"Il biglietto vincente" - читать интересную книгу автора (Baldacci David)

10

Il Crescent aveva accumulato ritardi a catena lungo il percorso. Erano quasi le tre e mezzo del pomeriggio quando LuAnn e Lisa si ritrovarono nel disorientante caos della Pennsylvania Station. LuAnn non aveva mai visto in vita sua una simile concentrazione di persone, tutte nello stesso posto e tutte in movimento simultaneo. Gente e bagagli parevano volare intorno a loro come proiettili e LuAnn strinse con più forza la presa intorno alla maniglia del seggiolino. Il braccio continuava a farle male. Ma se qualcuno avesse tentato di fare il furbo, sarebbe comunque riuscita a piazzargli un solido diretto sul grugno.

LuAnn continuò a procedere lentamente lungo il binario, allungando il collo alla ricerca di un segnale che indicasse l’uscita. Vide un cartello con su scritto MADISON SQUARE GARDIN. Ricordava vagamente di aver seguito un incontro di pugilato trasmesso in diretta dal Madison. Poteva essere quella una via per uscire dalla stazione? E dov’era la persona che, a sentire Jackson, avrebbe dovuto incontrare? Come accidenti sarebbe riuscita a trovare lei e Lisa nel mezzo di quella Babele?

— Signorina Tyler?

LuAnn sì ritrasse istintivamente. L’uomo aveva occhi bruni e baffi spruzzati di grigio sormontati da un naso appiattito. Per un istante LuAnn si chiese se fosse lo stesso uomo che aveva visto battersi sul ring del Madison qualche anno prima. No, non poteva essere. Questo individuo aveva almeno cinquant’anni: troppo vecchio. E comunque aveva le spalle larghe e le orecchie a cavolfiore di un pugile di professione.

— Mi manda il signor Jackson — la sua voce era bassa ma chiara.

LuAnn annuì, porgendo la mano destra: — Chiamami pure LuAnn. Tu come ti chiami?

— Non ha importanza. Se ora vuole seguirmi… — accennò l’uomo avviandosi. — Una macchina ci sta aspettando.

LuAnn non si mosse. — A me piace sapere il nome di quelli che incontro.

L’uomo tornò sui propri passi. L’ombra di un sorriso mitigava l’accenno di irritazione sui suoi lineamenti.

— D’accordo, LuAnn. Che ne dici di Charlie?

— Charlie va bene. Così tu lavori per il signor Jackson. Sono i vostri nomi veri?

— Vuoi che porti io la piccola? — Charlie accennò a Lisa, ignorando del tutto la domanda. — Quel seggiolino ha l’aria di pesare parecchio.

LuAnn represse una smorfia di dolore. — Non c’è problema.

— Sicura? — Lo sguardo di Charlie si spostò al cerotto sul mento di lei. — Si direbbe che qualcuno ti abbia fatto assaggiare un diretto.

— Ho detto che non c’è problema.

Charlie la guidò fuori da Pennsylvania Station, poi oltre una lunga fila di persone in attesa di prendere il taxi. Le aprì la portiera di una limousine nera in attesa lungo il marciapiede. Prima di salire, LuAnn sgranò gli occhi per un attimo al cospetto di quella specie di transatlantico su ruote. Continuò a tenerli sgranati anche osservando il lussuoso interno in pelle e legno luccicante.

— Saremo all’albergo in una ventina di minuti — la informò Charlie accomodandosi sul sedile dirimpetto a lei. — Vuoi qualcosa da bere? O da mangiare? Il cibo delle ferrovie fa abbastanza schifo.

— Ho mangiato ben di peggio, ma un po’ di fame ce l’ho. Però non fermarti apposta.

Lui la guardò, leggermente sorpreso. — Non sarà necessario.

Dal frigobar del veicolo, Charlie estrasse una birra, un’acqua tonica, un paio di panini e qualche stuzzichino. Fece apparire un tavolino apribile e lo apparecchiò con un tovagliolo immacolato, con tanto di piatto, posate e bicchiere. LuAnn seguì i movimenti precisi ed efficienti delle sue grandi mani come una ragazzina incantata per la prima volta dalle luci di un luna-park.

— Sapevo che con te ci sarebbe stata la bambina — proseguì Charlie — così ho fatto mettere in macchina latte, biberon e cose del genere. All’albergo troverai qualsiasi cosa ti possa servire.

LuAnn preparò subito un biberon per Lisa e la ninnò con un braccio, divorando a sua volta un panino.

