"Fiori per Algernon" - читать интересную книгу автора (Keyes Daniel)9° RAPPORTO SUI PROGRESSIMa Joe Carp è mio amico e a detto Charlie perché non prendi il posto di Oliver? Tutti mi sono venuti intorno e stavano ridd Frank Reilly a detto kiudi il becco Fanny oggi è il giorno dei pesci d’aprile e se Charlie lavora all’impastatrice potrebbe conciarla bene così avremo tutti un giorno di vacanza. Ho detto che non sapevo conciare la makina ma sapevo lavorarci perché avevo guardato Oliver da quando ero tornato. Ho lavorato all’impastatrice e tutti sono rimasti sorpresi spece Frank Reilly. Fanny Birden s’è eccittata perché a detto che cerano voluti 2 anni a Oliver per imparare a far bene limpasto ed era andato alla squola dei fornai. Bernie Bates che aiuta alla makina ha detto che lavoravo più in fretta di Oliver e mellio. Nessuno ha riso. Quando Gimpy è tornato e Fanny ce lo ha detto se lè presa con me perché avevo lavorato all’impastatrice. Ma lei ha detto sta a guardarlo e vedi come lavora. Vollevano farci un pesce daprile e invece Charlie ha preso in giro loro. Gimpy è stato a guardare e io sapevo che ce l’aveva con me perché non ci piace cuando la gente non fa quello che gli dice proprio come il per Avevo paura che si arrabiasse e mi sgridasse così dopo aver finito ho detto ora posso tornare al mio lavoro. Devo scopare la panetteria dietro il banco. Il signor Donner mà guardato con un’aria strana per molto tempo. Questo devessere una specie di stuppido pesce d’aprile che voi mi state giocando. Cos’è ’sta storia? Gimpy ha detto è proprio quello che pensavo anch’io, una specie di scherzo. Ha zopicato tuttintorno alla makina e ha detto al signor Donner non capisco nemmeno io ma Charlie sa farla funzionare e devo ammettere che se la cava meglio di Oliver. Si sono afolati tutti lì attorno parlando della cosa e io ho avuto paura perché avevano tutti quanti unaria strana ed erano eccittati. Frank ha gridato ve lo dicevo che cera cualcosa di strano in Charlie negli ultimi tempi. E Joe Carp fa sì lo so cosa vuoi dire. Il signor Donner ha rimandato tutti al lavoro e mi ha portato nel neggozio. Ha detto Charlie non so come hai fatto ma sembra che finalmente tu abia imparato cualcosa. Voglio che tu stia attento e facia il meglio che puoi. Hai un nuovo lavoro e un aumento di 5 dollari. Ho detto che non volevo un nuovo lavoro perché mi piace pulire e scopare e fare le consennie e aiutare gli amici ma il signor Donner ha risposto lassia stare gli amici ho bisogno di te per questo lavoro. Non lo giudico bene un uomo che non vuole progreddire. Gli ho domandato cosa vuol dire progreddire. Si è grattato la testa e mha guardato al di sopra degli occhiali. Lascia perdere Charlie. Dora in poi lavorerai all’impastatrice. Questo è progreddire. Così adesso invece di consegnare pakki e lavare i gabbinetti e portar via la mondizzia sono il nuovo impastatore. Questo è progreddire. Domani lo dirò a Miss Kinnian. Credo che sarà contenta ma non so perché Frank e Joe ce l’hanno con me. L’ho dommandato a Fanny e lei ha risposto lasciali perdere quegli scemi. Oggi è il giorno dei pesci daprile e lo scherzo si è rivvolto contro di loro e ha fatto fare a loro la figgura dei citrulli anzi che a te. Ho pregato Joe di dirmi che cosera lo scherzo che si è rivolto contro di loro e lui ha risposto butati a mare. Credo che ce l’abiano con me perché ho fatto finzionare la makina e non hanno avuto il giorno di vacanza come credevano. Questo sinnifica che sto diventando più intelligente. Mentre sedevo in aula aspettandola mi domandavo come mai Miss Kinnian era Questo mi fa ricordare quando Ma’ dovette andarsene e allora mi mandarono ad abbitare in casa della signora Leroy accanto a noi. Ma’ andò allospedale. Pa’ dicieva che non era malata né altro ma era andata a lospedale soltanto per portarmi una sorellina o un fratellino. (Ancora non so come fanno) dissi loro: voglio un fratellino per giocarci insieme e non so perché invece mi portarono una sorellina ma era carina come una bambola. Soltanto che piangeva continuamente. Io non le facevo mai male o altro. La misero in una culla nella loro stanza e una