"Il biglietto vincente" - читать интересную книгу автора (Baldacci David)

11

Shirley Watson era fuori di sé. Ci aveva pensato per un bel pezzo prima di escogitare l’appropriata vendetta per l’umiliazione patita da LuAnn. Al termine di lunghe e tormentate meditazioni in cui aveva fatto ricorso a tutta la sua prodigiosa furbizia sudista, l’aveva finalmente trovata.

Shirley fermò il suo scassato furgoncino in uno slargo della strada sterrata, a circa mezzo chilometro dalla radura. Circospetta, smontò tra le felci. Con la mano destra reggeva una piccola latta. Controllò l’ora. Perfetto. Dopo un’ennesima notte passata a servire salsicce e birra alle orde dei cafoni locali, LuAnn stava di sicuro dormendo come un sasso. Che ci fosse o no anche Duane, non gliene fregava niente. Così imparava a non averla difesa contro quella specie di amazzone idrofoba della sua ganza.

A ogni passo, Shirley sentiva il furore che continuava a montarle dentro. La sua vita e quella di LuAnn erano state sinistramente simili. Nessuna delle due aveva finito le scuole medie. Nessuna delle due si era mai allontanata da Rikersville. L’unica differenza tra loro era che LuAnn Tyler aveva sempre voluto andarsene, mentre Shirley Watson aveva sempre voluto restare.

Il che rendeva l’oltraggio perpetrato su di lei ancora più imperdonabile. La gente di Rikersville l’aveva vista tentare di sgattaiolare in casa nuda come un verme e livida per il freddo. Offesa, derisione e umiliazione allo stato puro. LuAnn le aveva scaricato addosso una colossale valanga di letame e Shirley sarebbe stata costretta a portarsi addosso quel tanfo per il resto dei suoi giorni. La storiella di quel fottuto mattino sarebbe diventata un vero e proprio tormentone. Tutti quanti le avrebbero riso dietro, e in faccia, fino al momento in cui lei fosse stata morta e sepolta. E forse avrebbero continuato a farlo anche dopo.

LuAnn Tyler era la causa di questo. E l’avrebbe pagata cara, molto cara. D’accordo, lei si era scopata Duane. E allora? Tutti quanti sapevano che Duane non aveva la minima intenzione di sposare LuAnn. E tutti quanti sapevano pure che piuttosto di avviarsi all’altare con quel povero coglione, LuAnn avrebbe preferito impiccarsi con il filo spinato. L’unica ragione per la quale LuAnn continuava a rimanere con lui era perché non aveva nessun altro posto dove andare. O perché non aveva il coraggio di andare in nessun altro posto. Di questo Shirley era certa. O in ogni caso pensava di esserlo.

Tutti quanti ammiravano LuAnn, così bella, così forte e così in gamba. Davvero? Shirley si sentì strangolare dalla bile. Adesso si sarebbe occupata lei della signorina LuAnn Tyler. E dopo si sarebbe fatta matte risate stando a sentire in che termini tutti quanti avrebbero ammirato la nuova signorina LuAnn Tyler.

La sagoma della roulotte apparve tra la vegetazione. Shirley si chinò in avanti, procedendo con estrema cautela di albero in albero. La grossa decappottabile era ancora parcheggiata accanto alla roulotte. Shirley notò tracce di pneumatici che indicavano una qualche violenta manovra sul terreno fangoso. Superò la macchina, dando una rapida occhiata da uno dei finestrini. Era vuota. Ma di chi poteva mai essere quella macchina con tutte quelle cromature? C’era forse qualcun altro nella roulotte?

Un sorriso sghembo apparve sulla sua faccia dai lineamenti grossolani. Magari LuAnn si stava facendo sbattere alla faccia di Duane. Giustizia poetica. Però stava arrivando il suo turno, di scappare urlando tra i boschi nuda come un verme.

All’improvviso, nella radura si verificò una sorta di invisibile mutamento, come se fosse calata un’insopportabile quiete. Il sorriso di Shirley Watson si congelò. Diede un’occhiata nervosa intorno a sé. Perfino la brezza era svanita, come risucchiata nel nulla. Shirley si avvicinò alla zanzariera. Estrasse un grosso coltello da caccia e strinse con più forza la latta. Era piena di acido da batteria, e se l’acido non fosse bastato a sfigurare l’amazzone idrofoba, avrebbe completato il lavoro con il coltello. Shirley aveva scuoiato cacciagione e pesce di fiume fin da quando era bambina. Adesso avrebbe visto che effetto faceva scuoiare la faccia di LuAnn, quanto meno nelle parti risparmiate dall’acido.

