un eccellente ragionamento — aggiunsi in inglese. — Non fa una piega. — Tutto questo è stupido — intervenne l’oracolo. — Parlate e parlate e non risolvete niente. State facendo tutti un ragionamento sbagliato e, quel che è peggio — sollevò una mano per sottolineare le parole — state giocando con le parole. Siete come bambini con delle pietre luccicanti. Lanciate le parole. Le mettete in fila. "Ma la mediatrice impara a rivoltare le idee. Sa come scoprire i punti deboli e i piccoli fori nei quali si sono insinuati gli insetti. Getta via tutte le idee cattive. Ciò che rimane è il vero motivo della controversia. Una volta che lo sa, può incominciare ad appianare la lite." Fece una breve pausa. Inahooli aprì la bocca per parlare, ma lui alzò la mano, tenendola piatta e con il palmo in avanti. Il gesto significava "ferma" o "aspetta". Era identico al gesto umano. — Qualche volta la mediatrice non riesce a trovare un buon motivo per la disputa. Allora fa altre indagini. C’è una vicina malvagia che sta raccontando bugie o riferendo storie? Le donne coinvolte nella lite hanno fatto qualcosa che porta sfortuna o può provocare collera nella terra degli spiriti o nel resto del villaggio? La mediatrice continua a cercare finché non trova un buon motivo per la controversia. Ora… — Si toccò il petto, poi raddrizzò il braccio, allargandolo su un lato. Non riconobbi quel gesto. Aveva qualcosa di formale, come i gesti usati dagli oratori di professione. Forse era un gesto riservato a particolari circostanze: feste e cerimonie religiose. — Ho riflettuto sul motivo di questa controversia. Tutto quello che avete detto è stupido. E qui non abbiamo vicini che riferiscano storie e raccontino menzogne. Pertanto, la causa di questa lite è magica. Inahooli si accigliò. — Stai parlando troppo e mi confondi. Era tutto semplice e chiaro prima che arrivaste voi. L’oracolo guardò Derek. — Ho pensato che forse questo stesse succedendo a causa del braccialetto. Ma l’ho restituito e ho eseguito una cerimonia di propiziazione. Afferrai il braccio di Derek e gli tirai su la manica della camicia. Lui si liberò con uno strattone. Troppo tardi. Il polsino era aperto e l’oggetto che portava al polso ben visibile. Era il braccialetto, naturalmente. La luce del sole vi si rifletteva sopra e il metallo luccicava. — Ti ha osservato la notte scorsa — dissi all’oracolo. — Ha visto dove hai gettato il braccialetto. Questa mattina è andato a nuotare. Derek non rinuncia mai. È per questo che ha un incarico fisso. — Che cosa? — chiese l’oracolo. — È difficile da spiegare. Derek si tolse il braccialetto. — Okay. Hai vinto, Lixia. — Gettò il braccialetto all’oracolo. — Liberatene. Lixia può tenermi d’occhio per assicurarsi che non ti osservo. — Che cos’è tutta questa storia? — s’intromise Inahooli. La Voce della Cascata rispose. — Costui — fece un cenno della mano in direzione di Derek — ha preso il braccialetto, e non ne ha alcun diritto. Era un dono a uno spirito o a un demone, chiunque dimori nel lago di fango bollente che si trova a est di qui. — Appartiene all’Imbroglione. — La donna fissò Derek. — Tu sei molto sventurato. Lui non dimentica. Ed è molto difficile liberarsi di lui. — Vedi? — disse l’oracolo. — C’è sempre un buon motivo per tutto. Questo — sollevò il braccialetto — è il motivo della nostra controversia. — Tu ci credi? — domandò Derek alla donna. Lei aggrottò la fronte. — No. L’Imbroglione è adirato con te. Ma sono io quella colpita dalla malasorte. Non mi sembra giusto. — Chiuse gli occhi e serrò le labbra. Restammo tutti in attesa. Dopo un minuto aprì gli occhi. — Il Clan dell’Uccello Terrestre! — Che cosa? — domandò Derek. — La loro cerimonia viene subito dopo la nostra, e noi le mettiamo sempre in ombra. La nostra torre è sempre più alta e più bella. Le nostre danzatrici e narratrici sono più abili. So che sono invidiose, e la nuova sciamana è nata nel loro clan, sebbene ora, naturalmente, appartenga al Clan della Prima Maga. Ma una donna non dimentica ciò che ha imparato da bambina nella tenda della madre. Sì! — Fece il gesto dell’affermazione. — Ha eseguito lei qualche specie di rito magico e ha fatto accadere tutto questo. — Guardò l’oracolo. — Avevi ragione sulle vicine malvagie. Avrei dovuto pensarci prima. Non c’è niente che non vada nella torre. Lei mi ha fatto uscire di senno con la magia e mi ha fatto pensare che la torre fosse rovinata. — E il braccialetto? — disse l’oracolo. — Quello provocherà certamente sventura, ma non a me. No, tutto questo è opera del Clan dell’Uccello Terrestre. — Tacque, evidentemente rimuginando. — Hai detto che l’uccello terrestre rubò il fuoco dal cielo. Inahooli mi guardò, poi fece il gesto dell’approvazione. — Hai visto la luna la