— La tua bambina è bellissima — disse Charlie studiando madre e figlia con un sorriso amichevole. — Come si chiama?

— Lisa, Lisa Marie. Come la figlia di Elvis, lo sai, no?

— Mi sembri un po’ troppo giovane per essere una fan di Elvis Presley.

— Be’, io non ascolto quella musica. L’ascoltava la mia mamma. Andava matta per Elvis. L’ho fatto per lei. Il nome di Lisa, voglio dire.

— Lo avrà apprezzato, immagino.

— Mah, lo spero. È morta prima che nascesse.

— Mi dispiace. — Charlie ebbe una battuta d’arresto. — Tu che genere di musica ascolti?

— Quella classica. Non è che me ne intendo, ma mi piace il suono. Mi fa sentire come pulita dentro. Come nuotare in un lago in montagna, con l’acqua così chiara che puoi vedere il fondo.

— Mai pensato alla musica classica in quei termini — commentò Charlie sorridendo. — Io vado matto per il jazz. Me la cavo un po’ con la tromba. Dopo quelli di New Orleans, i migliori jazz club stanno proprio qui a New York. Certi sono aperti fino all’alba. E nemmeno troppo lontano dall’albergo.

— E in che albergo andiamo?

— Waldorf-Astoria. — Charlie mandò giù una sorsata di acqua tonica e si rilassò contro lo schienale, slacciandosi la giacca. — Prima volta a New York?

LuAnn diede un altro morso al panino. — Prima volta dappertutto.

Charlie abbozzò una risata. — Be’, come inizio, New York è il massimo.

— E l’albergo com’è?

— Prima classe. Molto bello. Certo non è come il Plaza. Ma dopotutto, cos’è paragonabile al Plaza? Però può anche darsi che un giorno ci andrai, al Plaza.

LuAnn lo osservò asciugarsi le labbra con un tovagliolo di carta. Le dita erano dure e spesse, massicce. Dita estremamente forti.

— Charlie…

— Sì?

LuAnn lo stava guardando nervosamente mentre finiva il panino e beveva un sorso della sua bibita. — Sai perché sono qui?

— Limitiamoci a dire che so quanto basta per convincermi a non fare troppe domande.

— Ma il signor Jackson lo hai mai incontrato?

— Perché non lasciamo perdere, LuAnn?

— Sono solo curiosa, tutto qui.

— Sai che cosa è successo alla gatta curiosa, no? — Gli occhi scuri di lui erano privi di espressione. — Tieni la testa sulle spalle, fa’ quel che ti viene detto e tu e la tua bambina non avrete più nemmeno l’ombra di un problema. Che ne pensi come programma?

— Be’, niente male.

LuAnn tenne Lisa più stretta contro di sé. Charlie aprì un altro compartimento dell’abitacolo e ne tolse un soprabito di pelle nera e un cappello scuro, a tesa larga.

— Lascia perdere il tuo cappello e indossa questi. Per ovvie ragioni, non vogliamo che tu venga notata.

LuAnn ubbidì e indossò i nuovi indumenti.

La limousine imboccò la corsia riservata di fronte al Waldorf.

— Mi occuperò io della reception — disse Charlie. — La tua suite è a nome Linda Freeman, donna d’affari americana di base a Londra. Sei in viaggio con tua figlia, lavoro e diletto.

— Donna d’affari? E se qualcuno mi fa delle domande?

— Nessuno ti farà domande.

— Allora, adesso, io sono questa Linda Freeman?

— Lo sarai fino al gran giorno. Dopodiché, potrai tornare a essere LuAnn Tyler.

E chi mai vuole tornare a essere LuAnn Tyler?

La suite si trovava al trentaduesimo piano.

LuAnn, sentendosi come Alice nel Paese delle Meraviglie, vagò per l’elegante soggiorno, la sontuosa camera da letto e la stanza da bagno da favola.

— Ma si possono mettere queste cose qui? — LuAnn accarezzò il soffice cotone degli accappatoi.

— Puoi mettere tutto quello che vuoi — rispose Charlie. — E se ci tieni a comprare uno di quegli accappatoi, per settantacinque dollari è tuo.

LuAnn scostò parzialmente le tende della finestra panoramica. Un vasto arco del profilo di New York riempiva il paesaggio: una selva di torri acuminate contro il cielo che imbruniva, pieno di nubi scure.

— Non ho mai visto cosi tanti grattacieli tutti insieme in questo modo. Ma la gente come fa a distinguerli? — domandò LuAnn girandosi verso Charlie. — Mi sembrano tutti uguali.