Il tanfo la colpì come un pugno in piena faccia. Un tanfo di uova marce, di decomposizione. Si guardò intorno. Non aveva sentito un odore simile nemmeno durante il suo breve periodo di lavoro alla discarica pubblica di Rikersville. Shirley si compresse un fazzoletto su naso e bocca e trafficò per svitare il tappo della latta, tanfo o non tanfo.

Scivolò dentro la roulotte. Subito si affrettò a sbirciare nell’ala notte. Vuota. Forse LuAnn e il tipo che se la sbatteva si erano addormentati sul divano. Shirley si voltò e tornò sui propri passi avanzando nel corridoio, angusto e pieno di ombre. Sciami di mosche ronzavano dappertutto come nere molecole impazzite. Sentendosi soffocare, Shirley raggiunse la soglia del soggiorno e si preparò a lanciare la secchiata di acido. Scattò in avanti ma inciampò in qualcosa e franò a terra, con l’acido della batteria che schizzava da tutte le parti, finendo con la faccia nel putridume in decomposizione che era la fonte di quel tanfo atroce.

L’urlo isterico di Shirley Watson venne udito fin sulla strada statale.


— Non hai comprato granché — disse Charlie dando un’occhiata alle poche borse sul pavimento dell’anticamera della suite.

LuAnn emerse dal bagno dove si era cambiata con jeans e felpa bianca. I lunghi capelli erano trattenuti in una coda di cavallo.

— Mi bastava guardare le vetrine. E poi, santo cielo, qui ci sono dei prezzi da far paura.

— LuAnn, ci avrei pensato io — protestò Charlie. — Ormai ho perso il conto di quante volte te l’ho detto.

— Ma io non voglio che tu spendi i tuoi soldi per me.

— Non sono soldi miei — disse Charlie accomodandosi su una sedia. — Ho un fondo spese. Qualsiasi cosa tu voglia, puoi averla.

— È questo che il signor Jackson ti ha detto?

— Qualcosa del genere. — Charlie ebbe come un sogghigno. — Chiamiamolo un acconto sulla tua futura vincita.

LuAnn sedette sul letto, con le dita delle mani strettamente intrecciate, la fronte aggrottata. Lisa era nel suo nuovo passeggino, intenta a giocare con alcuni pupazzetti che Charlie le aveva comprato. I suoi gridolini di felicità echeggiavano per la stanza.

— Tieni. — Charlie diede a LuAnn un fascio di foto scattate nel corso della giornata per le strade di New York. — Per il tuo album dei ricordi.

— Davvero non me l’aspettavo di vedere cavalli e carrozze, qui a New York. — LuAnn passò in rassegna le immagini con occhi scintillanti. — Mi sono divertita un sacco ad andare in giro per quel vecchio parco, e perdipiù piazzato proprio nel mezzo di quei palazzoni così alti.

— Andiamo, LuAnn, non dirmi che non hai mai sentito parlare di Central Park.

— Certo che l’ho sentito, ma credevo che fosse tutto inventato — disse LuAnn porgendogli due foto-tessera che la ritraevano.

— Oh, grazie per avermelo ricordato — fece Charlie nel prenderle.

— Sono per il passaporto, no?

— Esatto.

— A Lisa il passaporto non serve?

— È troppo piccola — disse Charlie. — Lei può viaggiare iscritta nel tuo.

— Ah.

— E tu vuoi un nuovo nome, se ho capito bene.

— Non è una buona idea? — chiese LuAnn mentre metteva da parte le altre fotografie e cominciava a darsi da fare con le borse degli acquisti. — Cioè, ricominciare tutto daccapo.

— Così mi ha detto anche Jackson. E se è questo che vuoi…

D’improvviso, LuAnn lasciò cadere le borse e affondò il viso tra le mani.

— Suvvia, LuAnn, cambiare nome non è poi così traumatico — disse lui guardandola teneramente. — Che cosa ti preoccupa?

Lei alzò lo sguardo. — Ma tu sei proprio sicuro che io domani vinco la lotteria?

— LuAnn, aspettiamo fino a domani, d’accordo? — Il suo tono era rassicurante. — Io non credo proprio che tu resterai delusa.

— Tutti quei soldi… Eppure non mi sento a posto, Charlie. Nemmeno un po’.

Lui si accese una sigaretta, ed esalò il fumo della prima boccata senza smettere di guardarla. — Adesso chiamo il servizio in camera. Tre belle portate, una bottiglia di buon vino, magari un caffè italiano, il dolce, e dopo ti sentirai meglio. — Aprì il libretto dei servizi dell’albergo e cominciò a scorrere il menù.

— Senti… Tu questo lo hai già fatto?

