"Il biglietto vincente" - читать интересную книгу автора (Baldacci David)

8

LuAnn non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta svenuta. Il sangue scaturito dalla ferita al mento non si era ancora seccato, così dedusse che il mancamento non poteva essere stato troppo lungo.

Aveva la maglietta tutta strappata, intrisa di altro sangue, un seno fuoriuscito dallo squarcio nella stoffa. Lentamente, si rimise in posizione seduta, cercando di ricomporsi con l’unico braccio funzionante. Si passò la mano sul mento e le sue dita incontrarono il taglio dai bordi slabbrati. In qualche modo riuscì a sollevarsi. Aveva il fiato mozzo. Ondate di terrore e di dolore fisico continuavano a martellarla come marosi in una tempesta.

I due uomini giacevano uno accanto all’altro. L’uomo che aveva tentato di ucciderla era ancora vivo. Lo indicava il ritmico abbassarsi e sollevarsi del suo ventre a mongolfiera. Per Duane era difficile dirlo. LuAnn si mise in ginocchio e cercò di sentirgli il polso. Se anche c’era un battito, non le riuscì di trovarlo. La faccia di Duane aveva assunto una sfumatura grigiastra, accentuata dalla penombra che dominava all’interno della roulotte. LuAnn si alzò e girò l’interruttore. Non servì, la luce rimase scarsa. Tornò a inginocchiarsi accanto a Duane, cercò una pulsazione sul suo torace. Niente. Gli sollevò la camicia ma la riabbassò di scatto. Sangue.

— Santo Dio, Duane… Che cosa hai combinato? Duane? Puoi sentirmi? Rispondi!…

Nel chiarore livido e quasi lunare della Airstream, poté accertare che il sangue aveva smesso di sgorgare dal corpo ferito di Duane, segno probabile che il suo cuore aveva cessato di battere. LuAnn gli toccò un braccio. La carne del gomito era ancora calda, ma quella della mano era fredda, e le dita stavano già incurvandosi, simili ad artigli. Il suo sguardo si spostò sui resti del telefono. Non sarebbe venuta nessuna ambulanza. E comunque, a Duane non sarebbe servita. Bisognava chiamare la polizia. Identificare l’uomo che aveva fatto fuori Duane e che aveva cercato di uccidere anche lei.

Quando LuAnn si alzò per andarsene, s’inchiodò di nuovo. Polvere. Polvere bianca all’interno di piccole buste di plastica trasparente. Erano nascoste dietro il secchiello bisunto del Kentucky Fried Chicken. Nella lotta erano finite sparse per terra. LuAnn si chinò a raccoglierne una. Capì all’istante di che cosa si trattava. Droga…

Da qualche parte alle sue spalle udì un lamento. Lisa! Dov’era Lisa? Poi ci fu un altro suono, qualcosa che poteva essere un fruscio. La mano del killer aveva cominciato a muoversi, a sollevarsi. Verso Lisa! LuAnn buttò via la bustina con la polvere bianca e si precipitò per il corridoio. Usando il braccio buono strappò dal pavimento il seggiolino in cui si trovava sua figlia, che nel vedere sua madre era scoppiata a urlare, e si gettò fuori dalla Airstream. La zanzariera sbatté contro l’esterno della roulotte con uno schianto che parve lo scoppio di un petardo.

LuAnn sfrecciò davanti alla macchina da pappone, e quando fu oltre gettò una frenetica occhiata dietro di sé. L’imponente massa di carne che lei aveva abbattuto con il telefono non era apparsa sulla porta per darle la caccia. O perlomeno non ancora. Gli occhi di LuAnn volarono al cruscotto, alle chiavi lasciate nel quadro. Investito dai raggi del sole, l’acciaio nichelato scintillava come una tentazione ricoperta di diamanti. LuAnn esitò solo un istante, dopodiché lei e Lisa erano già a bordo. Il motore a otto cilindri si avviò con un ruggito e il retrotreno sbandò sul terreno intriso di pioggia, mentre i pneumatici facevano volare fango scuro in ogni direzione. Cercando di tenere a bada i propri nervi, LuAnn imboccò lo sterrato e superò il dosso. Lasciò dietro di sé il killer, la droga e la Airstream. E Duane Harvey.