— LuAnn, va bene divertirsi — rispose Charlie scuotendo il capo — ma ora non è più necessario che tu faccia la parte della ragazzotta di campagna.

— Ehi, Charlie, io sono una ragazzotta di campagna — ripeté LuAnn guardando fuori. — E probabilmente sono la più stupida ragazzotta di campagna che tu hai mai conosciuto.

— Ehi, senza offesa, d’accordo? — Charlie corrugò la fronte. — Se sei nato e cresciuto a New York, ti fai una certa mentalità su certe cose e su certa gente. — Seguì con lo sguardo LuAnn che andava a fare una carezza a Lisa. — Senti, qui c’è il frigobar.

Charlie aprì lo spesso sportello a tenuta termica e le mostrò come richiuderlo.

— E questa è la cassaforte. — Charlie inserì il codice di apertura e le serrature si sbloccarono. — È sempre meglio mettere al sicuro gli effetti personali di valore.

— Io non ho niente da mettere al sicuro.

— Nemmeno quel biglietto della lotteria?

LuAnn deglutì a vuoto, si frugò in tasca, estrasse il biglietto e glielo porse. — Allora lo sai anche tu?

Lui evitò di rispondere, e neppure guardò il biglietto prima di metterlo nella cassaforte.

— Scegli una combinazione — le disse poi. — Niente di troppo ovvio come compleanni o anniversari, ma al tempo stesso qualcosa che tu possa ricordare facilmente. Non è consigliabile andarsene in giro con in tasca numeri scritti — aggiunse ruotando verso di lei lo sportello con la placca dei pulsanti numerati. — Forza.

LuAnn ubbidì e Charlie attese che la serratura elettronica lo mettesse in memoria prima di chiudere la cassaforte, quindi si preparò ad andare.

— Ci vediamo domani mattina verso le nove. Se ti viene fame, sete, o qualsiasi cosa, tutto quello che devi fare è sollevare il telefono e chiamare il servizio in camera. Ma stai attenta a non farti vedere in faccia dal cameriere. Raccogliti i capelli, mettiti la cuffia come se stessi per farti una doccia. Apri la porta, firma il conto a nome Linda Freeman e torna nella stanza da letto. Ecco qua un po’ di soldi per le mance. — Charlie le allungò un fascio di banconote di piccolo taglio. — Comportati sempre in modo discreto. Non andartene a spasso per l’albergo o cose del genere.

— Non preoccuparti — disse LuAnn cercando di esibire una certa sicurezza, ma la sua voce era incrinata. — Lo so che non parlo bene come una di queste donne d’affari.

— Non volevo dire questo. — Forse anche la voce di Charlie era incerta. — Senti, LuAnn, io stesso ho finito le medie per miracolo. Mai andato al college. Però non me la passo male. D’accordo, né tu né io siamo dei geni di Harvard. Ma chi se ne frega? — Le toccò leggermente una spalla. — Fatti una bella dormita. Domani, andiamo un po’ in giro per la città e ci facciamo una chiacchierata. Ti va l’idea?

— Andare fuori… — LuAnn sorrise. — Sarebbe proprio bello.

— Domani potrebbe fare freddo. Copriti bene, okay?

LuAnn istintivamente esaminò la propria maglietta stropicciata, i jeans sporchi dal viaggio. — Non ho molto con me — disse in tono imbarazzato. — Sono partita di fretta.

— Non importa se non hai bagaglio — le diede una rapida occhiata, prendendole le misure. — Circa un metro e settanta, giusto? Misura quarantasei?

LuAnn annuì, arrossendo leggermente: — Un po’ più abbondante sopra, magari.

— Magari. — Gli occhi di Charlie si soffermarono sul seno pronunciato. — Domattina ti porto degli altri vestiti. E anche per Lisa. Allora mi servirà un po’ più di tempo. Ci vediamo verso mezzogiorno invece che alle nove.

— Lisa può venire con noi?

— Ma certo.

— Grazie, Charlie. Proprio tanto. Non me la sento di girare da sola, qui fuori. Però voglio uscire. In vita mia non ho mai visto un posto così grande. Mi sa che in questo albergo c’è più gente che in tutta Rikersville.

— Io sono di qui, per cui a me non fa effetto — disse Charlie ridendo. — Ma so esattamente che cosa intendi.

