"Il Volo Dell'angelo Di Pietra" - читать интересную книгу автора (O'Connell Carol)5Charles Butler fissava sbalordito la vetrina dell'emporio. C'erano pile di T-shirt multicolore sulle quali erano stampati il nome e la foto del predicatore assassinato, tra cui una raffigurante la Vergine Maria con in braccio Babe Laurie adulto. Dietro le magliette c'era uno scaffale zeppo di libri tascabili, occhiali da sole e confezioni di filo interdentale, più bambole vudù e gli altri articoli con cui i turisti si riempiono le borse. Charles tornò sui suoi passi fino al vicolo tra l'ufficio dello sceriffo e la sede dei pompieri. Henry Roth aveva individuato la finestra di Mallory e stava dicendole qualcosa con le mani. Charles attraversò la piazza per cercare di decifrare i segni dello scultore. Mentre si avvicinava, vide un uomo seduto su una panca di legno davanti all'ufficio dello sceriffo. Charles notò la somiglianza con la faccia stampata sulle T-shirt. Poteva avere trentacinque anni. Aveva capelli color sabbia che gli arrivavano al colletto della camicia. Gli occhi azzurri non avevano la stessa espressione spiritata di quelli di Babe Laurie, ma denotavano una certa intelligenza. L'uomo lo salutò con un cenno del capo e la familiarità di un vecchio amico. Charles fu sul punto di dirigersi verso di lui, poiché l'invito era chiaro e ineludibile. Poi, ricordando che aveva altre cose da fare, cambiò direzione e raggiunse Henry Roth. Gli occhi dello scultore erano fissi su una finestra del primo piano. Due mani bianche e affusolate fecero capolino tra le sbarre. Charles lesse le parole sulle dita di lei. « Abbassò lo sguardo. Andarsene? Aveva viaggiato per più di mille chilometri per sentirsi dire questo? Voltò le spalle ai due e si diresse verso la fontana della piazza, in mezzo alla quale si ergeva la scultura di bronzo di uno stallone. Charles si trovava proprio di fronte al posteriore del cavallo. Ripensò a tutto il sonno che aveva perso per causa di Mallory. Dopo un attimo di autocommiserazione, l'ira ebbe il sopravvento sulle buone maniere. Raggiunse l'ufficio dello sceriffo, spalancò la porta d'ingresso ed entrò. La prima persona che si trovò davanti fu la giovane cugina di Augusta. Lilith Beaudare stava pulendo lo schermo del suo computer, ma la sua attenzione era concentrata su quanto accadeva nell'ufficio di fronte. Anche Charles guardò attraverso la porta aperta. Una donna con un tailleur grigio era in piedi di fronte a un uomo in jeans e camicia. Un blazer di cotone tutto stropicciato, con una stella dorata sul risvolto, pendeva dalla spalliera di una sedia. Benché fosse vestito in modo molto meno formale della donna, lo sceriffo trasudava autorità. Le braccia conserte sul petto le comunicavano che qualsiasi cosa volesse, non l'avrebbe ottenuta. Le mani di lei, posate sui fianchi, dicevano che non si sarebbe mossa finché l'uomo non le avesse dato soddisfazione. In piedi accanto alla coppia c'era un giovane mingherlino dallo sguardo vacuo: aveva entrambe le mani fasciate. Mentre Charles si avvicinava alla porta dell'ufficio, la vicesceriffo Lilith Beaudare lo guardò in silenzio. «Ho una dichiarazione di Malcolm» disse lo sceriffo. «Malcolm dice che Babe, in modo molto garbato, ha chiesto a tuo figlio di smettere di suonare sempre le stesse maledette cinque note. Il ragazzo ha perso la testa e ha aggredito Babe. Malcolm dice che suo fratello si è semplicemente difeso.» La donna lo fissò con sguardo attonito. «Babe si è solo difeso? Fratturando le dita di Ira con il coperchio del pianoforte?» Esasperata levò le mani. «Hai mai sentito che mio figlio abbia commesso qualche violenza? Ira