L’improvvisa ricchezza di Duane faceva parecchio pensare. Vendere droga rendeva evidentemente molto di più che svuotare automobili lungo l’interstatale. Solo che Duane aveva tentato di tenere per sé un po’ troppa polvere bianca, o un po’ troppa grana verde. O entrambe.

LuAnn svoltò sulla statale, facendo stridere le gomme della macchina da pappone. Doveva avvertire la polizia. C’era ancora una remota possibilità che Duane non fosse morto, anche se salvarlo significava garantirgli un lungo soggiorno nelle patrie galere. Ma se non era morto, lei non poteva permettere che lo diventasse. Quanto all’energumeno, non poteva fregargliene di meno. L’unica cosa che le scocciava era di non aver avuto a disposizione qualcosa di più pesante con cui sfondargli il cranio.

LuAnn lanciò un’occhiata a Lisa. Vide un visino terrorizzato, labbra e gote che ancora tremavano per la paura. Allungò il braccio malconcio per calmare la piccola. Un gesto semplice, breve. Eppure, per non urlare di dolore fu costretta a mordersi le labbra. Quanto al collo, le doleva come se ci fosse passato sopra un camion. Il suo sguardo si spostò sul telefono cellulare. Doveva avvertire, dare l’allarme.

Fermò la macchina in una piazzola di sosta, staccò il ricevitore dal supporto e armeggiò nervosamente con l’apparecchio prima di riuscire a comporre il numero.

— Nove-uno-uno — disse una voce di donna. — Qual è la vostra emergenza?

LuAnn Tyler staccò la comunicazione. Stava osservando le proprie dita, che tremavano così convulsamente da non riuscire a stringersi in un pugno. Sangue suo. E di qualcun altro. In quella storia c’era dentro anche lei. In pieno. Quel maledetto energumeno aveva cercato di rialzarsi, d’accordo, ma per quanto ne sapeva lei, poteva essere crollato nuovamente e aver tirato le cuoia dieci secondi dopo. E in quel caso era stata lei a farlo fuori. Legittima difesa? Certo, ma chi le avrebbe creduto? Era un trafficante di droga. E lei adesso era al volante della sua macchina.

Si girò di scatto, guardandosi intorno. Alcune auto stavano arrivando in senso inverso. La cappotta. Doveva chiuderla. Subito! LuAnn scavalcò lo schienale e si protese oltre i sedili posteriori. Afferrò per l’estremità la bianca copertura, la trasse prima verso l’alto e poi a chiudersi su Lisa e su di lei come una valva protettiva. Infine serrò le maniglie di bloccaggio, si lasciò cadere di nuovo dietro al volante e ripartì di gran carriera.

Anche Duane trafficava droga. Chi avrebbe creduto che lei non ne sapeva niente? Chi avrebbe accettato quella verità? Nessuno, assolutamente nessuno. Nemmeno lei riusciva ad accettarla. Era in trappola, con le spalle al muro. E questa era un’altra verità, molto più brutale. LuAnn la sentì propagarsi lungo i suoi nervi e dentro la sua mente, divorante come un incendio di sterpaglie. Fu costretta a compiere uno sforzo violento per non mettersi a urlare. Uno sforzo ancora più violento per allontanare l’immagine di sua madre.

Non posso farcela, mamma. Non ho più scelta.

Perché adesso era costretta a fare quella telefonata a Jackson.

Lo sguardo di LuAnn schizzò alla plancia, al piccolo orologio cromato al centro del cruscotto. E di nuovo, si sentì mancare il respiro.

Alle dieci e un minuto…

Come se i suoi polmoni non riuscissero a spingere l’aria dentro e fuori.

l’offerta sarà scaduta.

Come se il suo sangue stesse evaporando all’interno del sistema circolatorio.

Scaduta per sempre.

L’orologio segnava cinque minuti dopo le dieci.