— Ordinare il servizio in camera?

— No, stare dietro alle persone che… cioè, quelle a cui il signor Jackson fa il suo contratto.

— Lavoro con lui da un po’ — disse Charlie alzando lo sguardo dal menù. — Ma di persona non l’ho mai visto. Comunichiamo solamente per telefono. È un tipo sveglio. Forse un po’ troppo paranoico per i miei gusti, ma veramente intelligente, LuAnn. In ogni caso, lui paga molto bene. E fare la balia a gente in un hotel a quattro stelle, ordinando per loro il servizio in camera, non è poi un brutto modo di guadagnarsi da vivere. Nel tuo caso però è diverso.

— Diverso come?

Charlie si aprì in un ampio sorriso. — Non mi sono mai divertito così tanto nel fare la balia a qualcuno.

LuAnn si chinò accanto al passeggino di Lisa e prelevò una scatola in confezione regalo sistemata sul piano portaoggetti. Gliela porse.

Charlie spalancò la bocca. — Cos’è?

— Per te. Da parte mia e di Lisa. Stavo cercando un regalo per te, poi lei si è messa a indicare qualcosa e a ridere.

— Quando lo hai comprato?

— Ti ricordi quando stavi dando un’occhiata ai vestiti da uomo…

— LuAnn, non dovevi…

— Lo so che non dovevo — rispose lei in fretta. — Per questo si chiama regalo, no? Lo compri perché vuoi, non perché sei obbligato.

Senza staccare lo sguardo da lei, Charlie tormentò l’involucro con le dita, chiaramente commosso.

— Forza, aprilo, che diamine.

Lisa si svegliò in quel momento. LuAnn la prese in braccio ed entrambe rimasero a osservare Charlie che cominciava a lacerare la carta variopinta.

— Ma tu guarda!…

Era un fedora color verde scuro, con una fascia di pelle alta almeno tre centimetri, e la bordatura interna di seta gialla.

— Al negozio, ti ho visto provarlo. — LuAnn sorrise. — E ti stava proprio bene, proprio bello. Ma poi lo hai rimesso giù. Però io l’avevo capito che lo volevi.

— LuAnn, questo cappello costa un sacco di soldi.

— Ne avevo da parte — fece lei, con un gesto di noncuranza. — Spero che ti piaccia.

— È magnifico, grazie tantissime. — Charlie la strinse energicamente per le spalle, accarezzando uno dei piccoli pugni di Lisa nel darle una delicata ma formale stretta di mano. — E grazie anche a te, signorinella. Ottimo gusto.

— Dai, rimettilo su. Vedi se ti piace ancora.

Charlie si sistemò il cappello sulle ventitré e si diede un’occhiata nello specchio.

— Sei uno schianto, Charlie — approvò LuAnn. — Proprio uno schianto.

— Sì… niente male — confermò lui provandolo con un’altra inclinazione. — Davvero niente male.

Infine si tolse il cappello e tornò a sedersi.

— Sai, LuAnn, questo è il primo regalo che ricevo da qualcuno di cui mi sto occupando. Di solito sto con loro solamente un paio di giorni, poi subentra Jackson.

LuAnn non si lasciò scappare la possibilità di vederci più chiaro: — Ma com’è che ti sei ritrovato a fare questo lavoro?

— Non dirmi che adesso vuoi stare a sentire la storia della mia vita?

— Perché no? Anzi, ti farò una testa così finché non lo fai.

Charlie si mise più comodo e indicò il proprio volto con il pollice della sinistra. — Scommetto che non avresti mai indovinato che combattevo sul ring — attaccò sogghignando. — Più che altro, ero uno “sparring partner”, quello su cui i giovani leoni praticavano la loro nobile arte. Ma sono stato furbo abbastanza da mollare quando avevo il cervello ancora intatto, almeno in parte. Dopo la boxe, mi sono dato al football, a livello semiprofessionistico. Non che quello sia più leggero, ma in compenso porti casco e imbottiture. Ho sempre fatto sport. E mi piaceva guadagnarmi il pane con lo sport.

— Tu ce l’hai l’aria di uno in forma.

— Ehi, niente male per un vecchietto di cinquantaquattro anni, giusto? — Charlie si diede una pacca sugli addominali solidi. — In ogni caso, finito con il football ho fatto per un po’ l’allenatore, mi sono sposato e me ne sono andato di qua e di là… senza mai trovare il posto giusto in cui fermarmi. Lo sai com’è, no?

— La conosco bene questa storia — concordò LuAnn.

— Poi la mia carriera ebbe una svolta. — Charlie spense la sigaretta e immediatamente se ne accese un’altra.

