"Il Volo Dell'angelo Di Pietra" - читать интересную книгу автора (O'Connell Carol)

3

Era molto tardi, ma Lilith Beaudare rimase con la vecchia cugina finché tutte le storie di famiglia non furono raccontate, a colmare i vuoti dei lunghi anni passati dall'ultima visita.

Il viso dell'anziana donna si illuminò alla luce di un fiammifero. Si accese un sigaro spuntato e soffiò il fumo nell'aria notturna.

«Sai,» fece Lilith, con aria saccente «non dovresti fumare. Vuoi rovinare gli anni d'oro della tua vita con un'enfisema polmonare?»

«Hai assolutamente ragione» rispose Augusta. «Smetterei subito se avessi un briciolo di buonsenso.» Il fumo le roteava intorno mentre parlava. «Dovrei imparare la disciplina e rinunciare ai piaceri.»

Lilith annuiva.

Augusta proseguì: «Così, quando avrò novant'anni e sarò cieca per la cataratta, rattrappita dall'artrite e con il seno amputato per un cancro, potrò dire: "Be', grazie a Dio non ho l'enfisema"». Augusta rovesciò la testa e rise. La sua risata era maliziosa e vivace.

Ogni ruga, ogni segno dell'età si smarrivano nel buio. Rimanevano visibili il corpo slanciato e i lunghi capelli, tracce di una bellezza che, un bicchiere dopo l'altro, aveva ubriacato parecchi giovanotti.

Da ragazza Augusta era stata un'abile cavallerizza. Anni prima, Lilith era rimasta incantata nel vederla cavalcare senza sella in cima all'argine. Ma il momento migliore era stato quando Augusta aveva lanciato il cavallo giù per la ripida discesa della diga, dando l'impressione che l'animale corresse sollevato da terra. Quando Lilith pensava a quella giornata, le tornava in mente il cavallo con le ali.

Augusta smise di ridere.

«Ho visto l'angelo, quando sono passata dal cimitero» disse la ragazza.

«Ci sono sedici angeli in quel cimitero.» Augusta inclinò la tazza per bere l'ultimo goccio di caffè e allungò la mano per riprendere la caffettiera dal tavolino di vimini.

Lilith frenò l'impulso di mettere in guardia la cugina dai pericoli della caffeina. «Voglio dire quell'angelo. Avevo dimenticato quanto fosse bella Cass Shelley. Allora, la prigioniera è davvero Kathy?»

«Se lo sapessi, non avrei bisogno dell'aiuto del signor Butler, non credi?»

Augusta lasciava trapelare un filo di irritazione, Lilith fu certa che nascondesse qualcosa. «Ma hai sentito quel che si dice in paese. Tu credi che…»

«Ti prego di smetterla con gli interrogatori» sbottò Augusta.

«Sono solo curiosa, tutto qui» mentì Lilith.

«Bene. Fingeremo che io sia davvero la vecchia svampita che pensi tu.» Si sistemò meglio appoggiandosi allo schienale della sedia. La tensione fra di loro era palpabile. «Ammettiamo che la prigioniera sia Kathy. Ricordati che è nata in Louisiana, e che il temperamento e il carattere si acquisiscono con il latte materno. Ma, a quanto dicono, parla come una del Nord, perché deve essere rimasta là tutto questo tempo. Un misto di Nord e Sud.» Si girò verso Lilith con un sorriso poco gentile. «Una combinazione infernale. Non ti spaventa, Lilith? Eppure dovrebbe.»

La giovane serrò le labbra per reprimere una battuta che le avrebbe inimicato la cugina. Augusta proseguì: «Oh, so bene quel che hai in mente. Ma se dovessi fare una scommessa su come va a finire, non rischierei un soldo su di te».

Lilith prese a canticchiare un motivetto mentre con i piedi spingeva all'indietro la sedia, in bilico sulle gambe posteriori. Guardò la cugina con la coda dell'occhio e le venne da ridere vedendo che anche lei la osservava di sottecchi. Cercò un argomento di conversazione più sicuro. «Vai ancora a cavallo?»

«No, non monto più,» disse Augusta con tono amareggiato. «Ho fatto una brutta caduta e mi sono rotta una gamba. Ci ho messo molto tempo a guarire. Non ho certo voglia di farmi ancora male. Il tempo è prezioso.»