LuAnn arrestò l’auto sulla banchina e si afflosciò in avanti, la fronte contro il volante. Jackson aveva parlato sul serio. Su questo non poteva sussistere neppure l’ombra di un dubbio. Lisa… Che cosa ne sarebbe stato di lei se sua madre fosse finita dietro le sbarre? Duane… Quello stupido, maledetto figlio di puttana. L’aveva fottuta da vivo e la stava fottendo anche da morto, in modo addirittura peggiore.

LuAnn sollevò la testa, si guardò intorno stringendo le palpebre sugli occhi pieni di lacrime. Lentamente, il paesaggio tornò a fuoco.

C’era una banca, dalla parte opposta della strada. Una struttura di cemento dall’aspetto impenetrabile, quasi minaccioso. Se avesse avuto con sé una pistola, LuAnn avrebbe seriamente considerato la possibilità di giocarsi la rapina a mano armata. A questo punto, che cosa aveva da perdere? Solo che oggi era domenica: il parcheggio era deserto, la banca chiusa. La cifra dei minuti scattò sull’orologio digitale sulla parete esterna, e l’improvviso fiotto di adrenalina che ne derivò la scosse come una scarica elettrica ad alto voltaggio.

Le dieci meno cinque.

E i bancari sono gente precisa. E anche i loro orologi devono esserlo.

LuAnn affondò una mano in tasca, frugando freneticamente alla ricerca del foglietto con su scritto il numero di Jackson. Dov’era quel maledetto?… Lo trovò. Strappò dal supporto il ricevitore del telefono cellulare e cercò di premere i pulsanti, con la propria coordinazione motoria che pareva andata in cortocircuito. Tempo… Quanto gliene rimaneva? Il ponte radio completò la connessione. Chissà dove, un telefono doveva essersi messo a suonare. Una volta. Due volte…

— Stavo cominciando ad avere qualche perplessità nei suoi confronti, LuAnn — disse la voce di Jackson.

LuAnn se lo figurò seduto in un locale in penombra, mentre consultava il proprio orologio, meravigliandosi di quanto vicino al limite estremo lei fosse potuta arrivare.

— Penso che… — LuAnn deglutì a fatica, riprendendo fiato — che mi è proprio volato vìa il tempo, ecco. Ho avuto un sacco da fare.

— Quale prodigiosa disinvoltura da parte sua, LuAnn. Quanto mai sorprendente, mi consenta.

— Cosa succede adesso?

— Non sta dimenticando qualcosa?

LuAnn si sentì strangolare. — Che… che cosa? — La mente sembrò piombarle nel buio. Di cosa diavolo stava parlando? E se veramente fosse stato tutto un orribile scherzo?

— Io le ho fatto un’offerta, LuAnn. Se lei e io vogliamo stipulare un contratto che sia legalmente valido, lei deve accettare chiaramente la mia offerta. Forse è una formalità, ma sono comunque costretto a insistere.

— Accetto.

— Splendido. Posso darle completa assicurazione che non rimpiangerà la sua decisione.

LuAnn si guardò attorno con apprensione. C’erano due persone dall’altro lato della strada. Stavano osservando la macchina da pappone. LuAnn riavviò il motore e riprese a muoversi.

— Allora — chiese nuovamente a Jackson — che succede adesso?

— Dove si trova in questo momento?

— Perché? — La sua voce era suonata guardinga, e subito aggiunse: — Sono a casa.

— D’accordo. Vada alla più vicina ricevitoria e comperi un biglietto della Lotteria Nazionale.

— Che numeri gioco?

— Non ha alcuna importanza. Come lei sa, ha due opzioni. La prima: accettare un biglietto con numeri emessi automaticamente dalla macchina distributrice. La seconda: scegliere lei stessa i numeri. Nell’un caso e nell’altro, la combinazione viene inviata al computer centrale della Commissione Lotterie e da lì istantaneamente confrontata con le combinazioni già in memoria. Non sono ammesse due combinazioni identiche. Questo consente l’esistenza di un unico vincitore per l’intero montepremi. Se lei opta per scegliere i numeri, e se quei numeri sono già stati scelti da qualcun altro, il sistema glielo farà sapere. In quel caso, tutto quello che deve fare è selezionare numeri differenti.