notte scorsa? Era in fiamme. Questo potrebbe avere qualcosa a che fare con quanto sta accadendo qui? Potrebbe essere un presagio? Un segno di magia? — No. — Esitò. — Sì. Può darsi. Non sono mai stata brava con i presagi. Deve spiegarli qualcun altro. Io non capisco mai che cosa significhino. Ora devo tornare alla torre. Se la sciamana sta cercando di farmi impazzire, devo fare di tutto per comportarmi in modo normale. Devo tornare a comportarmi nel modo consueto. Devo fare quello che si aspettano da me. — Si chinò e tirò la stoffa che le teneva legati i piedi. — Aiutatemi! Non posso restare qui. Chissà che cosa sta succedendo alla torre? L’oracolo la liberò. Lei si sollevò sulle ginocchia, poi cercò di alzarsi su un piede, ma non ci riuscì. — Le mie caviglie non funzionano. — Al diavolo — imprecò Derek. Afferrò la donna sotto le ascelle e la tirò in piedi. — Tieniti a me. — La sollevò oltre la canoa. — Riesci a stare in piedi? — No. Derek la cinse con un braccio. — Appoggiati a me. Prova a camminare. La donna inciampò e cadde in avanti. — Okay. Continua a muoverti. Camminarono avanti e indietro. Io stavo a guardare e cercavo di capire che cosa fosse successo. Di che cosa avevamo parlato? Che cosa era stato risolto? Dopo un po’ Inahooli riuscì a camminare da sola. Fece il gesto che significava che era a posto e poi il gesto che esprimeva gratitudine. — Adesso me ne vado. La torre dev’essere protetta. E se volete accettare il mio consiglio, sbarazzatevi del braccialetto. Restituitelo all’Imbroglione, altrimenti vi causerà un sacco di problemi. — Spinse in acqua una delle canoe, vi saltò dentro e incominciò a pagaiare. Nel giro di uno e due minuti era sparita, nascosta dai canneti. — Vado a nascondere il braccialetto — disse l’oracolo. — Lixia, tu tieni d’occhio quell’uomo. Non ci si può fidare di lui. — Si allontanò. Guardai Derek. Lui sorrise e si strinse nelle spalle. — A quanto pare mi sto facendo una pessima reputazione. — Uhu. E te la meriti. Ho sempre sentito dire che eri un ricercatore di prim’ordine nella raccolta diretta di dati. Be’, se questo è un esempio… Derek incominciava ad accigliarsi, aggrottando le folte sopracciglia bionde. — Hai ostacolato una cerimonia. Hai rubato un oggetto magico o, per lo meno, appartenente a un essere magico. Sei fuori di senno? Come hai potuto mettere a repentaglio il tuo rapporto con l’oracolo? È un eccellente informatore. Credi che persone così crescano sugli alberi? — Non l’avrebbe mai scoperto se non fosse stato per te. Hai deciso che era venuto il momento di una grande rivelazione. Riflettei un momento. — Questo è abbastanza vero. — Dovrei essere in collera con te, Lixia. Ho perso un manufatto di valore e mi ci vorrà un sacco di tempo per convincere l’oracolo che, di solito, non sono un ladro. Bene… — Fece il gesto che significava "così sia". — Gli parlerò finché non l’avrò convinto. Non sono il tipo che nutre rancore. Così che ne dici di dimenticare questa faccenda? Risi. Quell’uomo era straordinario. Dopo tutto quello che aveva fatto, era disposto a perdonare me. — Okay. Vuoi sancire la pace con una stretta di mano? — Tesi la mano. Ce la stringemmo. — Mi sta venendo fame — disse Derek. — Che ne dici di controllare le trappole per i pesci? Feci il gesto dell’approvazione. Entrammo nell’acqua. Le trappole erano vuote, ma qualcosa vi aveva fatto una visita perché l’esca era sparita. — Dannazione — dissi. Tornammo a riva, portando con noi le trappole. L’oracolo ci venne incontro lungo la spiaggia. Era a mani vuote. Si era sbarazzato del braccialetto. — Niente pesce? — Nemmeno uno. — Derek scosse il capo, poi fece il gesto che significava "no". — Andate voi due. È ora che io incominci a pensare di andare a caccia. Cercherò del legno. Forse potrò fabbricare un nuovo arco o una lancia. Andai con l’oracolo. Cavammo radici e raccogliemmo bacche. Lui mi raccontò storie sulle diverse specie di vegetazione: come la radice sanguigna avesse preso quel colore, perché la foglia del sole si girasse sempre verso il sole e perché nessun uomo volesse mangiare alcuna parte del rampicante dell’ Nel pomeriggio inoltrato tornammo all’accampamento. Derek era già lì e aveva un lungo pezzo di legno. — Una lancia — disse. Arrostimmo le radici sanguigne. Quando le mettemmo nel fuoco erano di un color arancione chiaro e quando le tirammo fuori erano già diventate rosso scuro. Erano farinose e avevano un sapore dolce. Immaginate una patata con il gusto di un peperone dolce e ben maturo. Non male, pensai. Ma ci sarebbe voluto un po’ di burro. Derek tolse la corteccia al suo pezzo di legno e lo raschiò con un coltello, eliminando irregolarità che io non riuscivo neppure a vedere. Poi si sedette e attorcigliò la corteccia fino