volta udii Pa’ dire: non preocuparti Charlie non le farebbe mai del male. Era come un fagotino tutto rosa e a volte strillava tanto che non riuscivo a dormire. E cuando madormentavo lei mi svegliava in piena notte. Una volta cuando erano in cucina e io ero a letto stava piangendo. Malzai per prenderla in bracio e tenerla e farla tacere come fa la mamma. Ma poi Ma’ entrò urlando e me la portò via. E mi skiafeggiò così forte che caddi sul letto. Poi si mise a sbraitare. Non tocarla mai più. Le farai male. È picina. Non è afar tuo tocarla. Allora non lo sapevo ma ora credo di capire che secondo lei avrei potuto far male alla bambina perché ero troppo stuppido e non sapevo cuel che facievo. Cquesto ora mi dispiace perché non avrei mai fatto del male alla picola. Cuando anderò ne lo studio del dotor Strauss ce lo dirò. Ma, dice, lei, tutti, addoperano, le virgole, e così, le adoprerò, ankio,,, Comuncue è così che ho imparato a skrivere bene la parola Ha detto: devi, mescolarli?! Mi ha mostrato! il modo, di mescolarli! e subito! Posso) mescolare? ogni sorta di segni; della punteggiatura — cuando. skrivo! Ci sono » molte, regole; da imparare? ma. io me le sto ficando in testa: C’è una cosa? che, mi piace: a propposito, della cara Miss Kinnian: (è come, sucede? in una lettera, daffari (ammesso! che io possa mai, metermi in affari?) e cioè, che, lei: sempre mi dà una ragione » cuando — faccio cualche domanda. È un gen’io! Vorrei poter essere altretanto intelligente; la punteggiatura, è? divertente! Miss Kinnian ha detto che il funzionamento della TV, subito prima che io mi addormenti e durante la notte, ha giovato. Ha detto che sono arrivato a un Dopo aver capito come funziona la punteggiatura, ho riletto tutti i miei rapporti sui progressi incominciando dal principio. Perdinci, com’erano pazzesche la mia ortografia, la mia sintassi e la punteggiatura! Ho detto a Miss Kinnian che dovrei rivedere ogni pagina e correggere tutti gli errori, ma lei ha risposto: «No, Charlie, il professor Nemur li vuole così come sono. Per questo ti permette di conservarli dopo che ne sono state fatte le fotostatiche… perché tu possa constatare i tuoi progressi. Stai progredendo rapidamente, Charlie». Questo mi ha fatto un gran piacere. Dopo la lezione sono sceso e ho giocato con Algernon. Non gareggiamo più nelle corse. Non volevo scriverlo, ma suppongo di doverlo fare, perché è importante. Oggi è la prima volta che volutamente rimango a casa e non vado a lavorare. Ieri sera Joe Carp e Frank Reilly mi hanno invitato a una festa. C’erano molte ragazze e c’erano Gimpy e anche Ernie. Ho ricordato come m’ero sentito male l’ultima volta per aver bevuto troppo, e così ho detto a Joe che non volevo bere niente. Lui mi ha dato una semplice Coca Cola. Aveva un sapore buffo ma a me è sembrato soltanto di sentire un saporaccio in bocca. Per qualche tempo ci siamo divertiti molto. «Balla con Ellen», ha detto Joe. «Ti insegnerà i passi.» Poi le ha strizzato l’occhio come se avesse voluto comunicarle qualcosa. Lei ha detto: «Perché non lo lasci in pace?» Joe mi ha dato una manata sulle spalle. «Questo è Charlie Gordon, il mio amicone, il mio compagno. Non è uno qualsiasi… è stato promosso e adesso lavora all’impastatrice. Ti ho chiesto semplicemente di ballare con lui e di farlo divertire. Che cosa c’è di male in questo?» Mi ha spinto verso di lei e contro di lei. Così Ellen ha ballato con me. Sono caduto tre volte e non mi è riuscito di capire perché in quanto nessun altro ballava, a parte Ellen e me. E tutte le volte incespicavo perché qualcuno allungava un piede. Erano tutti attorno in circolo a guardare e a ridere del modo come facevamo i passi. Ridevano più forte ogni volta che cadevo, e ridevo anch’io perché era tanto buffo. Ma l’ultima volta che è successo non ho riso. Mi sono rimesso in piedi e Joe mi ha spinto di nuovo giù. Allora ho notato l’espressione sulla faccia di Joe e ho provato una sensazione strana allo stomaco. «È un urlo», ha detto una delle ragazze. Tutti stavano rìdendo. «Oh, avevi ragione, Frank», ha detto Ellen, soffocando. «È un numero fuori programma.» Poi ha soggiunto: «Tieni, Charlie, prendi un frutto». Mi ha dato una mela, ma quando ci ho affondato i denti era finta. Allora Frank si è messo a ridere è ha detto: «Te lo dicevo che l’avrebbe mangiata. Riesci a immaginartelo uno così tonto da mangiare frutta di cera?» Joe ha esclamato: «Non avevo più riso tanto da quando lo mandammo fino all’angolo a vedere se stava piovendo quella notte che ci sbarazzammo di lui, da Halloran». Allora ho visto una scena che ricordavo nella mia mente di quando ero bambino e i ragazzi dell’isolato mi facevano giocare con loro a nascondarella e toccava a me cercarli. Dopo aver contato più volte fino a dieci sulle dita, andavo a cercare gli altri. Continuavo a cercarli finché non cominciava a far freddo e a scendere l’oscurità e dovevo tornare a casa. Ma non li trovavo mai e non riuscivo a capire perché. Le parole di Frank me lo hanno ricordato. Da Halloran era accaduta la stessa cosa. E Joe e tutti gli altri stavano facendo questo: ridevano di me. E i ragazzetti che giocavano a nasconderella si burlavano di me e ridevano anche loro alle mie spalle. La gente alla festa era una gran chiazza di facce offuscate tutte intente a contemplarmi dall’alto e a ridere di me. «Guardalo. È rosso in faccia.» «Sta diventando rosso. Charlie si sta facendo rosso.» «Ehi, Ellen, che cosa gli hai fatto a Charlie? Non l’avevo mai visto comportarsi così.» «Perbacco, Ellen, non c’è che dire, lo hai eccitato.» Non sapevo che cosa fare né da che parte voltarmi. Il suo strofinarmisi contro mi aveva fatto provare qualcosa di strano. Tutti ridevano di me e improvvisamente mi sono sentito nudo. Volevo nascondermi affinché non vedessero. Sono corso fuori dell’appartamento. Era un grande caseggiato, con molti corridoi e non riuscivo a trovare le scale. Mi ero dimenticato completamente dell’ascensore. Infine, dopo aver trovato le scale, sono uscito di corsa nella strada e ho camminato a lungo prima di rientrare nella mia stanza. Non mi ero mai accorto che Joe e Frank e tutti gli altri mi volevano con loro soltanto per prendermi in giro. Ora so che cosa volevano dire quando parlavano di «fare il Charlie Gordon». Mi vergogno. E c’è un’altra cosa. Ho sognato quella ragazza, Ellen, che ballava e si strofinava contro di me, e quando mi sono svegliato le lenzuola erano bagnate e sudicie. Credo che sia una buona cosa capire perché tutti ridono di me. Ci ho pensato a lungo. La ragione è che sono tonto e quando faccio qualcosa di stupido non me ne accorgo neppure. La gente si diverte quando uno stupido non riesce a fare le cose nello stesso modo degli altri. In ogni modo, ora so che sto diventando un po’ più intelligente ogni giorno. Conosco la punteggiatura e so scrivere bene. Mi piace cercare nel dizionario tutte le parole difficili e ricordarle. Inoltre cerco di scrivere il meglio possibile questi rapporti sui progressi, ma è una cosa difficile a farsi. Sto leggendo molto, adesso, e Miss Kinnian dice che leggo rapidamente. E addirittura capisco molte delle cose che leggo, e mi rimangono impresse nella mente. Vi sono momenti in cui chiudo gli occhi e penso a una pagina e la rivedo come se fosse un quadro. Ma mi vengono in mente anche altre cose. Talora chiudo gli occhi e vedo un’immagine chiarissima. Come stamane, subito dopo il risveglio, giacevo a letto con gli occhi spalancati. Era come se un grande foro si fosse aperto nelle pareti della mia mente e io avessi potuto passarci attraverso. Credo che risalga molto indietro nel tempo… a molto tempo fa, quando incominciai a lavorare nella panetteria Donner. Vedo la strada dove si trova la panetteria. Un po’ confusa all’inizio, l’immagine diventa poi a chiazze, con alcune cose tanto reali da sembrare proprio dinanzi a me, mentre altre cose rimangono offuscate, e io sono dubbioso… Un vecchietto con una carrozzella per bambini trasformata in carrettino e un fornello a carbone e il profumo delle caldarroste, e per terra la neve. Un giovanotto, pelle e ossa, con gli occhi spalancati e un’espressione spaventata sulla faccia, sta guardando in su, l’insegna del negozio. Che cosa c’è scritto? Lettere offuscate al punto da essere