— Ma non me li dà lei i numeri vincenti? Io pensavo che…

— Non pensi, LuAnn. È un processo che potrebbe arrecarle danni irreparabili. — Nella voce di Jackson c’era di nuovo quella vaga nota di minaccia. — Faccia quello che le dico e basta. Non appena avrà la combinazione, mi richiami a questo medesimo numero e me la comunichi. Penserò io a tutto il resto.

— Ma i soldi quando me li danno?

— Ci sarà una conferenza stampa…

— Conferenza stampa!?

Nel suo incontrollato sussulto, LuAnn deviò verso la corsia opposta. Controsterzò seccamente ed evitò per un pelo uno scontro frontale, continuando a tenere il telefono tra la spalla e il collo.

— Qual è il problema, LuAnn? Non mi dica che non ha mai guardato le premiazioni della Lotteria Nazionale. Il vincitore partecipa sempre a una conferenza stampa, di solito a New York. Viene trasmessa in diretta in tutti gli Stati Uniti, in tutto il mondo. Le faranno fotografie mentre riceve l’assegno con la vincita. Dopodiché i giornalisti le porranno le solite domande insulse: chi è lei, da dove viene, qual è la sua storia, quali sono i suoi sogni, che cosa intende fare con tutto quel denaro eccetera eccetera. È una pantomima del tutto grottesca, lo riconosco, ma la Commissione Lotterie ci tiene. La ragione è chiara: per loro si tratta di una formidabile forma di pubblicità. Non è un caso che le vendite dei biglietti siano raddoppiate ogni anno negli ultimi cinque anni. Un vincitore che se lo merita piace a tutti. Forse perché tutti pensano di meritarsi di diventare a loro volta vincitori. Nient’altro che una classica distorsione della natura umana.

— E devo farla anch’io?

— Di che cosa sta parlando?

— Io non ci voglio andare in televisione, tutto qua!

— Non ha scelta. Tenga a mente, LuAnn, che lei si metterà in tasca cinquanta-milioni-di-dollari. In cambio di quella cifra, la commissione si aspetta almeno una conferenza stampa di ringraziamento. E in tutta onestà, ha pienamente ragione ad aspettarsela.

— Così ci devo andare.

— Assolutamente.

— Devo usare il mio vero nome?

— Ha qualche ragione per cui non dovrebbe?

— Ho le mie ragioni, signor Jackson.

— Non vuole intrattenermi con queste sue ragioni?

— Devo usarlo il mio nome, sì o no?

— Sì! Deve! Esiste un regolamento, LuAnn, comunemente definito legge del diritto di informazione. Per presentarglielo in termini accessibili, le dirò che esso sancisce che il pubblico ha il diritto di conoscere le identità, le vere identità, di tutti i vincitori della Lotteria Nazionale.

— Vabbé… — LuAnn sbuffò sonoramente, cercando di liberarsi anche del proprio disappunto. — Ma poi i soldi quando me li danno?

Per un lungo momento, nel cellulare ci fu solo il debole disturbo del rumore di fondo.

— Ehi, Jackson, non provi a fare lo stronzo con me. — LuAnn sentì un brivido di collera dipanarsi lungo la schiena. — Voglio sapere dei fottuti soldi!

— Non c’è motivo di alterarsi così, signorina Tyler — replicò seccato Jackson — e la invito vivamente a non rivolgersi mai più a me in simili termini. Io sto solo cercando di spiegarle nel modo più semplice possibile il meccanismo della riscossione della vincita. Ed eccolo: il denaro le verrà accreditato direttamente sul suo conto in banca.

— Ma io non ce l’ho un conto in banca! Non ho mai avuto abbastanza soldi per aprirlo, un cavolo di conto in banca!