Dopo che se ne fu andato, LuAnn prelevò delicatamente Lisa dal seggiolino e la mise sul grande letto. Le tolse i vestiti, le fece un bagno caldo, le mise il pigiama e tornò a sistemarla sul letto, mettendo due grandi cuscini, uno per parte, in modo che non rotolasse giù. Ora, forse, poteva pensare un po’ anche a se stessa. Fare a sua volta un bagno, cercare di occuparsi di tutti quei lividi che le dolevano in ogni parte del corpo.

In quel momento suonò il telefono.

LuAnn sussultò ed esitò. Provava uno strano senso di colpa e nel contempo si sentiva come in trappola.

— Pronto?

— Signorina Freeman?

— Scusi, ha… — Le parole le si strozzarono in gola. Non di nuovo! LuAnn ce la mise tutta per assumere un tono calmo e professionale: — Esatto, sono la signorina Freeman.

— Il suo tempo di reazione rimane scarso, LuAnn — disse Jackson. — Le persone raramente dimenticano il proprio nome. Non le pare?

LuAnn non rispose.

— Come vanno le cose? Ci stiamo prendendo abbastanza cura di lei?

— Certo che sì. Charlie è un tipo fantastico.

— Charlie?… Ah, certo. Ha il biglietto, LuAnn?

— È nella cassaforte.

— Buona idea. Ha carta e penna a portata di mano?

LuAnn si guardò intorno. Dal cassetto di una scrivania che pareva antica prese un foglio di carta e una penna.

— Scriva quanto riesce — riprese Jackson. — Anche Charlie avrà comunque tutti i dettagli. Sono lieto d’informarla che ogni cosa è a posto. Alle sei di dopodomani sera il numero del biglietto vincente verrà annunciato a tutta la nazione. Lei seguirà l’estrazione alla TV, rimanendo nella sua stanza d’albergo. Verrà trasmessa da tutte le principali reti televisive. Tuttavia, non credo che la cosa presenterà per lei troppa suspense.

LuAnn fece un gran sospiro. Sapeva, sentiva, che in quel momento c’era un sorriso beffardo sul volto dell’uomo che si faceva chiamare Jackson.

— Tutto il paese aspetterà con ansia che il vincitore si faccia avanti. Ma questo lei non lo farà. Non subito. Vogliamo che lei abbia il tempo, fittizio, è chiaro, di abituarsi all’idea dell’improvvisa ricchezza, di tranquillizzarsi, forse anche di cercare il consiglio di esperti finanziari, avvocati eccetera eccetera. Naturalmente non è obbligatorio che il vincitore venga a New York. La conferenza stampa può avere luogo anche nella città d’origine. Nel passato, però, sono stati molti i vincitori che hanno scelto di venire a New York, e alla Commissione Lotterie questo piace molto. New York è il luogo perfetto nel quale tenere conferenze stampa di questo genere. A norma di regolamento, il vincitore ha trenta giorni di tempo per reclamare la vincita. Quindi non è il tempo un fattore problematico. La sua scelta, LuAnn… mi correggo, la mia scelta, è aspettare un giorno o due. Ed era questa la ragione per la quale avrei preferito non averla a New York troppo in fretta. Non era consigliabile che lei si trovasse a New York prima dell’estrazione del biglietto vincente. In ogni caso, ora è qui e dovremo regolarci di conseguenza. — Il tono di Jackson denunciava una certa contrarietà derivante dall’alterazione dei suoi piani. — Lei pertanto rimarrà in rigoroso, e sottolineo rigoroso, incognito fino al momento in cui io sarò pronto a presentarla quale vincitrice. Siamo intesi con la massima chiarezza su questo, LuAnn?

— Senta, signor Jackson, mi dispiace — disse LuAnn con precipitazione. — Ma proprio non potevo aspettare a venire via. Gliel’ho detto che cosa succede a Rikersville se sanno che ho vinto. E finisce che lo sanno. È una città così piccola…

— Rikersville è una materia per me priva del minimo interesse — tagliò corto Jackson. — Non intendo sprecarvi ulteriormente il mio tempo. La sola cosa che m’interessa in questo momento è che lei non esista. Lei ha preso l’autobus fino ad Atlanta, esatto?

— Sì.

— E ha anche preso le opportune precauzioni per nascondere il suo aspetto, esatto?

— Un grande cappello da cowboy, grandi occhiali neri. Non ho visto nessuno che conosco.

— E soprattutto lei non ha usato il suo vero nome nell’acquistare il biglietto ferroviario, esatto?

— Certo che no! — mentì LuAnn.