incomprensibili. Credo di essere io quel tale con l’aria spaventata sulla faccia. Vivide insegne al neon. Alberi di Natale e banchetti di ambulanti sui marciapiedi. Gente infagottata in cappotti con i baveri alzati e sciarpe intorno al collo. Ma lui non porta i guanti. Ha le mani gelide e posa un pacco pesante di sacchetti di carta marrone. Si è fermato a contemplare i piccoli giocattoli meccanici che l’ambulante sta caricando… l’orso che si rotola, il cane che salta, la foca che fa girare un pallone sulla punta del naso. Si rotolano, saltano, fanno girare il pallone. Se quei giocattoli fossero suoi, lui sarebbe la creatura più felice della terra. Vuole domandare all’ambulante dalla faccia paonazza, con le dita che sporgono dai guanti di cotone marrone, se potrebbe prendere in mano per un minuto l’orso che si rotola, ma ha paura. Raccatta il pacco di sacchetti di carta e se lo mette sulla spalla. È magro, ma robusto dopo molti anni di duro lavoro. « Fanciulli lo circondano ridendo e stuzzicandolo come cagnolini che cerchino di mordergli i piedi. Charlie rivolge loro un sorriso. Gli piacerebbe posare il pacco e giocare con quei monelli, ma quando ci pensa si sente guizzare la pelle sulla schiena e ricorda come i ragazzi più grandi gli lancino sassi. Tornando alla panetteria scorge alcuni giovinastri, fermi sulla soglia di un portone buio. «Ehi, Charlie. Che cos’hai lì? Ti va di giocare a dadi?» «Vieni qui. Non ti facciamo niente.» Ma c’è qualcosa in quel portone… l’androne scuro, le risate, che di nuovo gli fa guizzare la pelle. Si sforza di capire di che cosa si tratta, ma ricorda soltanto i loro escrementi e la loro orina dappertutto sui suoi vestiti, e gli urli dello zio Herman quando è tornato a casa tutto insudiciato, e come lo zio Herman sia corso fuori con un martello in mano in cerca dei ragazzi che gli hanno giocato quel tiro. Charlie indietreggia dai ragazzi che ridono sulla soglia, lascia cadere il pacco. Lo raccatta di nuovo e corre per tutta la strada fino alla panetteria. «Perché ci hai messo tutto ’sto tempo, Charlie?» urla Gimpy dalla soglia del retrobottega. Charlie entra, spingendo la doppia porta a molla, nel retrobottega e posa il pacco su uno degli scivoli. Si appoggia alla parete ficcandosi le mani in tasca. Vorrebbe avere il suo spago con i dischi che girano. Gli piace stare lì dietro nella panetteria dove il pavimento è bianco di farina… più bianco delle pareti fuligginose e del soffitto. Anche le suole spesse dei suoi stivaletti sono incrostate di bianco e c’è del bianco persino sulle stringhe e negli occhielli e sotto le unghie e sulla pelle screpolata e rugosa delle mani. Si rilassa, qui… accovacciandosi quasi contro la parete… appoggiandosi all’indietro in modo da far reclinare il berretto da giocatore di pallabase con la «D» in avanti sugli occhi. Gli piace l’odore della farina, della pasta per il pane, dei panini e delle paste che cuociono nel forno. Il forno sta scoppiettando e lo rende sonnacchioso. Dolcezza… tepore… sonno… A un tratto sta cadendo, si sta contorcendo, batte con la testa contro la parete. Qualcuno gli ha fatto lo sgambetto e le gambe gli si sono piegate sotto. Non ricordo altro. Vedo tutto con chiarezza, ma non so perché accadde. È come quando andavo al cinema. La prima volta non capivo mai, perché tutto sì svolgeva troppo rapidamente, ma dopo aver visto il film tre o quattro volte, di solito capivo quel che dicevano. Devo farmelo spiegare dal dottor Strauss. Il dottor Strauss è uno psichiatra e un neurochirurgo. Non lo sapevo, credevo che fosse un semplice medico. Ma quando sono andato nel suo studio stamane mi ha spiegato quanto è importante che io impari a conoscermi, in modo da poter capire le mie difficoltà. Gli ho detto che non incontravo difficoltà. Ha riso, poi si è alzato dalla sua poltroncina e si è avvicinato alla finestra. «Quanto più diventerai intelligente, tanto più numerose saranno le difficoltà che incontrerai, Charlie. Il tuo sviluppo intellettuale supererà lo sviluppo emotivo. E constaterai, credo, che, progredendo, vorrai parlarmi di molte cose. Desidero soltanto che tu ricordi una cosa: questo è