— Non alzi nuovamente la voce, LuAnn. Me ne incaricherò io. La sola cosa della quale lei deve preoccuparsi è vincere alla Lotteria Nazionale. — Nella voce di Jackson era tornata una sfumatura di ottimismo. — Andrà a New York con la sua piccola Lisa, mostrerà quel grasso assegno con tanti zeri, sorriderà in modo commosso per le telecamere e chiuderà in bellezza dicendo tutte quelle amenità modeste e carine. Dopodiché, si preparerà a passare il resto dei suoi giorni su una spiaggia tropicale.

— Ma come ci arrivo a New York?

— Ottima domanda, alla quale sono già preparato a rispondere. Non c’è aeroporto a Rikersville. Né nelle sue immediate vicinanze. C’è però una stazione degli autobus. Prenderà un autobus fino alla stazione ferroviaria di Atlanta, linea Crescent dell’Am-Trak. La stazione di Gainsville sarebbe per lei più accessibile, ma là non vendono biglietti per percorsi interstatali. Per questo dovrà raggiungere Atlanta. Sarà un lungo viaggio fino a New York, circa diciotto ore, con numerose fermate intermedie. Non si preoccupi. Due terzi del tragitto avranno luogo di notte e lei potrà riposare. L’AmTrak Crescent la porterà direttamente a New York senza costringerla a cambiare treno. Potrei mandarla in aereo, ma l’aereo comporta altre complicazioni, tipo mostrare documenti d’identità. Non voglio questo. E nemmeno voglio che lei arrivi a New York troppo rapidamente. Come le ho già detto, penserò io a tutto. Biglietti prenotati a suo nome l’aspetteranno a ciascuna stazione. Potrà mettersi in viaggio per New York non appena l’estrazione avrà avuto luogo.

LuAnn strinse gli occhi. Nella sua mente balenò l’immagine di due corpi riversi… quello di Duane e quello del killer che l’aveva fatto fuori. E che lei aveva forse ammazzato. — Non sono mica sicura di voler restare da queste parti.

— Perché no? — sbottò Jackson, sorpreso.

— Non sono ca… — questa volta, LuAnn riuscì a fermarsi in tempo. — Cioè, se la vinco davvero, la lotteria, non voglio che la gente di qui venga a saperlo. Questi sono come un branco di lupi affamati addosso a un vitellino. Capisce cosa voglio dire, no?

— Non permetterò che ciò accada. Lei non verrà pubblicamente identificata quale vincitrice finché non ci sarà la conferenza stampa. Al suo arrivo a New York troverà qualcuno ad attenderla che l’accompagnerà al quartier generale della Lotteria Nazionale. Lei presenterà il biglietto vincente. Il biglietto verrà autenticato. A quel punto lei verrà accreditata quale vincitrice. La conferenza stampa avrà luogo il giorno dopo. Un tempo ci volevano giorni, settimane intere per autenticare il biglietto vincente. Con la tecnologia informatica di oggi, è solo questione di poche ore.

— Cosa ne dice se io ad Atlanta ci vado in macchina e il treno lo prendo oggi?

— Lei ha una macchina, LuAnn? E che cosa dirà Duane in merito? — Nel tono di Jackson era trapelato un misto di ammirazione e di derisione.

— Fregatene di Duane, Jackson. A Duane ci penso io.

— Credo di averla già avvertita sul suo atteggiamento nei miei confronti, LuAnn. In fondo, penso di meritarmelo un minimo di gratitudine. O forse le vengono offerti cinquanta milioni di dollari ogni giorno?

LuAnn serrò la mascella. Cinquanta milioni di dollari, certo. Con la frode! — Mi scusi — disse lentamente. — Solo che, adesso che ho deciso di starci, tutto cambia. La mia vita… La vita di Lisa. E mi vengono un sacco di pensieri.

— Certo, capisco, ma lei continui a non pensare. Si tratterà di un cambiamento molto positivo. Lo sta facendo sembrare la cella di una prigione.