detesta ogni forma di contatto fisico, e lo sai bene! Malcolm Laurie ha mentito.» Il giovane con le mani bendate era incantato dalle pale del ventilatore che vorticavano sopra di lui. Con la testa reclinata all'indietro, lo sguardo in trance, oscillava seguendone il movimento. «Be', considerato che Babe è morto,» ribatté lo sceriffo, «non ha molto senso presentare una denuncia contro di lui. Non ti pare, Darlene?» «Non sono venuta per questo.» La donna stava frugando nella borsa nera che le pendeva da una spalla. «È ancora qui, la giovane che hai arrestato? Voglio pagare la sua cauzione. Se davvero è stata lei a far fuori quel bastardo, è il minimo che possa fare per ringraziarla.» Darlene estrasse un libretto di assegni e una penna. Lo sceriffo rifiutò l'offerta con un gesto della mano. «Non è prevista nessuna cauzione.» «Tom Jessop, non hai il diritto di tenere in carcere quella ragazza. Per quel che ne sai, Babe potrei averlo ucciso io. Non t'è mai passato per la mente, vero?» Jessop sorrise. «Ti sbagli, Darlene. Sei al primo posto nella mia lista dei sospetti, davanti alla vedova di Babe Laurie e alla detenuta. Per il momento non ci sono uomini tra gli indiziati. Il circolo femminile di Dayborn mi eleggerà certamente femminista dell'anno.» Lo sceriffo si sedette sulla poltrona di pelle verde, dietro alla scrivania più disordinata che Charles avesse mai visto. Fece ruotare la sedia dando le spalle a Darlene. Ma lei non si diede per vinta. Girò intorno alla scrivania. «Nessuno mi ha chiesto dov'ero quando Babe Laurie è stato ucciso.» «Non ce n'era bisogno.» Jessop parlò in tono distratto, ma poi sorrise di nuovo. «La tua macchina è stata vista procedere nella stessa direzione di quella di Malcolm e Babe. Ma mentre loro si sono fermati alla stazione di servizio, tu hai proseguito di volata verso l'ospedale.» Girò ancora la sedia per guardare le pile disordinate di fogli e cartellette sparse sulla scrivania. Sollevò un foglio e glielo porse, agitandolo come una bandiera. «Hai presente Manny, l'addetto al distributore di benzina? Questa è la sua dichiarazione. Il tuo modo di guidare l'ha molto impressionato.» Lo sceriffo estrasse un secondo documento. Charles si chiese come fosse riuscito a localizzarlo in quella tempesta di carte. «E questa è la dichiarazione del dottore. Dice che sei uscita dall'ospedale quando era già buio.» Lo sceriffo restituì il foglio al marasma della scrivania. «Mi dispiace davvero, Darlene. Il tuo alibi è solido. Tuttavia, ammiro il tuo spirito battagliero.» «Tom, devi fissare la cauzione, lo prevede la legge.» «Non c'è obbligo per i casi di omicidio. Le ho trovato addosso una pistola grande come un cannone.» Darlene si piegò fino a quando il suo viso non fu che a pochi centimetri da quello dello sceriffo; ora era lei a sorridere. «Una pistola spara «Merda. C'è qualcuno in paese che non sappia di quel maledetto sasso?» Tom Jessop si alzò. «Sasso o pistola, non fa differenza. È stato un lavoro ben fatto, con la chiara intenzione di uccidere. Devo scoprire perché avesse con sé quella pistola e se l'ha usata o no contro di lui.» Darlene ribatté: «Sono solo supposizioni. Non hai neanche un movente. Non puoi tenerla dentro». «Lavorare per uno studio legale non fa di te un avvocato, Darlene. Posso trattenerla come teste chiave. Si dà il caso che abbia già dimostrato la sua propensione alla fuga.» «Se quella lì dentro è Kathy, allora sai fin troppo bene che non aveva ancora sette anni quando è fuggita.» «Non fa differenza. Ma non preoccuparti, non ho ancora preso una decisione e non ho ancora accusato nessuno. Se insisti, esaminerò meglio il tuo alibi. Sarei ben