a ottenere una corda. — Quell’uomo è abile — disse l’oracolo. — Anche se è privo di pelliccia, conosce le cose che un uomo deve sapere. Derek alzò lo sguardo e sorrise, poi si rimise ad attorcigliare. — Anche se non capisco — continuò l’oracolo — perché gli piaccia tanto mostrare i denti. Continua a farlo. — È un’espressione di piacere o felicità — gli spiegai. — Oh — fu il commento dell’oracolo. Scese la notte. Il vento soffiava dal lago e ci portava insetti: una nuova varietà, minuscoli e numerosi. Imprecai e agitai le mani. — Ignorali — mi disse Derek. Mi spostai più vicina al fuoco. Il fumo vorticava attorno a me, e gli insetti mi lasciarono in pace. Ma ora, naturalmente, mi lacrimavano gli occhi. Guardai l’oracolo. — Non ti danno noia? — Sì — rispose. — Ma non c’è niente da fare. Vicino a un lago come questo ci sono sempre insetti, e questi almeno non mordono. È il meglio in cui possiamo sperare. — Aprì la bocca in uno sbadiglio enorme e vidi i suoi canini. Erano lunghi e aguzzi. Non c’era da stupirsi che queste persone non esprimessero felicità sorridendo. Quei denti avevano un aspetto minaccioso. — Dovremo stare di guardia? — Derek? — chiesi. — Sì. Non sono sicuro che sia stata la cosa giusta lasciar andare quella donna. Mi provoca una strana sensazione. Non mi piace la sua aura. — Non potevamo tenerla legata per giorni — dissi. — In ogni modo, ora ha un problema reale di cui occuparsi. Le sue nemiche del Clan dell’Uccello Terrestre. — Sorrisi. L’oracolo si coricò. Osservai Derek. Spaccò in due un’estremità del pezzo di legno e vi inserì a forza il coltello, con la lama puntata all’infuori. Poi avvolse il cordone attorno al legno spaccato e al coltello. — Primitiva ma efficace. Lo spero. — Continuò ad avvolgere e a fare nodi. Io misi altri rami sul fuoco, poi mi coricai. Mi svegliai. Qualcosa mi morsicava una mano. Una zanzara. Diedi una manata e beccai la piccola canaglia. Nello stesso momento mi ricordai che non poteva essere assolutamente una zanzara. Guardai il fuoco. Era un mucchietto di brace che rosseggiava fiocamente, senza emettere più molto fumo. Lontano, a occidente, la Grande Luna splendeva sopra il lago. Era quasi piena. Strizzai gli occhi e mi sembrò di vedere una riga sopra il bordo superiore. Si curvava come una maniglia, salendo oltre il terminatore, poi tornando giù: dalla parte illuminata dal sole a quella in ombra. Derek aveva occhi migliori dei miei. Per me era appena visibile. — Maledizione. — Un altro insetto mi morsicò sul collo. Mi guardai attorno in cerca di legna. Non ce n’era. Non potevo riattizzare il fuoco. Mi coricai di nuovo e mi misi un braccio sulla faccia, cercando di proteggerla. Gli insetti mi ronzavano attorno. Non morsicavano spesso, ma il ronzio e l’attesa mi tenevano sveglia. Alla fine rinunciai. Era ora di fare una passeggiata. Forse avrei trovato una bottega aperta fino a notte fonda che vendeva insetticida o uno di quei cappelli con un velo fatto di rete per zanzariere. M’incamminai verso i canneti. Il vento soffiava ancora. Le foglie stormivano e il boschetto era pieno di ombre in movimento. Qui e là un raggio di luna penetrava fra il fogliame e riuscivo a distinguere un ramo o un gambo di erba enorme. Ma per la maggior parte del tempo non vedevo quasi niente, a parte la luna davanti a me e il lago che scintillava di luce gialla. Una bellissima sera, se si escludevano gli insetti. Quando arrivai a breve distanza dall’accampamento, trenta metri al massimo, due mani mi afferrarono il collo. Cercai di gridare, ma non ci riuscii. Le mani stringevano, soffocandomi. Mi ci aggrappai, ma non riuscii a spezzare la stretta. — Unh — mormorò la persona alle mie spalle. Era un suono profondo, sommesso e soddisfatto. L’individuo girò su se stesso, trascinandomi con sé, e sbatté il mio corpo contro qualcosa di duro. Poi lasciò la presa. Un istante dopo ero a terra, a pancia in giù e con la faccia schiacciata contro qualcosa che sembrava bitorzoluto. Una radice? La base di un albero? La persona mi rigirò sulla schiena. Rimasi immobile. Forse avrebbe pensato che ero già morta. La persona, uomo o donna che fosse, si chinò su di me. Udii un respiro pesante e sentii l’odore del suo alito. Colluttorio, pensai. Ancora il respiro pesante. Avevo la sensazione che l’individuo intendesse toccarmi. Qualcuno gridò nelle vicinanze. L’individuo si raddrizzò. Un istante dopo era sparito. Mi faceva male la gola, e anche la spalla e il braccio. Inspirai adagio e con cura. Finora tutto bene. Sembrava che i miei polmoni funzionassero ancora. Espirai, poi mi sollevai su un gomito. Riucivo a muovermi. Il collo non era rotto. Girai la testa e sentii una fitta di dolore. L’accampamento. Dov’era? Vidi un tenuo bagliore