LuAnn ne approfittò per rimettere Lisa nel passeggino. — Cioè quale?

— Sono stato per un po’ ospite dello Zio Sam.

LuAnn lo guardò con aria perplessa.

— Sole a scacchi, LuAnn. Carcere federale.

LuAnn lo guardò sorpresa. — Tu non mi sembri il tipo del criminale.

— No? E che tipo è il criminale? — domandò Charlie sorridendo. — Ti posso assicurare che ce n’è proprio di tutti i tipi.

— Che cosa avevi fatto?

— Evasione fiscale. Frode, credo che si dica. Almeno, così l’ha chiamata il pubblico ministero. Aveva ragione. Mi ero stufato di pagare, ecco tutto. Che diavolo, non ce n’era abbastanza nemmeno per tirare a campare, figurati darne anche al governo. — Charlie corrugò la fronte e si ravviò i capelli. — Una piccola svista che mi è costata tre anni. Più il mio matrimonio.

— Oh, mi spiace.

— È stata probabilmente la miglior cosa che potesse capitarmi — rispose lui facendo spallucce. — Ero in un carcere di minima sicurezza insieme a un branco di altri balordi dal colletto bianco, così non avevo da preoccuparmi che qualcuno mi tagliasse la testa. O qualche altra parte anatomica. Seguii una quantità di corsi, cercai di capire che cosa avrei potuto fare per il resto della mia vita. Ci fu un unico aspetto negativo in prigione. — Charlie sventolò la sigaretta accesa. — Il tabacco. Fuori, mai fatto un tiro. Dentro, tutti quanti tiravano da tutte le parti. Una volta tornato in libertà riuscii a smettere. Ressi anche per parecchio. Sei mesi fa ci sono ricascato in pieno. All’inferno. Comunque, una volta tornato fuori, andai a lavorare per il mio avvocato difensore. Una specie di investigatore privato, molto privato. Nonostante la mia scivolata con il fisco, lui sapeva che io ero un tipo affidabile, addirittura onesto. E da parte mia, conoscevo un bel po’ di gente a tutti i livelli della scala sociale. E tu sai che cosa intendo, no? Agganci giusti. Inoltre, dietro le sbarre avevo imparato un sacco di cose. Avevo avuto fior di professori in tutte le materie che contano davvero, dall’imbroglio alle assicurazioni, al furto d’auto. Un’esperienza che mi è stata parecchio utile nel mio lavoro con l’avvocato. E poi, il lavoro a me andava di lusso.

— Ma com’è che hai attaccato con il signor Jackson?

Di colpo, Charlie non apparve più tanto a suo agio. — Fu lui a contattarmi. Mi ero rimesso nei guai. Non guai grossi, ma ero ancora in libertà vigilata e avrei potuto ritrovarmi in galera per un bel po’. Jackson si offrì di darmi una mano. E io accettai l’offerta.

— Tipo come ho fatto io. — C’era un che di tagliente nella voce di LuAnn. — L’offerta che non puoi rifiutare.

— Già. — Gli occhi di Charlie s’indurirono. — Proprio l’offerta che non puoi rifiutare.

LuAnn sedette sul letto e sbottò d’un fiato: — Io non ho mai fatto imbrogli su niente in vita mia.

— Questione di prospettiva.

— Che cosa vuoi dire?

— Be’, se ci pensi, gente brava, onesta, che lavora duro, fa imbrogli pressoché ogni giorno. La maggior parte sono imbrogli piccoli, certi sono più grossi. Gente che truffa il fisco. O che le tasse addirittura non le paga per niente, come me. Gente che si rende conto di aver ricevuto un resto in più ma che non restituisce la differenza. E poi tutte quelle piccole bugie. Cose da nulla, però dette quotidianamente, giusto per arrivare a sera senza diventare matti. Il che ci porta alla roba grossa. Uomini e donne che tradiscono i loro compagni, mariti, mogli, amanti pressoché costantemente. E credimi, sono un esperto in materia. La mia ex moglie ha una laurea in adulterio.

— Ne so qualcosa anch’io — disse LuAnn a bassa voce.

— Che povero stronzo, se mi passi il commento. In ogni caso, se ammucchi tutti i piccoli imbrogli di un’intera vita, viene fuori qualcosa di bello grosso.

— Ma non grosso come cinquanta milioni di dollari.

— Forse non in termini di dollari, questo no. Ma può darsi che una sola truffa super valga come mille piccole truffe quotidiane, che alla fine ti fanno sentire male quando ti guardi allo specchio.

Charlie rimase a osservarla mentre LuAnn reprimeva un brivido.