lieto di metterti in cella solo per farti calmare un po', ma poi chi baderebbe a Ira?» Darlene gettò il libretto degli assegni nella borsa e si girò verso il figlio. «Ira, ce ne andiamo!» Il ragazzo continuava a fissare il soffitto. Darlene agitò una mano davanti ai suoi occhi, finché lui non distolse lo sguardo. La madre non lo toccava, ma con i gesti delle mani lo pilotava attraverso la stanza. Il ragazzo si bloccò un istante alla vista di Charles che riempiva il vano della porta con il suo metro e novanta d'altezza. Non si poteva non notarlo. Era come cercare di evitare un orso kodiak in un box-doccia. «Buon pomeriggio. Sono Charles Butler.» Sembrava volersi scusare per la sua mole. «Sono qui per vedere una donna di nome Mallory.» «Non l'avrei mai sospettato.» Dal tono ironico dello sceriffo, Charles dedusse che fosse stufo dei visitatori di Mallory. «E vediamo… non me lo dica,» continuò lo sceriffo, chiudendo la porta alle spalle di Darlene che si stava allontanando con il figlio «lei viene da New York, vero?» «Sì» confermò Charles, in piedi davanti alla scrivania. Il suo completo inglese di Savile Row, le scarpe italiane fatte a mano, la camicia Oxford e la cravatta di seta della Galerie LaFayette di Parigi erano più eloquenti di qualunque risposta. «Come ha fatto a capirlo?» «Ho visto la targa dell'auto fuori dal bed amp; breakfast di Betty. Doveva essere la sua, si intona perfettamente al vestito.» Jessop si sedette e invitò Charles ad accomodarsi sulla sedia accanto. Lo sceriffo sollevò una pila di documenti e prese una busta ingiallita. L'aprì ed estrasse una foto. Charles la riconobbe subito: era Mallory bambina. Il padre adottivo, Louis Markowitz, ne aveva portato una simile nel portafoglio fino al giorno della morte. «Quando era piccola si chiamava Kathy Shelley.» Lo sceriffo infilò una mano nel taschino della camicia e ne estrasse un orologio d'oro. «Adesso si chiama Mallory. È il nome inciso qui sopra, dopo una sfilza di Markowitz.» L'orologio da tasca di Louis. Charles lo avrebbe riconosciuto fra mille. Sul coperchio un abile incisore aveva ritratto la figura di un viandante solitario che attraversava un vasto spazio aperto. Nel cielo d'oro erano tratteggiate delle nuvole, e dalla loro posizione era possibile capire anche che il viandante procedeva controvento. «Allora, signor Butler,» disse lo sceriffo «usa Mallory come nome o come cognome?» «Mi spiace, lei deve avermi frainteso. Non sono qui su richiesta di Mallory. Rappresento Augusta Trebec, esecutrice testamentaria della proprietà Shelley.» Lo sceriffo si appoggiò allo schienale della poltrona. «Ma lei è un avvocato o un investigatore privato?» Pareva più un'accusa che una domanda. «Né l'uno né l'altro. Sto solo facendo un favore alla signorina Trebec.» In quel caso Mallory, bugiarda consumata, gli avrebbe consigliato di mescolare in parti uguali menzogna e verità. Così aggiunse: «Di solito lavoro con agenzie governative e università. Seleziono persone dotate di talenti particolari e mi adopero per far fruttare le loro doti». «Talenti particolari? Bene, allora è capitato nel posto giusto.» Lo sceriffo indicò la finestra accanto alla scrivania. Seguendo il suo sguardo, Charles vide la donna e il ragazzo che stavano attraversando la strada, diretti verso il Jane's Café. «Quel ragazzo, Ira Wooley, è un «Be', sua madre ha menzionato una repulsione al contatto fisico.» Charles si accostò alla finestra per guardare il ragazzo giù in piazza. «A giudicare dalla sua buona coordinazione e dall'assenza di ritardo mentale, direi che è autistico. Il termine corretto è Charles si rese conto di aver detto quel che lo sceriffo