— Allora non dovrebbe aver lasciato tracce.

— Speriamo.

— Non si allarmi, LuAnn. Non c’è motivo. In ogni caso, nel giro di pochi giorni lei si troverà molto, ma molto lontano da New York.

— E dove mi troverò esattamente?

— Me lo dica lei. Europa? Asia? Sudamerica? Scelga lei il luogo. Io mi occuperò di farcela arrivare.

LuAnn ci pensò su un momento. — Devo decidere proprio adesso?

— Naturalmente no. Ma se la sua intenzione è di partire immediatamente dopo la conferenza stampa, prima me lo farà sapere, meglio sarà. Ho compiuto una quantità di miracoli in materia di viaggi internazionali, ma lei, essendo priva sia di passaporto sia di qualsiasi altro documento d’identità, è un caso pressoché unico. — La voce di Jackson oscillò sul confine della derisione. — Tutte le carte dovranno essere appositamente preparate per lei.

— E davvero lo può fare? Perfino la tessera della Sicurezza Sociale?

— LuAnn, lei mi sta forse dicendo di essere addirittura priva del numero della Sicurezza Sociale? È impossibile!

— Non è vero, se i tuoi genitori non riempiono le carte che ci vogliono — replicò seccamente LuAnn.

— Pensavo che all’ospedale non lasciassero uscire un neonato che non avesse tutta la documentazione in regola.

LuAnn quasi scoppiò a ridere. — Ma io non sono mica nata all’ospedale, signor Jackson. Mi hanno detto che la prima cosa che ho visto erano le lenzuola sporche di rosso nella camera da letto della mia mamma. Perché è lì che mi ha fatto nascere la mia nonna.

— D’accordo, le procurerò anche la tessera della Sicurezza Sociale — commentò stizzosamente Jackson.

— Allora lei può far mettere un altro nome sul passaporto, giusto? Cioè, con la mia faccia, ma con un nome diverso. E anche su tutto il resto.

— Per quale ragione lei vorrebbe un nome diverso, LuAnn? — domandò Jackson con estrema lentezza.

— Ma per Duane, no? Lo so che sembra uno scemo, ma quando scoprirà che ho tutti quei soldi, verrà sicuramente a cercarmi. Allora è meglio se io sparisco. Cominciare daccapo. Nome tutto nuovo e compagnia bella.

Jackson rise. — E lei crede davvero che Duane Harvey sarebbe in grado di ritrovare le sue tracce? Perfino se avesse la scorta della polizia, dubito fortemente che Duane Harvey riuscirebbe a trovare la strada per uscire dalla Contea di Rikersville.

— La prego, signor Jackson, mi faccia avere un altro nome. Ma se per lei è troppo difficile, lo capisco. — LuAnn trattenne il fiato, sperando che Jackson raccogliesse la sfida.

— Non lo è — rispose Jackson in tono secco. — In realtà, è molto semplice… Se si hanno gli agganci giusti. Agganci che io ho. Bene, LuAnn, suppongo che lei non abbia già pensato a un nome nuovo, giusto?

LuAnn lo sorprese buttandogliene lì immediatamente uno, con tanto di città di provenienza.

— Peculiare. Sembra che lei stia pensando da molto tempo a un nome nuovo, o sbaglio? Anche senza quei cinquanta milioni di dollari.

— Lei ha i suoi segreti, signor Jackson, io ho i miei.

— Va bene — disse lui sospirando. — Sebbene la sua richiesta sia senza precedenti, provvederò a soddisfarla. Tuttavia, lei deve ancora dirmi dove vuole andare.

— Certo, signor Jackson. Ci penso su e poi glielo faccio sapere.

— Mi dica ancora una cosa, LuAnn: per quale ragione ho l’improvvisa sensazione di aver commesso un errore a selezionare proprio lei per quest’avventura? — Nella sua voce pareva esserci una vaga allusione che a LuAnn provocò un tremendo brivido. — Mi metterò nuovamente in contatto dopo l’estrazione. Per adesso, è tutto. Si diverta nella sua visita a New York City. Qualsiasi cosa le serva, non ha che da dirlo a…

— Charlie.

— Esatto, Charlie. — Jackson riappese di colpo.

Le ci voleva un birra. Forse anche due. LuAnn cominciò con l’aprire la prima, lasciando Lisa libera sulla soffice moquette che copriva il pavimento. Proprio in quegli ultimi giorni la sua bambina aveva cominciato a muoversi con disinvoltura a quattro zampe, e adesso era eccitata all’idea di esplorare tutto l’esplorabile in quel grande ambiente. LuAnn scese sulla moquette con lei e la accompagnò nella sua perlustrazione, fino a quando la piccola non si stancò e venne il momento di metterla a dormire.