LuAnn riuscì in qualche modo a ricacciare giù il groppo che aveva in gola. — Lo posso prendere oggi quel treno, signor Jackson? Per favore?…

— Attenda un minuto. — LuAnn udì lo scatto della conversazione messa in attesa. Cercò di mettere meglio a fuoco qualcosa sulla strada. Era un’autopattuglia della polizia ferma su un lato, con il radar tachimetrico appoggiato al bordo del finestrino. Istintivamente lo sguardo di LuAnn si spostò sugli indicatori del cruscotto. Stava viaggiando ben sotto il limite di velocità, ma rallentò comunque. Riprese a respirare più liberamente solo dopo essersi lasciata i poliziotti molto indietro.

La voce secca di Jackson la fece sussultare: — L’AmTrak Crescent arriva alla stazione di Atlanta alle sette e quindici di questa sera. Raggiungerà New York alle ore una e trenta di domani pomeriggio. Sono circa due ore di guida da Rikersville ad Atlanta. — Jackson fece una breve pausa. — Immagino che le servirà del denaro per il biglietto. Più altri fondi addizionali per… chiamiamole piccole necessità di viaggio.

LuAnn annuì inconsciamente: — Sì, altri soldi… — e di colpo si sentì sporca dentro, lurida come una prostituta che chiede una mancia extra per qualche laida prestazione in più.

— C’è un ufficio della Western Union accanto alla stazione — riprese Jackson. — Trasferirò là cinquemila dollari a suo nome.

LuAnn deglutì nell’udire la cifra, percependo con quanto distacco e quanta naturalezza Jackson disponeva di denaro.

— Lei ricorda la mia offerta iniziale, LuAnn? Considereremo questi cinquemila dollari come un compenso per un lavoro ben fatto. Per riscuoterli dovrà semplicemente mostrare un documento d’identità.

— Ma io non ce l’ho.

— Anche la patente di guida o il passaporto vanno bene. Alla Western Union non serve altro.

— Passaporto? — ripeté LuAnn soffocando una risata piena di amarezza. — E a cosa serve un passaporto per andare da una roulotte nei boschi al supermercato? E poi non ho nemmeno la patente.

— Ma lei ha in mente di andare ad Atlanta in auto, se non vado errato. — LuAnn trovò quasi comico il tono stupito e quasi ansioso di Jackson. Un uomo che stava pianificando una formidabile frode, ma che al tempo stesso trovava difficile accettare che si potesse guidare senza patente.

— Lei non immagina quanta gente se ne frega di avere o no i documenti.

— Tagliamo corto: lei non potrà avere quei soldi senza un documento.

— Lei è qui vicino, signor Jackson?

— LuAnn, la mia unica ragione di permanenza nella ridente cittadina di Rikersville era il mio incontro con lei. Concluso l’incontro… — Jackson fece un’altra pausa, e quando riprese, la sua voce era venata di contrarietà. — Bene, allora sembra proprio che ci sia un problema.

— Quant’è che costa il biglietto del treno?

— Circa millecinquecento dollari.

LuAnn strinse i denti. Dove mai avrebbe potuto trovare… Ma di colpo le venne in mente Duane, e il suo gruzzolo di soldi sporchi. LuAnn fermò nuovamente la macchina sul ciglio della strada, posò il ricevitore, frugò sotto i sedili e trovò una borsa di cuoio marrone. Era zeppa di banconote. Abbastanza da comprare non un solo posto per New York ma l’intero treno per New York.

— Okay, signor Jackson… C’è questa donna che lavora insieme a me, e suo marito le ha lasciato dei soldi quand’è morto. Posso chiedere a lei i soldi del treno. Tipo un prestito. Lei me li dà sicuramente. E con i soldi in contanti quelli della ferrovia non me li chiedono i documenti, giusto?

— Nella nostra società il denaro è sovrano, LuAnn. Sono certo che l’AmTrak le troverà una confortevole sistemazione. Si limiti a non usare il suo vero nome. Scelga un nome semplice ma che al tempo stesso non suoni falso. Ora vada a comprare il biglietto della Lotteria Nazionale e mi richiami immediatamente. Sa come arrivare fino ad Atlanta?

— È un posto bello grande. Lo troverò.

— Indossi qualcosa che le mascheri il viso. Foulard, occhiali scuri. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è che lei venga riconosciuta prima dell’estrazione.

— Questo lo capisco, signor Jackson.