il luogo nel quale dovrai venire quando avrai bisogno di aiuto.» Ancora non so di che cosa parlasse, ma ha detto che anche se non capisco i miei sogni o i miei ricordi, o la ragione per la quale mi tornano, un giorno o l’altro tutto finirà con il collegarsi, e io mi conoscerò meglio. Ha detto che l’importante è scoprire che cosa stanno dicendo quelle persone nei miei ricordi. Tutto si riferisce a me quando ero bambino e devo ricordare quel che è successo. Non avevo mai saputo niente di queste cose prima d’ora. A quanto pare, se diventerò intelligente abbastanza capirò tutte le parole nella mia mente, e saprò tutto di quei ragazzi in piedi sulla soglia del portone, e di mio zio Herman e dei miei genitori. Ma lui vuol dire che allora tutto questo mi dispiacerà e che potrei ammalarmi mentalmente. Così d’ora in avanti devo andare due volte alla settimana nel suo studio per parlare delle cose che mi infastidiscono. Ci limitiamo a starcene seduti, e io parlo, e il dottor Strauss ascolta. Questo si chiama terapia e significa parlare di cose che mi faranno sentir meglio. Gli ho detto che una delle cose che mi preoccupano è la faccenda delle donne. Per esempio il fatto che aver ballato con quella ragazza, Ellen, mi ha eccitato tutto. Così ne abbiamo parlato e io ho provato una sensazione strana mentre parlavo, mi sono sentito gelido e sudato, e sentivo un ronzio nella testa, e mi pareva d’essere sul punto di vomitare. Forse perché ho sempre pensato che fosse male e una cosa sporca parlare di certi argomenti. Ma il dottor Strauss ha detto che quanto mi è accaduto dopo la festa è stato una polluzione notturna, e che si tratta di una cosa naturale per i ragazzi. Così, anche se sto diventando intelligente e imparando un mucchio di cose nuove, lui crede ch’io sia ancora un ragazzo per quanto concerne le donne. C’è da confondersi, ma voglio scoprire tutto sulla mia vita. Ma per me è okay leggere romanzi. Questa settimana ho letto Non so bene, in ogni modo, che cosa voglia dire quoziente di intelligenza. Il professor Nemur ha detto che è qualcosa per misurare quanto si è intelligenti… come una bilancia dal droghiere pesa i chilogrammi. Ma il dottor Strauss ha avuto con lui una lunga discussione e ha detto che il quoziente non Quando l’ho domandato a Burt Seldon, che mi sottopone alle prove di intelligenza ed esegue gli esperimenti con Algernon, lui mi ha risposto che secondo alcuni tutti e due hanno torto, e stando a quanto egli ha letto, il quoziente di intelligenza misura un mucchio di cose diverse comprese alcune cose che si sono già imparate e in realtà non è affatto una misurazione efficace dell’intelligenza. Così non so ancora che cosa sia il quoziente, e ognuno lo definisce in modo diverso. Il mio è circa cento, adesso, e arriverà presto a centocinquanta, ma devono ancora riempirmi con il materiale. Io non ho voluto dir niente, ma non capisco in che modo, se non sanno Il professor Nemur dice che devo fare il test di Rorschach dopodomani. Mi domando di che cosa si tratti. Come stamane. Il sogno si riferiva a Miss Kinnian che leggeva i miei rapporti sui progressi. Nel sogno io mi metto a sedere per scrivere, ma non riesco più né a scrivere né a leggere. È tutto scomparso. Mi spavento e allora prego Gimpy, alla panetteria, di scrivere per me. Ma quando Miss Kinnian legge il rapporto si arrabbia e strappa le pagine perché contengono parolacce. Quando arrivo a casa, il professor Nemur e il dottor Strauss mi stanno aspettando e mi picchiano perché ho scritto parolacce nel rapporto sui progressi. Quando se ne vanno, raccatto le pagine lacerate ma esse si trasformano in biglietti amorosi tutti a ricami e insanguinati. È stato un sogno orribile, ma io sono sceso dal letto e l’ho scritto da cima a fondo, poi ho tentato le libere associazioni. Panetteria… cuocere il pane… l’urna… qualcuno mi sta prendendo a calci… precipito… sangue dappertutto… scrivere… grossa matita su un biglietto amoroso rosso… un cuoricino d’oro… un medaglione… una catenella… tutto coperto di sangue… e lui sta ridendo di me… La catenella appartiene a un medaglione… sta girando… mi fa balenare la luce