rossastro. Il fuoco. Mi alzai sulle ginocchia. In quello stesso istante una figura balzò di fronte alla luce, visibile per un attimo. Poi sparì. Che cos’era? C’era qualcosa vicino a me. Provai a toccare. Erba enorme. Un grosso fusto liscio. Doveva essere ciò che avevo colpito quando il mio aggressore mi aveva fatto roteare. Ero stata sollevata e sbattuta contro un albero, nello stesso modo in cui un umano avrebbe battuto una scarpa contro un palo per togliervi il fango essicato. — Mostro! — Era un grido. Inahooli. Quella pazza. Aprii gli occhi. Accanto al fuoco c’erano due figure avvinghiate in una lotta. Erano a terra e rotolavano. Non riuscivo a distinguere chi fossero. Provai a camminare. Ci riuscivo, sebbene mi sentissi stordita. Il fuoco dell’accampamento, e le due figure, si sfocavano e tornavano a fuoco continuamente. Una voce urlò: — Aiutatemi! Era l’oracolo. Era lui che lottava. Ma dov’era Derek? Arrivai ai margini dell’accampamento e mi guardai attorno. Derek era là, a tre metri di distanza. Giaceva sulla schiena, metà all’ombra, metà illuminato dalla luce della luna. I capelli erano sciolti e gli erano caduti in avanti. Lunghi, chiari e aggrovigliati, gli nascondevano gran parte della faccia. Mi chinai e glieli tirai di lato. Aveva gli occhi chiusi e c’era del sangue attorno al naso e alla bocca. — Aiuto! — gridò di nuovo l’oracolo. Vidi la lancia di Derek posata a terra accanto a lui. La lama splendeva debolmente nel chiarore lunare. Doveva averla lasciata cadere quando Inahooli l’aveva colpito. La raccolsi e girai attorno al fuoco, muovendomi con cautela. C’era qualcosa che non andava nel mio senso dell’equilibrio. Inahooli era in cima. Doveva essere lei. Indossava una nuova tunica, chiara e con un sacco di ricami. L’oracolo non aveva niente del genere. Gli stava seduta sopra a cavalcioni e gli teneva le mani sulla faccia. Mi sembrò di vedere che gli ficcava i pollici negli occhi. L’oracolo urlò. Sollevai la lancia e la conficcai nella schiena di Inahooli. Lei cacciò un urlo. C’era furore in quel suono, non dolore. Si girò per vedere chi l’avesse colpita. Lasciai andare la lancia. L’oracolo si tirò su. Inahooli ruzzolò giù dal suo corpo. Un istante dopo lui era in piedi. La donna giaceva a terra, su un fianco, e si lamentava mentre incominciava a sentire il dolore. — Stai bene? — s’informò l’oracolo. — No. Cerca di scoprire come sta Derek. — M’inginocchiai accanto alla donna. La lama era penetrata nella parte inferiore della schiena, sotto le costole. Chissà che cosa aveva colpito? Non ne avevo idea. Non c’era molto sangue. Dovevo cercare di estrarre la lancia? O questo avrebbe fatto aumentare l’emorragia? Le immagini si sfocarono di nuovo davanti ai miei occhi. Sollevai la testa e respirai un po’ d’aria fresca. Inahooli si muoveva nel tentativo di trovare una posizione comoda. — Resta immobile — le dissi. — Demonio. Le presi il polso e cercai di sentirle le pulsazioni, ma lei tirò indietro il braccio. — Lasciami in pace. — fece una smorfia. — Le presi di nuovo il polso e questa volta lei non tirò indietro il braccio. Trovai le pulsazioni, ma in che modo potevo misurarle? Non in battiti al minuto. Non avevo un mezzo per misurare il tempo, e non sapevo neppure quali fossero le pulsazioni normali fra la sua gente. Cinquanta battiti al minuto? Settanta? O cento? Avrei dovuto confrontare la frequenza dei suoi battiti con quelli di un altro nativo. — Oracolo? — Dacci un minuto — disse Derek in inglese. Mi guardai intorno. Derek era in piedi e si appoggiava all’oracolo con una mano. Con l’altra si massaggiò la fronte. — Ohi! — Una commozione cerebrale? — chiesi. — Forse. Riesco a ricordare quanto è successo. O almeno credo di riuscirsi. E questo dovrebbe escludere la commozione cerebrale. Forse faresti meglio a controllarmi la larghezza delle pupille. — Okay. L’oracolo intervenne: — Parlate una lingua che io possa capire. Derek fece il gesto dell’assenso. — Stavo controllando il boschetto, facendo un giro per assicurarmi che tutto fosse a posto. "Quando sono tornato all’accampamento, tu eri sparita, Lixia. Ho chiamato il tuo nome e non ho avuto risposta. La cosa mi ha preoccupato, un po’, non abbastanza. Pensavo che Inahooli fosse pazza. Non credevo che sarebbe riuscita a superarmi. Stavo cercando te. E ho trovato Inahooli." La sua voce aveva un tono perplesso, come se non riuscisse a capacitarsi di come una cosa del genere fosse potuta accadere al dottor Derek Guerriero del Mare. "Non l’ho vista arrivare. È comparsa dal nulla e mi ha strappato la lancia. L’ha semplicemente afferrata e tirata, e la lancia era sparita. L’ha usata come una clava. In pieno sulla mia faccia." Si tastò il naso. "Non credo che sia rotto." — È da lì che è venuto