— Forza, ordiniamo questa cena — e così dicendo tornò a esaminare il menù. — Pesce va bene?

LuAnn annuì con aria assente, gli occhi fissi al pavimento, mentre Charlie faceva l’ordinazione per telefono. Riattaccò e si accese l’ennesima sigaretta.

— Andiamo, LuAnn, non esiste una sola persona al mondo che rifiuterebbe l’offerta di Jackson. Da come la vedo io, faresti una grossa stupidata a rifiutarla. — Giocherellò con l’accendino. — E da quel poco che ho visto di te, puoi sempre redimerti, quanto meno agli occhi di te stessa. Non che a teserva poi così tanta redenzione…

Lei alzò lo sguardo. — E come faccio?

— Potresti usare una parte di quei soldi per aiutare altre persone — rispose Charlie con semplicità. — Mettere su una specie di fondazione, qualcosa del genere. Non sto dicendo che non dovresti goderti i soldi. Penso che te li meriti. Ho visto un po’ di note sulla tua storia passata e so che non hai avuto affatto una vita facile.

LuAnn scrollò le spalle. — Finora ce l’ho fatta.

— Esattamente, LuAnn: ce l’hai fatta. — Charlie andò a sedersi accanto a lei. — Hai imparato a sopravvivere, e sopravviverai anche a questo. Senti — continuò guardandola intensamente. — Adesso che ti ho raccontato più o meno tutto, posso fartela io una domanda personale?

— Dipende da che domanda è.

— Mi sembra giusto — concordò lui. — Ecco… me lo vuoi dire come diavolo sei andata a inguaiarti con un paraculo senza futuro come Duane Harvey?

Senza futuro… proprio così. Il modo in cui il suo corpo magro era crollato in avanti, riverso nel suo stesso sangue. Il modo in cui gli era sfuggito quel lieve gorgoglio estremo, forse una richiesta di aiuto. Una richiesta alla quale lei non aveva risposto. — Duane non è poi cosi male. — LuAnn si alzò e prese a passeggiare avanti e indietro. — Ha solo avuto un sacco di sfighe. La mia mamma era morta da poco. Io ero proprio a terra. Mi sono messa con Duane mentre cercavo di capire che cosa fare del resto della mia vita. O stai in quella contea e crepi in quella contea, o cerchi di battertela più svelto che puoi. Non esiste nessuno che viene a stare nella Contea di Rikersville, o almeno, io non ho mai sentito di nessuno. — LuAnn trasse un profondo respiro. — Duane era appena andato in questa roulotte nei boschi. Aveva un lavoro, allora. Mi trattava bene, e parlavamo di sposarci. Era tutto… diverso.

— Anche tu volevi essere una di quelli che restano e crepano in quella contea?

— Ma no, che diavolo! — esclamò lei folgorandolo con un’occhiata. — Io e Duane volevamo andare via. Io lo volevo sicuramente. E lui mi diceva che anche lui lo voleva. — LuAnn si fermò di fronte a Charlie. — Poi è venuta Lisa. E questo fatto per Duane ha cambiato le cose. Io non penso che avere una bambina fosse nei suoi piani. Ma la bambina è arrivata, ed è la gioia della mia vita. Solo che, dopo Lisa, le cose con Duane non sono più andate bene. Io sapevo che dovevo andarmene, e stavo cercando di capire come… Ed è stato allora che il signor Jackson mi ha chiamato.

LuAnn spostò lo sguardo alla finestra panoramica, ai milioni di luci scintillanti di New York. — Jackson mi ha detto che per prendere i soldi ci sono delle condizioni. — Tornò a guardare Charlie. — Io lo so che non lo fa perché mi vuole bene.

— Questo è poco ma sicuro — grugnì Charlie.

— Tu ce l’hai qualche idea su queste condizioni?

Charlie stava scuotendo la testa ancora prima che lei completasse la domanda. — So solo che con tutti i soldi che ti arriveranno non saprai nemmeno che cosa farci.

— Ma io i soldi li posso spendere come mi pare, giusto?

— Giusto. Tutti tuoi. Niente clausole scritte in piccolo. Puoi svuotare l’intera gioielleria Tiffany o costruire un ospedale per bambini ammalati di leucemia ad Harlem. La scelta sarà tutta tua.

LuAnn osservò nuovamente il vortice di luci e i suoi occhi presero a scintillare. Fu esattamente in quel momento che ebbe le risposte. Tutte le risposte! In quel preciso momento nella sua testa tutto sembrò combaciare alla perfezione, rendendole finalmente chiaro che cosa avrebbe fatto con il resto della sua esistenza.

E con quell’immensa fortuna.