— Lei è quasi in porto, LuAnn. Congratulazioni.

— Non ho tanta voglia di fare festa.

— Le verrà. Avrà un’intera vita per fare festa.

LuAnn posò il telefono e si guardò intorno. I finestrini erano affumicati, era improbabile che qualcuno l’avesse riconosciuta, ma comunque non poteva continuare a correre quel rischio. Doveva disfarsi di quella macchina da pappone. E farlo anche in fretta. Il problema era dove. LuAnn non voleva che la vedessero smontare. Una donna alta, dalla faccia striata di sangue secco che trascina una bambina in fasce fuori da una quattro ruote zeppa di cromature, e con sul cofano un fregio pornografico. Non esattamente il ritratto della brava mammina americana. Ma all’improvviso le balenò un’idea. Forse un tantino pericolosa. In ogni caso non c’era alternativa.

LuAnn eseguì un’inversione a U e accelerò. Impiegò una ventina di minuti per arrivare allo sterrato che s’inoltrava tra i boschi. Allungò il collo e scrutò in avanti, oltre il dosso. Finalmente vide la roulotte. Nessun altro veicolo. Nessun movimento. Ma il corpulento figlio di puttana poteva essere ancora in agguato, pronto a metterle nuovamente le mani intorno al collo, pronto a sollevare nuovamente la lama su di lei.

— Se vedi lo stronzo che viene fuori — disse LuAnn ad alta voce a se stessa — lo stiri come uno straccio sotto queste due tonnellate di ferraglia.

La macchina si fermò davanti alla roulotte. Tutto era fermo. LuAnn abbassò il finestrino e rimase in ascolto. Nessun suono, né dentro né fuori la Airstream. Tolse un fazzolettino di carta dalla borsa di Lisa. Ripulì metodicamente il volante, le maniglie e il telefono cellulare. Poi tutte le superfici che aveva toccato, o che credeva di aver toccato, all’interno dell’auto. Anche lei aveva guardato alcuni episodi di America’s Most Wanted, il famoso programma televisivo in cui il pubblico poteva aiutare a catturare pericolosi criminali in fuga. Anche lei aveva imparato qualche trucco. E se ci fosse stato meno pericolo, sarebbe anche entrata nella roulotte e avrebbe ripulito il telefono. Ma era inutile. In quel lercio rimorchio ci aveva vissuto per oltre due anni, le sue impronte erano dappertutto.

LuAnn scese dalla macchina, infilò nel seggiolino portatile di Lisa tutto il contante che le riuscì di far entrare. Cercò di sistemarsi alla meglio la maglietta strappata, con il braccio funzionante afferrò il seggiolino con Lisa e si incamminò per la radura, in direzione della stradina.

Dall’interno della roulotte, due occhi scuri stavano osservando la frettolosa partenza di LuAnn, cogliendone ogni dettaglio. Quando all’improvviso lei si girò per gettare tutt’intorno uno sguardo circospetto, l’uomo arretrò d’istinto in un ritaglio di tenebre più fitte. LuAnn Tyler non lo conosceva, ma non era il caso di correre rischi. La mano destra scese ad appoggiarsi sul calcio della 9mm semiautomatica infilata nella cintura dei pantaloni, sotto il giubbotto di pelle chiuso a metà. Fuori, LuAnn Tyler e sua figlia stavano scomparendo oltre la sommità del dosso.

Facendo bene attenzione a non mettere i piedi nelle pozze di sangue, l’uomo tornò ad avvicinarsi ai due uomini a terra. Era arrivato nel momento migliore, trovando il bottino di una battaglia che non aveva neppure dovuto combattere. Meglio di così… Tirò fuori di tasca una larga busta di plastica e la riempì con le bustine contenenti la droga, raccogliendole dal tavolino e dal pavimento. Si bloccò, e dopo averci pensato un attimo decise di lasciarne almeno metà là dove le aveva trovate. L’avidità è sempre una pessima consigliera. Quei due avevano lavorato per un’organizzazione. Nel momento in cui quella gente avesse appreso che la polizia non aveva trovato droga nella roulotte, quelli per il lavoro sporco si sarebbero messi alla ricerca di chi l’aveva presa. Ma se fosse mancata solamente metà della polvere bianca, avrebbero fatto l’ipotesi dei poliziotti marci. Ipotesi tutt’altro che campata in aria.