il sangue? — Quale sangue? — Si passò la mano sotto il naso, poi se la guardò. — Oh. Quel sangue. Credo di sì. Quello che non capisco è… perché non mi ha accoltellato. — Stava per farlo — disse l’oracolo. — Dopo che sei caduto. Ma hai gridato prima che ti colpisse. Mi sono svegliato e ho visto ciò che stava succedendo. L’ho raggiunta prima che conficcasse la lancia. Le sono saltato sulla schiena e le ho morsicato la spalla. Questo le ha fatto mollare la lancia. Inahooli si lamentò. Le stavo ancora tenendo il polso. Il battito sembrava più lento di prima. — Oracolo, vieni qui. Voglio scoprire la rapidità del battito del tuo cuore. — Perché? Riflettei un momento. Come facevo a spiegarglielo? — Quando qualcuno del mio popolo sta male, il suo cuore batte diversamente. — Da che cosa? — Da come batte quando sta bene. E una persona esperta, una persona abile nelle guarigioni, è in grado di ascoltare il cuore o sentire il modo in cui batte e capire quanto stia male la donna. — Questo lo so — disse l’oracolo. — Ricordati, mia madre è una sciamana. Mi ha insegnato alcune cose quando vivevo nella sua casa. Ma non sono stato ferito. Perché vuoi sapere come si comporta il mio cuore? — Per fare un confronto. — Con la mano libera indicai Inahooli. — Non so come dovrebbe essere il suo battito cardiaco. Non so che cosa sia giusto fra la vostra gente. L’oracolo rivolse un’occhiata a Derek. — Riesci a tenerti in piedi da solo? — Credo di sì. — Derek lo lasciò andare. L’oracolo si avvicinò a Inahooli, si accoccolò e mi prese dalla mano il polso di Inahooli. — Non apparteniamo allo stesso popolo, Inahooli e io, ma tutti i cuori battono nello stesso modo. — Tacque un momento, inclinando il capo e aggrottando la fronte. — Sta andando un po’ troppo rapidamente, ma ricordati che ha lottato. — Mise giù il polso. — Estrarremo la lancia e fasceremo la ferita. Anche se io sono un uomo e lei è pazza, non posso andarmene e lasciarla in questo stato. Inahooli aprì gli occhi. — Siete tutti dei demoni. — Non parlare — le disse l’oracolo. Le prese la tunica dove la lancia l’aveva tagliata e tirò delicatamente. Il tessuto si lacerò. Nel giro di uno o due minuti le aveva tolto la tunica. Me la consegnò. — Strappala in tanti pezzi. Feci come mi aveva chiesto. Non era facile. Continuavo a imbattermi in ricami. Per fortuna avevo degli incisivi aguzzi. Spezzavo i fili con i denti, poi ricominciavo a lacerare il tessuto. Quando ebbi finito l’oracolo disse: — Ci serve altra stoffa. Che cosa avevamo? La mia camicia e quella di Derek. Diedi un’occhiata al mio compagno. Era ancora in piedi ma non aveva mosso un passo verso di noi. Alla luce fioca sembrava che barcollasse. Aveva un aspetto peggiore di quanto avessi pensato. Mi sbottonai la camicia e me la tolsi. L’oracolo mi guardò. — Che cos’è quella cosa che porti attorno al torace? Come si fa a spiegare un reggiseno a un alieno? Diedi uno strappo alla camicia. La cucitura era debole e si lacerò — Te lo spiegherò più tardi — dissi. Derek venne verso di noi. Incespicò un volta. — Come stai? — gli chiesi. — Okay. Stordito e confuso. Non mi aspettavo davvero che sarebbe tornata. Pensavo solo di essere prudente. Perché l’ha fatto? Finii di strappare, poi feci il gesto del dubbio. L’oracolo teneva in mano la lancia. Incominciò a tirare. Inahooli emise un gemito strozzato. — Presto sarà tutto finito — le disse. Mi lanciò un’occhiata. — Tieni pronta la stoffa. — Tirò di nuovo. La lancia uscì. Vidi la lama, coperta di sangue scuro. L’oracolo appoggiò a terra l’arma, poi si protese in avanti e osservò attentamente la ferita. — Sta sanguinando, ma adagio. È un flusso lento, non un fiotto. È un buon segno. Dammi le pezze di stoffa. Gli porsi un pezzo di tunica. Lui ne fece un tampone e lo sistemò sulla ferita, usando per fissarlo i pezzi splendidamente ricamati della tunica indigena e la mia camicia di denim. Un insetto mi pizzicò sulla spalla nuda. Gli diedi una pacca. — Della legna — disse Derek. — C’è un albero… immagino che lo si possa definire così… caduto e secco non lontano da qui. Andiamo. Ci inoltrammo nel boschetto buio. Derek trovò il suo pezzo di erba enorme: un enorme gambo caduto. Giaceva al suolo nel chiarore lunare. Sopra vi cresceva qualcosa di simile a un fungo. Somigliava al corallo, delicato e intricato. Ramoscelli pallidi si dividevano e dividevano ancora. O erano traslucidi o rifulgevano di luce propria, non avrei saputo dirlo. Ma la cosa aveva un tenue splendore. Restai a fissarla. Un altro insetto mi morsicò, questa volta sul braccio. — Sbrighiamoci — dissi. Raccogliemmo legna e la riportammo all’accampamento. Derek riattizzò il fuoco, e quando questo ebbe ripreso ad ardere, gli controllai gli occhi. Le pupille avevano la