sapeva già. La risposta era servita solo a mitigare una certa diffidenza nei suoi confronti. Jessop voltò le spalle alla finestra. Ira e sua madre erano entrati nel Jane's Café. «Anni fa una stramaledetta insegnante dichiarò che Ira era un Il suo tono era più affabile adesso. «Qui in paese c'era un personaggio dotato di un talento ancor più interessante. Il defunto Babe Laurie era un oratore nato. A cinque anni predicava già il vangelo. Scommetto che non ha mai incontrato un tipo così.» Figurarsi! Da quelle parti erano frequenti come i gambi del granturco. Il talento più raro era quello di Ira. Charles era sempre stato affascinato dagli Lilith Beaudare entrò con una manciata di fax. Non degnò Charles di una sola occhiata. Sicuramente non intendeva rivelare il fatto che si erano già conosciuti. Ecco un'altra stranezza. «La richiesta di estradizione per la signora Laurie ha funzionato» disse Lilith, depositando i fax sulla scrivania dello sceriffo. «Si è arresa e ha rinunciato ai propri diritti. La polizia della Georgia dice che possiamo andarla a prendere all'aeroporto dopodomani. Se pensa di trattenerla per la notte, dovrò chiamare i servizi sociali perché si occupino del figlio.» «Non ce n'è bisogno. Non prevedo di passare più di cinque minuti con Sally Laurie. L'ho trascinata di nuovo qui perché mi ha fatto infuriare filandosela a quel modo.» Lo sceriffo diede un'occhiata ai fax e glieli restituì. «Archiviali o bruciali.» Lilith esitò un momento non sapendo cosa dire; poi si girò e uscì. «E chiudi quella porta!» le urlò dietro lo sceriffo. Fece un sorriso a Charles. «La vedova di Babe è scappata col figlio il giorno stesso dell'omicidio. Ho impiegato meno di ventiquattr'ore a rintracciarla. Non male per uno sceriffo di campagna, non pensa?» «Così il morto aveva una moglie e un figlio.» «Be', diciamo che la vedova del morto ha un figlio.» «Non è figlio di Babe Laurie?» «A quel che si dice. Babe e la moglie hanno grandi occhi azzurri, mentre il ragazzino ha gli stessi occhietti castani di Fred Laurie, il fratello di Babe.» «Be', sa, geneticamente è possibile se c'è il fattore…» «No, non è possibile, signor Butler. La nostra è una cittadina troppo piccola per lasciar spazio alle eccezioni scientifiche. Il cartello sulla statale dice che gli abitanti di Dayborn sono mille e cento, ma è un'esagerazione; siamo più o meno novecento.» E in un paese piccolo chi viene da fuori è sempre il primo a essere accusato di un crimine. «Deve essere sotto pressione, vero sceriffo?» «Sotto pressione?» «I media?» Allo sceriffo sembrò divertente. «Un omicidio compiuto a sassate? Una notizia così non arriva ai notiziari della sera.» «Ma questo Laurie era un leader religioso.» «Era l'attrazione principale di uno spettacolo itinerante chiamato New Church. Babe era famoso solo perché Betty Hale ne parlava ai suoi ospiti durante i tour del paese. Serviva a vendere qualche ricordino all'emporio, e sono certo che Betty Hale percepisse la sua percentuale.» «Vorrei vedere Mallory, adesso, se non le dispiace.» Lo sceriffo annuì e lo affidò a Lilith. Charles la seguì per le scale e ruppe il silenzio solo quando lei gli aprì la porta. «Non mi controlla per vedere se porto delle armi?» L'espressione della vicesceriffo era eloquente. Non l'aveva mai nemmeno sfiorata l'idea che Charles sapesse distinguere la canna di una pistola dal suo calcio. Senza rispondere, rimase vicina alla porta mentre l'uomo percorreva lo stretto corridoio che portava alle celle. Charles si era immaginato una Mallory che languiva in una cella spoglia e fredda. Ora non poteva credere a ciò che vedeva. Alla parete era appesa una stampa raffigurante