del sole negli occhi. E a me piace guardarla girare… guardare la catenella… Tutta raggruppata mentre si intreccia e poi gira… e una ragazzetta mi sta guardando. Si chiama Miss Kin… cioè no, Harriet. « E poi non c’è più niente. Di nuovo il vuoto. Miss Kinnian sta leggendo i rapporti sui progressi al di sopra della mia spalla. Poi siamo al Centro per gli adulti ritardati, e lei sta leggendo al di sopra della mia spalla mentre scrivo i c omponnimenti La scuola si trasforma nelle elementari e io ho undici anni e anche Miss Kinnian ha undici anni, ma adesso non è più Miss Kinnian. È una ragazzina con le fossette e lunghi riccioli e si chiama Harriet. Vogliamo tutti bene a Harriet. È il giorno di San Valentino. Ricordo… Ricordo quel che accadde alle elementari e perché dovettero allontanarmi e mandarmi in un’altra scuola. Fu a causa di Harriet. Vedo Charlie… undici anni. Ha un piccolo medaglione color oro che ha trovato una volta per la strada. Manca la catenella, ma lui lo ha appeso a uno spago, e gli piace girare e rigirare il medaglione finché non fa tutta una serie di nodi nello spago, e poi stare a guardarlo mentre si srotola e ruota, con il sole che gli sfarfalla negli occhi. A volte quando i bambini si lanciano la palla lo lasciano giocare al centro e lui cerca di impadronirsi della palla prima che uno di loro l’afferri. Gli piace stare al centro, anche se non riesce mai a impadronirsi della palla, e una volta, quando Hymie Roth la lasciò cadere per sbaglio e lui la raccattò, non gli permisero di lanciarla, ma dovette tornare al centro. Quando passa Harriet i ragazzi smettono di giocare e la guardano. Tutti i ragazzi sono innamorati di Harriet. Quando lei scuote la testa i riccioli dondolano su e giù, e poi ha le fossette. Charlie non sa perché tutti attribuiscano tanta importanza a una ragazzetta e perché vogliano sempre parlarle (lui preferirebbe giocare con la palla, o a rimpiattino, o a ladri e carabinieri, piuttosto che parlare con una ragazzina), ma tutti i ragazzi sono innamorati di Harriet e così ne è innamorato anche lui. Lei non lo prende mai in giro come gli altri monelli, e Charlie fa il buffone per essere ammirato da Harriet. Cammina sui banchi quando non c’è la maestra. Lancia cassini fuori della finestra, scribacchia dappertutto sulla lavagna e sulle pareti. E Harriet non fa che lasciarsi sfuggire gridolini e ridacchiare: «Oh, guardate Charlie! Non è buffo? Oh, non è stupido?» È il giorno di San Valentino e i ragazzi stanno parlando dei biglietti amorosi che daranno a Harriet, per cui Charlie dice: «Glielo darò anch’io un biglietto amoroso a Harriet». Gli altri ridono e Barry domanda: «Dove lo vai a prendere un biglietto amoroso?» «Gliene darò uno carino, vedrete.» Ma non ha i soldi per comprare il biglietto, e così decide di regalare a Harriet il suo medaglione che è a forma di cuore come i biglietti amorosi nelle vetrine dei negozi. Quella sera prende un foglio di carta velina nel cassetto di sua madre e ci mette molto tempo ad avvolgere il medaglione e a legarlo con un pezzetto di nastrino rosso. Poi lo porta a Hymie Roth, il giorno dopo, durante l’intervallo per il pranzo a scuola, e prega Hymie di scrivere qualcosa sul foglio di carta in vece sua. Dice a Hymie di scrivere: Hymie scrive molto accuratamente con grandi lettere in stampatello sulla carta, sempre ridendo, e dice a Charlie: «Perdinci questo la lascerà di stucco. Aspetta che l’abbia letto». Charlie è spaventato, ma vuole regalare a Harriet il medaglione, e pertanto la segue fino a casa da scuola, e aspetta che sia entrata. Poi entra di nascosto nell’ingresso e appende il pacchetto alla maniglia della porta, all’interno. Suona due volte il campanello e attraversa di corsa la strada per nascondersi dietro l’albero. Harriet, quando scende, si guarda intorno per vedere chi abbia suonato il campanello. Poi vede il pacchetto. Lo prende e sale di sopra. Charlie torna a casa e lo aspetta una sculacciata perché ha preso il foglio di carta velina e il nastrino nel cassetto di sua madre senza dirglielo. Ma non gliene importa. Domani Harriet porterà il medaglione e dirà a tutti i ragazzi