stessa larghezza. Non c’era commozione cerebrale. Tornai dall’oracolo. — Come sta? — Il battito del suo cuore è rallentato, ma non mi piace il modo in cui respira. La sorella di mia madre faceva un rumore così quando aveva la malattia della tosse. Non è sopravvissuta. Ascoltai. L’oracolo aveva ragione. Inahooli sembrava congestionata, come se avesse un brutto raffreddore o una polmonite. — Mi ha detto che aveva freddo — spiegò l’oracolo. — Le ho messo addosso il mantello di Nia. Derek parlò in inglese. — Se non ce la fa, ricordati che è stata legittima difesa. — L’avrei dovuta colpire sulla testa o con un calcio. Avrei dovuto distrarla e dare all’oracolo la possibilità di liberarsi. Hai idea di ciò che farà al mio karma? — Ve l’ho già detto prima — protestò l’oracolo. — Parlate una lingua che io possa capire. — Questa cosa porterà sventura — dissi. — Fare questo, far del male a un’altra persona, è agire come un animale, senza ragione né compassione. Le persone, quelle autentiche, non si fanno del male. — Credi davvero a ciò che dici? — domandò Derek. — E in questo caso, che ne pensi dell’uomo nel canyon? È morto e, da quanto ho sentito dire, hai contribuito. — Non avevo intenzione di ucciderlo, e non gli ho dato io il colpo mortale. È stata Nia. Non so che cosa le fosse passato per la mente. In ogni caso, quello è un problema suo, non mio. Io cerco di non imporre il mio sistema di etica sugli individui che studio. In questo caso… — esitai. — Ho conficcato io la lama. Quindi è un problema mio e del mio karma. E non sono del tutto sicura di ciò che intendevo fare. Forse volevo uccidere Inahooli. Non che mi aspettassi di diventare un Buddha, ma pensavo che avrei agito meglio di così. — Che cos’è un Buddha? — domandò l’oracolo. — Una persona che capisce ciò che sta accadendo. O forse una persona che non capisce ciò che sta succedendo e non se ne cura. — Questo non ha senso. Inahooli gemette e si mosse in modo irrequieto. Aprì gli occhi, ma non ci guardò. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Derek si protese in avanti. — Inahooli? Riesci a sentire quello che dico? Lei guardò verso di me. — Pensavo che all’arrivo dell’autunno sarei stata una donna importante. — Perché sei tornata? Lei mosse leggermente la testa e i suoi occhi incontrarono quelli di Derek. — Pensavate che vi avessi creduto? Quelle storie assurde? Sapevo che eravate dei demoni. Dissi: — Significa che stavi fingendo? La storia della sciamana era una menzogna? — Uno stratagemma. — Tirò indietro le labbra, esponendo i denti. Non era un sorriso. — Siete demoni molto stupidi. — Tacque un momento, inspirò ed espirò, poi socchiuse gli occhi. — Il dolore è terribile. — Guardò l’oracolo. — Sopravviverò? — Non lo so. Lei batté le palpebre. — — Che cosa ti aspetti quando arrivi strisciando, balzi addosso alle persone nell’oscurità e cerchi di far loro del male? Quale spirito approverà un comportamento come questo? — Ero furiosa. L’oracolo aggrottò la fronte. — Non ci sono scuse. Quando mi arrabbio, io lancio sassi o salto su e giù e grido o, se sono molto arrabbiato, compongo una canzone cattiva e la canto più forte che posso. Questo è il modo giusto di infuriarsi. Non è corretto scaraventare qua e là le persone. Soltanto gli uomini pazzi lo fanno. — Ho provato a gridare e a saltare su e giù. Non è servito a niente. C’era troppa collera. — Inahooli si accigliò. — Era come se avessi dentro di me il lago di fango bollente, che si agitava ed esplodeva. Derek disse in inglese: — Bicarbonato di sodio. — Sta’ zitto — ribattei. — Non riuscivo a sopportare la collera. Dovevo fare qualcosa di grosso. — Chiuse gli occhi per un momento, poi li riaprì. — Non voglio parlare più. Fa male. È una fatica troppo grande. — Chiuse nuovamente gli occhi. Rabbrividii. Derek mise altra legna sul fuoco. Le fiamme divamparono. — Brucia troppo in fretta. Non credo che durerà fino a domattina. — Mi rivolse un’occhiata. — Hai freddo, vero? Feci il gesto dell’assenso. — E gli insetti mi stanno divorando. Devono aver deciso che odoro di cibo. Si slacciò la camicia e se la tolse. — Eccoti. — E tu che cosa farai? — Starò in movimento. — Guardò il lago. — La luna è ancora alta nel cielo. Credo di avere tempo. Tu rimani qui, Lixia. — Si allontanò nelle tenebre. Aprii la bocca per chiamarlo, poi pensai: che diamine. Mi infilai la camicia. L’oracolo chiese: — Dove sta andando? Feci il gesto che significava "chi lo sa?". — Non c’è dubbio che si muova in fretta quando decide di dover fare qualcosa. — Sì. Inahooli gemette e si morse il labbro. L’oracolo le prese il polso. — Il battito si sta facendo più debole. Credo che morirà. La donna aprì gli occhi. Le sue pupille si erano dilatate e scorgevo a stento l’iride. C’era