LuAnn passò allora nella stanza da bagno, aprì i rubinetti dell’ampia vasca e si guardò nello specchio per controllare il taglio sul mento. Stava rimarginandosi in fretta, ma di sicuro sarebbe rimasta una cicatrice. L’idea non la turbò. Avrebbe potuto essere molto peggio.

Aprì la seconda birra e rientrò nel bagno. Scivolò nell’abbraccio dell’acqua calda, sorseggiando il sapore asprigno del luppolo. Una sola cosa sapeva. Le ci sarebbero volute parecchie altre birre, e una quantità ancora più consistente di acqua calda, per superare i giorni a venire.


L’ineffabile Charlie si ripresentò puntualmente a mezzogiorno.

Con sé aveva alcuni borsoni di Bloomingdale’s, il più celebre grande magazzino di New York, più altre borse di Baby Gap. LuAnn provò parecchi vestiti, godendoseli come mai avrebbe pensato.

— Perfetta — la ammirò Charlie. — Assolutamente perfetta.

— Grazie. E grazie anche per tutta questa roba. Hai proprio azzeccato le misure in pieno.

— Che diavolo, LuAnn, hai l’altezza e il fisico di una modella. È proprio per gente come te che fanno vestiti come questi. Piuttosto, ci hai mai pensato?

— A cosa?

— A fare la modella.

— Forse qualche volta, quando ero una ragazzina — rispose LuAnn con una scrollatina di spalle. Poi indossò una giacca beige su una gonna nera a pieghe.

— Una ragazzina? Perché, adesso che cosa saresti, una signora di mezza età?

— Ho vent’anni. Ma dopo la bambina, me ne sento addosso molti di più.

— Lo posso immaginare.

— E poi non vado bene per fare la modella.

— Perché no?

— Perché non mi piace quando mi fanno le foto — rispose LuAnn scoccandogli un’occhiata. — E non mi piace guardare come vengo.

— Sei proprio un tipino fatto tutto a modo tuo — commentò Charlie scuotendo la testa. — La maggior parte delle ragazze della tua età, belle come te, bisogna fare a cazzotti per portarle via dallo specchio. Sono la personificazione del narcisismo… Ehi, ehi, aspetta un po’. Devi portare gli occhiali da sole, e anche il cappello. Jackson ha detto di tenerti imbacuccata. Probabilmente non dovremmo nemmeno andare in giro, ma in una città di dieci milioni di abitanti… — Le mostrò un pacchetto di sigarette. — Ti spiace se fumo?

— Ma scherzi? — fece lei sorridendo. — Io lavoro in una tavola calda per camionisti. Quelli nemmeno ti lasciano entrare se non sopporti il fumo. Certe notti sembra che ci sia un incendio.

— In ogni caso, l’epoca delle tavole calde per camionisti è finita per te.

— Già. — LuAnn si calcò sui capelli il cappello a tesa larga. — Allora, come ti sembra, Charlie?

— Molto meglio di qualsiasi copertina di Cosmopolitan. Poco ma sicuro.

— E ancora non hai visto niente: aspetta di vedere la mia bambina — aggiunse LuAnn con orgoglio. — Lei sì che ti fa sognare. Eccome!

Un’ora dopo, con Lisa agghindata all’ultima moda di Baby Gap, LuAnn sollevò il seggiolino portatile e fu finalmente pronta per New York. — Noi ci siamo!

— Ancora un momento — disse Charlie aprendo la porta della suite e rivolgendole un’occhiata penetrante. — Bene, adesso chiudi gli occhi. Tanto vale che ce la giochiamo fino in fondo.

LuAnn lo guardò con aria sospettosa.

— Forza, chiudili! — insistette lui con un sogghigno.

LuAnn lo accontentò.

Pochi secondi dopo, Charlie disse: — Adesso, aprili.

Nel corridoio del Waldorf c’era un passeggino nuovo di zecca e molto costoso.

— Oh, Charlie… — esclamò LuAnn incredula.

— Adesso non avrai più bisogno di trascinarti in giro quell’aggeggio lì — disse Charlie indicando il seggiolino portatile.

LuAnn lo cinse in un fugace abbraccio, sistemò Lisa nel passeggino e tutti e tre uscirono ad affrontare la Grande Mela.