che è stato lui a darglielo. Allora vedranno. Il giorno dopo fa di corsa tutta la strada fino a scuola, ma è troppo presto. Harriet non è ancora arrivata e lui si sente eccitato. Ma quando Harriet giunge, non lo guarda neppure. Non porta il medaglione. E ha un’aria risentita. Lui fa ogni sorta di cose quando la signora Janson non sta guardando: fa smorfie buffe; ride forte; si alza in piedi sul sedile del banco e dimena il sedere. Lancia persino un pezzo di gesso contro Harold. Ma Harriet non si degna di guardarlo neppure una volta. Forse ha dimenticato il medaglione. Forse se lo metterà domani. Gli passa accanto nel corridoio, ma quando Charlie si avvicina per domandarglielo lo spinge e lo lascia indietro senza dir parola. Giù nel cortile della scuola i suoi due fratelli più grandi stanno aspettando Charlie. Gus gli dà un urtone: «Ehi, piccolo bastardo, lo hai scritto tu questo sudicio biglietto a mia sorella?» Charlie risponde di non avere scritto nessun sudicio biglietto. «Le ho portato soltanto un biglietto di San Valentino.» Oscar, che prima di diplomarsi alle medie faceva parte della squadra di calcio, agguanta Charlie per la camicia e gli strappa due bottoni. «Sta’ alla larga dalla mia sorellina, degenerato. Questa scuola non fa per te, del resto.» Spinge Charlie verso Gus, che lo afferra alla gola. Charlie ha paura e si mette a piangere. I due incominciano allora a fargli del male. Oscar gli dà un pugno sul naso e Gus lo getta a terra e gli sferra calci nel fianco, poi lo prendono a calci tutti e due, prima l’uno e poi l’altro, e alcuni ragazzi nel cortile, amici di Charlie, sopraggiungono di corsa gridando e battendo le mani: «Pestaggio! Pestaggio! Stanno picchiando Charlie!» Ha i vestiti strappati e il naso gli sanguina e gli si è spezzato un dente, e quando Gus e Oscar se ne sono andati, si mette a sedere sul marciapiede e piange. Il sangue ha un sapore acre. Gli altri ragazzi si limitano a ridere o a urlare: «Charlie le ha prese! Charlie le ha prese!» E poi arriva il signor Wagner, uno dei sorveglianti della scuola, e li scaccia. Conduce Charlie nella toletta dei maschi e gli dice di lavarsi il sangue e la terra dalla faccia e dalle mani prima di tornare a casa… Dovevo essere molto stupido, suppongo, perché credevo a quel che mi diceva la gente. Non avrei mai dovuto fidarmi di Hymie né di nessun altro. Prima d’oggi non avevo mai ricordato niente di tutto questo, ma mi è tornato in mente dopo aver ripensato al sogno. Ha qualcosa a che vedere con le mie sensazioni mentre Miss Kinnian leggeva i rapporti sui progressi. In ogni modo, sono contento adesso di non dover chiedere a nessuno di scrivere in vece mia. Ora posso farlo da solo. Ma mi sono appena reso conto di una cosa. Harriet non mi restituì mai il medaglione. «Benissimo, Charlie», ha detto Burt, «queste schede le hai già vedute, ricordi?» «Sicuro, me ne ricordo.» Dal modo come l’ho detto, lui ha capito ch’ero arrabbiato, e ha alzato gli occhi su di me, stupito. «C’è qualcosa che non va, Charlie?» «No, non c’è niente che non vada. Queste macchie d’inchiostro mi hanno scombussolato.» Ha sorriso e scosso la testa. «Non c’è nessuna ragione di sentirsi scombussolati. Questo è soltanto uno dei test standard sulla personalità. Ora voglio che tu guardi questa scheda. Che cosa potrebbe essere? Che cosa ci vedi nella scheda? La gente vede ogni sorta di cose in queste macchie d’inchiostro. Dimmi che cosa potrebbe rappresentare per te… a che cosa ti fa pensare.» Ero scosso. Ho fissato la scheda e poi lui. Non mi ero aspettato affatto di sentirmi dire quelle parole da Burt. «Vuol dire che non ci sono immagini nascoste in queste macchie d’inchiostro?» Burt si è accigliato e si è tolto gli occhiali. «Come?» «Immagini! Nascoste tra le macchie d’inchiostro! L’ultima volta lei mi disse che tutti potevano vederle e volle che le trovassi anch’io.» «No, Charlie, non posso aver detto una cosa simile.» «Come?» gli ho urlato. L’essere stato così timoroso delle macchie d’inchiostro mi aveva reso rabbioso contro me stesso e anche contro Burt. «Mi disse proprio così. Il fatto che lei è abbastanza intelligente