un po’ di arancione negli angoli, ma la parte centrale di ogni occhio era scura. — No. — Sì — ribatté l’oracolo. — Io non mento. Lei chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione. Diventava sempre più difficile per lei. Strano! Osservare una persona affannarsi per fare qualcosa di così facile e normale come tirare un respiro. Mi alzai e misi altra legna sul fuoco. Poi tornai a sedermi. Restai in ascolto. Ogni respiro era un rantolo. Quando espirava sentivo un sibilo. L’aria usciva attraverso una qualche ostruzione. Un liquido. Sangue. Quando l’avevo colpita con la lancia dovevo aver perforato un polmone. Il respiro andò avanti per un’altra ora o due. Mi alzai una volta e misi altra legna sul fuoco, poi restai lì, protesa sopra le fiamme. L’aria calda saliva attorno a me. La pelle d’oca scomparve e mi tornò la sensibilità alle mani. Strano che avessi così freddo! Dopo tutto, era piena estate. Ma la notte era fresca e soffiava un po’ di vento. Gli insetti erano spariti. Il vento doveva averli scacciati. Tornai accanto a Inahooli, mi sedetti e restai in ascolto. Il fiato entrava e usciva e il suono che faceva era aspro e disperato. Verso l’alba divenne irregolare. C’erano pause, come se Inahooli passasse dal sonno alla veglia: il respiro s’interrompeva un attimo quando si svegliava. Ma non era mai veramente vigile. Mi strofinai le mani. Erano intorpidite dal freddo. L’oracolo sedeva in silenzio. All’alba il respiro cessò. L’oracolo le tastò il polso e poi il collo. — Non c’è battito. — Si alzò in piedi. — Mi alzai e mi stirai a mia volta. Mi dolevano il collo e la spalla e avevo altri piccoli problemi in tutto il corpo: dolori, fitte e punti irrigiditi. Guardai Inahooli. Riuscivo a distinguere la sua posizione anche sotto il mantello. Giaceva su un fianco, le ginocchia piegate e le braccia incrociate contro il petto. La testa era piegata in avanti, il mento ripiegato. Non riuscivo a vedere la sua faccia. Ero un’assassina. Per davvero questa volta, non soltanto una complice. Guardai verso est. La luce rossa brillava fra due fusti di erba enorme. Il sole stava sorgendo. L’oracolo smise di saltellare. — Questo è il momento giusto per una canzone. Me ne è venuta in mente una mentre la osservavo. — Indicò Inahooli, poi si mise a cantare, usando il linguaggio dei doni. Riuscii a capire buona parte della canzone. In seguito lui mi spiegò le strofe che non avevo compreso. " Che situazione! Neppure tu, Inahooli, meriti di finire così. "Dove sono le tue sorelle? Dovrebbero piangerti, dondolandosi e gemendo sull’ingresso della tua casa. "Dove sono le tue cugine? Dovrebbero piangerti, portando doni da seppellire nella tua tomba. " Che situazione! Neppure tu, Inahooli meriti di finire così." S’interruppe per un momento, aggrottando la fronte e grattandosi la nuca. — C’è un’altra strofa — disse. — L’ho appena sentita nella mente. Dammi un momento per ordinare le parole. — Si mordicchiò l’unghia del pollice, poi cantò: "Questa è una morte da uomo, morire senza doni. Questa è una morte da uomo, morire sulla pianura". Il sole era ormai sorto. Derek tornò dal lago. Portava con sé un paio di bisacce da sella. — Dove sei stato? — gli domandai. — Sull’isola, quella che hai visitato tu. — Mise giù le bisacce e ne aprì una. — Farò uno scambio con te. La mia camicia per questa. — Tirò fuori una tunica. Era di un color bianco panna con ricami rossi e blu. Slacciai la camicia di Derek. — Hai qualcosa per Inahooli? Mi piacerebbe riprendere il mantello di Nia. Non mi sembra giusto che stia addosso a lei. Derek lanciò un’occhiata al corpo. — È morta? — Sì. Aprì l’altra bisaccia e tirò fuori un mantello. Era di un color marrone ruggine con un bordo giallo. L’oracolo tolse a Inahooli il mantello di Nia. Per un attimo intravidi il suo corpo, nudo salvo per la pelliccia scura e la fasciatura fatta di tessuto denim. Poi sparì alla vista. Derek disse: — C’era del cibo sull’isola. Carne essiccata e frutta. Ho riempito una bisaccia. — Non è giusto, Derek. Stiamo rubando a una morta. Lui s’inginocchiò e posò le mani sulle cosce. Rimase in quella posizione uno o due minuti, le braccia tese, la testa leggermente china, guardando il corpo sotto il mantello color ruggine. — Ascoltami, Inahooli. Prendiamo queste cose perché ne abbiamo bisogno. Abbiamo freddo. Abbiamo fame. Due di noi vengono da più lontano di quanto tu possa immaginare, e forse non torneranno mai più a casa. Credimi, non lo facciamo per malvagità, né collera, né alcun cattivo sentimento, ma per necessità. — Fece una pausa. — Ti prometto che useremo con rispetto ciò che prendiamo. Non saremo ingrati, e certamente non ci serviremo di questo come scusa per fare un viaggio di forza. "Le cose sono andate