un paesaggio d'altri tempi, ai piedi di una poltrona c'era un tappetino intrecciato, una trapunta Quanto doveva odiare tutto questo, e più ancora quella divisa a strisce. Sollevò gli occhi e lo vide: era infuriata. Charles voltò le spalle a Lilith, impedendole la vista di Mallory. «Augusta Trebec mi ha incaricato di accertarmi se lei sia o no l'erede di Cassandra Shelley.» E a segni aggiunse: « «Vada via» disse Mallory. Poi a segni insistette: « «Le sarei grato se potessi almeno spiegarle il mio compito.» « «No!» disse lei. E gesticolando: « « «Se ne vada» ripeté. « « Ad alta voce, Charles disse: «Potrei assumere un legale per lei». «Non ne ho bisogno.» Si alzò e si avvicinò alle sbarre. « « Mallory infilò le carte in tasca, così da aver libere le mani per parlare con il linguaggio dei segni. « Charles sapeva quel che intendeva dire. Mallory gli stava facendo capire che la sua eccessiva onestà avrebbe finito per rovinare tutto. Non lo credeva capace di azioni basse o equivoche. « Mallory trasalì. Si stava chiedendo quanto danno Charles avesse già fatto. Gli restituì i finti documenti. «Li ho letti, va bene? Adesso se ne vada.» Avvicinò il viso alle sbarre e allungò le mani verso quelle di Charles. « La sua espressione sembrava suggerire che avrebbe potuto farlo. Forse era quel suo sorriso. E ora c'era una domanda negli occhi. Di Mallory non si poteva dire che non sarebbe stata capace di uccidere qualcuno. Tuttavia, rifletteva Charles, se lei avesse dato fuoco a un autobus pieno di suore e orfanelli e l'avesse fatto precipitare da una scarpata, lui avrebbe pensato semplicemente che Mallory aveva avuto una cattiva giornata. Charles stava uscendo dal palazzo municipale che ospitava la prigione quando vide la donna sbucare dal vicolo e fermarsi a pochi passi da lui. La prima cosa che notò furono i capelli. La tintura nera mal riuscita aveva sfumature viola. Era magra, di mezza età, gli occhi supplicanti rivolti al cielo, la sottoveste che sporgeva dall'orlo del vestito sporco. Aveva il volto rigato di lacrime. A un tratto si precipitò verso il lato più lontano della piazza, la bocca spalancata nel preludio di un urlo. Una donna alta e robusta fasciata da un grembiule e con in mano un vassoio, comparve sui gradini del palazzo municipale, proprio accanto a Charles. «Alma!» gridò verso la donna che correva. Lei non l'ascoltò. La donna robusta si strinse nelle spalle e attraversò la piazza fino al Jane's Café. Un attimo dopo Henry Roth emerse dal vicolo, sulle orme della donna in fuga. Lo scultore sorrideva soddisfatto. Charles ebbe la sensazione che quel giorno il mondo girasse storto. Di fronte alla disperazione di quella donna il sorriso di Henry Roth lo innervosì. Dopo averlo salutato, incrociò nuovamente gli occhi dello sconosciuto seduto sulla panchina, quello che assomigliava tanto a Babe Laurie. Ma ora il suo sguardo era cambiato, più intenso, quasi febbrile. Aveva un'espressione vittoriosa, come quella di un bambino furbo che conosce un segreto inquietante. L'invito era così pressante che Charles si avvicinò alla panchina. Poi si fermò, come se avesse sbattuto contro un muro. Quello che aveva di fronte non era un bambino innocente, ma un adulto dotato di un magnetismo sinistro. Era un perfetto istrione, capace di passare da una personalità all'altra. Charles credeva di essersela cavata bene con lo sceriffo, ma scelse di non tentare ancora la fortuna con qualcuno che faceva dell'inganno un'arte. Così si limitò a rispondere con un cenno del capo, stringendosi nelle spalle come a scusarsi. Poi si diresse verso il Jane's Café. |
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