per frequentare l’università, non l’autorizza a prendermi in giro. Sono stanco e stufo di essere deriso da tutti.» Non ricordo di essermi mai arrabbiato tanto. Non ce l’avevo proprio con Burt, credo, ma a un tratto tutto è esploso. Ho gettato sul tavolo le schede di Rorschach e me ne sono andato. Il professor Nemur stava passando nel corridoio e quando gli sono passato accanto senza salutarlo si è accorto ch’era accaduto qualcosa. Lui e Burt mi hanno raggiunto mentre stavo per scendere con l’ascensore. «Charlie», ha detto Nemur afferrandomi per un braccio, «aspetta un momento. Che cos’è tutta questa storia?» Mi sono liberato divincolandomi e con un cenno della testa ho indicato Burt. «Sono stufo marcio della gente che mi prende in giro. Ecco tutto. Forse prima non capivo niente, ma ora sì, e questa storia non mi piace.» «Nessuno si sta burlando di te qui, Charlie», ha detto il professor Nemur. «E le macchie d’inchiostro, allora? L’ultima volta Burt mi disse che c’erano immagini nell’inchiostro… che tutti potevano vederle, e io…» «Senti, Charlie, ti piacerebbe udire le parole precise che ti disse Burt, e anche le tue risposte? Abbiamo una registrazione su nastro di quella seduta. Possiamo far passare il nastro sul registratore e farti ascoltare quello che fu detto esattamente.» Sono tornato indietro con loro nel reparto psicologia in preda a uno stato d’animo confuso. Ero sicuro che si fossero burlati di me e mi avessero preso in giro quando ero troppo ignorante per accorgermene. La mia ira era una sensazione eccitante e non volevo rinunciarvi facilmente. Mi sentivo pronto a battermi. Mentre Nemur cercava il nastro negli schedari, Burt ha spiegato: «L’ultima volta, mi sono servito quasi esattamente delle stesse parole che ho adoperato oggi. Questi test richiedono che la procedura sia la stessa ogni volta». «Ci crederò quando l’avrò udito.» I due si sono scambiati un’occhiata. Ho sentito il sangue affluirmi di nuovo al viso. Stavano ridendo di me. Ma poi mi sono reso conto di quel che avevo appena detto, e udendo me stesso ho capito la ragione dello sguardo. Non stavano ridendo. Sapevano quello che mi succedeva. Ero pervenuto a un nuovo livello, e l’ira e il sospetto costituivano le mie prime reazioni al mondo intorno a me. La voce di Burt rimbombava dal registratore a nastro: «Ora voglio che tu guardi questa scheda, Charlie. Che cosa potrebbe rappresentare? Che cosa vedi su questa scheda? La gente vede ogni sorta di cose in queste macchie d’inchiostro. Dimmi a che cosa ti fa pensare…» Le stesse parole, quasi lo stesso tono di voce di cui si era servito pochi minuti prima nel laboratorio. E poi ho udito le mie risposte… balbettamenti infantili, impossibili. E mi sono lasciato cadere inerte sulla sedia accanto alla scrivania del professor Nemur. «Ero proprio io, quello?» Sono tornato in laboratorio con Burt e abbiamo continuato con il Rorschach, esaminando le schede lentamente. Questa volta le mie reazioni sono state diverse. Ho «veduto» cose nelle macchie d’inchiostro. Due pipistrelli che si davano strattoni a vicenda. Due uomini che duellavano con la spada. Ho immaginato cose d’ogni genere. Ma ciò nonostante ho constatato che non mi fidavo più ciecamente di Burt. Seguitavo a rigirare le schede e ad esaminarne il retro per assicurarmi che non vi fosse qualcosa di cui avrei dovuto accorgermi. Sbirciavo, mentre lui stava prendendo appunti. Ma era tutto in codice, presso a poco così Il test continuava a non avere alcun senso per me. A me sembra che chiunque potrebbe inventare bugie sulle cose che in realtà non vede. Come possono sapere che non li sto burlando e che non dico cose in realtà mai vedute? Forse capirò quando il dottor Strauss mi permetterà di leggere trattati di psicologia. Sta diventando più difficile per me scrivere di tutti i miei pensieri e di tutti i miei sentimenti, perché so che verranno letti da altre persone. Forse sarebbe meglio se potessi tenere per me questi rapporti per qualche tempo. Lo dirò al dottor Strauss. Perché, poi, la cosa ha incominciato a infastidirmi tutto a un tratto? |
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