Vicino alla mano dell’uomo grasso, notò un pezzetto di tessuto strappato. Proveniva della maglietta della donna. Lo raccolse e se lo mise in tasca. Adesso la donna era in debito verso di lui. Poi osservò quanto restava del telefono e le posizioni dei corpi, dov’era caduto il coltello e le infossature che la colluttazione aveva causato nella parete della roulotte. La donna doveva essere arrivata nel bel mezzo della lotta tra i due uomini. Il grasso aveva inchiodato il magro. E la donna, in qualche modo, aveva inchiodato il grasso. Considerando l’enorme mole di questo, la sua ammirazione per la donna crebbe notevolmente.

Come se avesse udito quel commento, l’uomo grasso ebbe un lento movimento. Senza alcun indugio, il nuovo arrivato prese uno straccio da cucina, impugnò il coltello e glielo affondò nel petto. Una volta, due, tre. Altro sangue dilagò da quel ventre da bevitore di birra. La sue dita artigliarono la moquette lurida, ultimi spasmi di una breve agonia. Per un estremo, interminabile istante tutto il suo corpo s’irrigidì nella contrazione conclusiva, poi si rilasciò. Le dita tornarono ad aprirsi, le palme aperte appoggiate al pavimento. La faccia era girata di lato, e un unico occhio privo di vita fissava il vuoto.

Poi toccò a Duane Harvey. L’uomo rovesciò sulla schiena il suo corpo apparentemente inerte. Difficile vedere nella semioscurità se il suo torace effettivamente si muovesse. Non aveva importanza. Gli tagliò la gola da un orecchio all’altro.

Un attimo dopo era fuori dalla Airstream, attraversando la radura e i suoi relitti fino all’interno della fitta penombra della foresta.

Si fermò vicino alla sua auto, parcheggiata su un sentiero abbandonato che serpeggiava nel folto. Era una pista difficile, sconnessa, ma quello che contava era che lo avrebbe riportato sulla strada principale in tempo per riacquisire il suo bersaglio primario: LuAnn Tyler.

Non appena salì in macchina, il telefono dell’auto si mise a suonare. L’uomo afferrò il ricevitore.

— Il suo compito è da considerarsi concluso — disse la voce di Jackson.

— Concluso?

— Lei mi ha capito esattamente, signor Romanello. Il contratto che riguarda LuAnn Tyler è ufficialmente annullato. Il saldo del suo compenso le perverrà secondo i consueti canali. La ringrazio per la proficua collaborazione. Non mancherò di tenerla in considerazione per opportunità future.

La mano di Anthony Romanello si serrò intorno al ricevitore. Si domandò se doveva dire a Jackson dei due cadaveri nella Airstream e decise prontamente di no. Perché pareva essersi imbattuto in qualcosa di molto interessante.

— Ho visto la bambolina che se ne andava via a piedi — riferì Romanello. — Ma non mi dava l’aria di qualcuno con i soldi per fare molta strada.

— Per quella bambolina, signor Romanello — disse Jackson con tono divertito — i soldi saranno l’ultima delle preoccupazioni. — E riagganciò.

Romanello si rilassò contro lo schienale e considerò per un momento tutta la faccenda. Tecnicamente, lui aveva finito. Poteva tornare a casa e aspettare che il resto dei suoi soldi arrivasse. Ma stava succedendo qualcosa di strano. Il fantomatico signor Jackson lo aveva spedito in quel buco a far fuori una puttanella di campagna e poi aveva cancellato il contratto all’ultimo momento. E intanto si era lasciato scappare un’allusione ai soldi. Tanti soldi. Putacaso, proprio uno degli argomenti che più stavano a cuore ad Anthony Romanello. Girò la chiave e avviò il motore.

Aveva tutte le intenzioni di non lasciarsi sfuggire LuAnn Tyler.