così perché così è girata la ruota della fortuna. Accettalo, Inahooli. Non essere in collera con noi." Si alzò e tornò verso di me. — Viaggio di forza? — dissi. — Esperienza psichedelica di potere — rispose in inglese. — Non ho trovato un modo migliore di tradurlo. — Tornò al linguaggio dei doni. — Vorrei riavere la mia camicia. Gliela diedi. In cambio lui mi porse la tunica. Me la infilai dalla testa. Il tessuto era soffice e caldo, simile a lana di ottima qualità. Aveva un odore di pelliccia, l’odore degli alieni. — Prendo il cibo — disse Derek. — Dopo che avremo mangiato, potremo seppellirla. Scavammo una fossa nella sabbia presso il lago, usando i remi come badili. Derek e l’oracolo sollevarono Inahooli e la trasportarono fino alla fossa. Una vera impresa. Ansimavano e grugnivano e una volta per poco non la fecero cadere. Io portai il mantello, cosa assai più facile. La deposero nella fossa e io la coprii col mantello. — Aspettatemi — disse l’oracolo, e si diresse verso il boschetto. Mi massaggiai la spalla, poi guardai Derek. Si era lavato la faccia, ma aveva ancora un aspetto orribile. Il naso era rosso e gonfio, e un occhio quasi chiuso. Aveva un livido sulla fronte sopra l’occhio. — Perché hai fatto quel discorso a Inahooli? Per rassicurare l’oracolo. Derek annuì col capo. — E anche me. Non si deve mai prendere senza dare una spiegazione e mai uccidere senza chiedere scusa. — Quanto sei civilizzato, in ogni caso? Sorrise. — Non molto. L’oracolo tornò. Portava del cibo: una striscia di carne essiccata e una manciata di bacche fresche. Le depose nella fossa accanto a Inahooli. Poi si tolse la collana d’oro e turchese e la sistemò accanto al cibo. — Forse sarà meno furiosa se le facciamo dei doni. Anche se ne dubito. È il genere di persona che mantiene la collera. Che brutto modo di essere! Ammucchiammo sabbia sopra il corpo di Inahooli, poi trovammo delle pietre e le sistemammo in cima alla sabbia. Una volta terminato il lavoro, l’oracolo disse: — Dovremmo eseguire delle cerimonie di prevenzione e purificazione. Ma non sono una sciamana. Non conosco le cerimonie che apprendono le donne sante. Non conosco neppure le cerimonie che apprendono gli uomini per aiutarli dopo che lasciano il villaggio. Tutto ciò che so è quello che mi ha detto la cascata. — Iniziò a cantare: "O santo! O essere di potere! Perché non mi aiuti? Che dovrei fare adesso? "O santo! O essere di potere! Perché non mi aiuti? Dimmi che cosa fare!". Inclinò il capo e restò in ascolto. Il vento soffiava. Le canne stormivano. L’acqua sciabordava sulla riva. — Tutto quello che riesco a sentire è: "Fa’ una nuotata". Forse potremo lavarci via ciò che è successo in questi ultimi giorni. Derek fece il gesto dell’approvazione. I due si svestirono ed entrarono nell’acqua. Si lavarono nell’acqua profonda presso le canne, poi nuotarono. Io mi preoccupavo del taglio sul braccio; non volevo bagnarlo. Non credevo neppure che la spalla mi permettesse di nuotare. Mi tolsi gli stivali, mi arrotolai i jeans e diguazzai nell’acqua bassa, cercando conchiglie e pietre lucide. Le pietre erano prive d’interesse: frammenti consumati rotondi e ovali di una sostanza nera simile a pomice. Le conchiglie erano grziose: minuscole spirali, rosa o di un tenue color lavanda. Ne raccolsi una dozzina, poi tornai sulla spiaggia. Posai le conchiglie sulla tomba. Un gesto assurdo. A che serviva quel dono? Non credevo nell’aldilà, quindi non era un tentativo di placare con un dono la collera di Inahooli. E non era sufficiente per placare il mio senso di responsabilità — Assassina — dissi ad alta voce. Quello stato d’animo era pericoloso. Rifiutai di abbandonarmici. Perché avrei dovuto? Il senso di colpa non faceva parte del mio patrimonio. I membri anziani della mia famiglia l’avevano disapprovato. Bisogna riconoscere gli errori e ammetterli e darsi da fare per infrangere i modelli di comportamento che portano a commetterli. Ma la colpa era sterile. "La vita è un processo" aveva detto Theresa. Era una delle mie co-madri, una tecnica sanitaria specializzata in psicologia. Per metà dell’anno lavorava su una nave mineraria d’alto mare, la "Immagina la colpa come una fascia di ferro fissata attorno a qualcosa che sta crescendo: il tronco di un albero, il collo di un bambino. Prima o poi, delle due cose una dovrà succedere: se la fascia non si spezza, la cosa che cresce resterà deforme. "Impegnati al cambiamento, Lixia, a vivere nel presente, a creare e ricreare quella che sei. Fa’ del tuo meglio. Comprendi ciò che fai. E non sentirti in colpa." Un buon consiglio, dissi al ricordo di Theresa. Raccolsi i miei stivali e m’incamminai verso il nostro accampamento. |
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