L'improvviso ululato di un animale spaventò Lilith, che si irrigidì sulla sedia. «Era il lupo.»

«Oh, piantala, Lilith.» La punta ardente del sigaro tracciò un arco irregolare nel buio. «Non hai più l'età per questi giochetti.»

«L'ho riconosciuto.» Era il ricordo più vivo della sua prima infanzia a Dayborn. «Era il lupo di papà.»

«Ma figurati, era solo un vecchio cane. Tuo padre ti prendeva in giro, e tu lo sai.»

In un angolo razionale della sua mente, Lilith sapeva che Guy, grande affabulatore e creatore di miti, aveva inventato il lupo apposta per lei. Eppure non era disposta a rinunciare al dono che aveva ereditato da lui: la fede cieca nelle cose invisibili e la consapevolezza del loro potere.

«Non c'è mai stato un lupo da queste parti» dichiarò Augusta.

Lilith sentiva la dolce voce del padre che diceva: "Lil, se solo riuscirai a trovare quel lupo, la tua vita cambierà in meglio".

«Ossignore, quanto hai corso per vedere quel lupo!»

"Senti che ululato, Lil? Non è magnifico?"

«Non era altro che il cane di Kathy» disse Augusta. «Anche adesso è lui a latrare.»

Sembrava un lamento per i defunti. L'animale stava piangendo.

«Ma non può essere ancora vivo. Avrebbe più di vent'anni.» Lilith continuava a credere a un cavallo alato e a un lupo che non aveva mai visto, ma non si capacitava che un cane potesse vivere così a lungo.

«Ogni volta che davo in affitto la casa di Cass, raccontavo la storia dell'omicidio e di come il cane avesse nostalgia della piccola Kathy. Gli affittuari erano comprensivi. Gli davano persino da mangiare. Ma dopo un certo tempo si rendevano conto che quella bestia aveva qualcosa che non andava.»

Lilith si girò dall'altra parte, preferendo il lupo di suo padre a quel cane mezzo morto che si aggirava come un fantasma per il cortile della vecchia Casa Shelley.

La voce di Augusta continuava monotona, seguendo il corso dei suoi pensieri. «In ogni caso, non ti conviene dare la caccia al lupo. Hai mai pensato a cosa accadrebbe se un giorno tu riuscissi a raggiungerlo?»


La zampa posteriore del vecchio cane nero si dimenava mentre sognava di correre adattando il suo passo a quello della bimba bionda dagli occhi verdi. Verso la fine del sogno si lamentò, rotolandosi per terra ed esponendo le cicatrici alla luna. Il dolore delle vecchie ferite lo svegliò, facendogli nuovamente sentire il mondo reale intorno a sé.

Era solo.

Abbassò la testa. Quindi ricominciò a ululare. Il vento portava il suo latrato ovunque, perfino giù a Owltown.


Ai margini di Dayborn c'era un agglomerato di capanne e di roulotte, attraversato da una strada illuminata al neon e affollata di ubriachi. Benché quell'area faccese parte della città a tutti gli effetti, i residenti più anziani fingevano che non fosse così. Quando facevano riferimento a quella zona degradata lungo il Lower Bayou, la chiamavano Owltown, la città dei Gufi.

Alma Furgueson, che abitava lì, si rigirò nel letto e ascoltò il lamento del cane. Si augurava che qualcuno ponesse fine ai tormenti di quella povera bestia e anche ai suoi. Lo avrebbe fatto lei stessa, ma non sopportava l'idea di tornare a Casa Shelley.

Afferrò l'orlo della coperta e se lo tirò fin sul volto. Benché avesse passato la cinquantina, reagiva alle proprie paure come una bambina. Scese dal letto e si nascose nello sgabuzzino, chiudendo la porta.

Alma si forzava di rimanere immobile, ma il suo corpo era scosso dai singhiozzi. Sentiva salire un urlo dalla gola e il petto era oppresso dal senso di colpa, pesante come un macigno. Chiuse gli occhi, ma non servì a niente.

La paura continuava a inondarle il cervèllo con immagini orribili. Non c'era alcun posto dove nascondersi.


Nella piazza di Dayborn, nella casa accanto al bed amp; breakfast, Darlene Wooley sentiva il figlio urlare nella camera di fianco alla sua. Ma non era per il dolore delle ferite alle mani, perché per quello aveva già preso degli antidolorifici.

Il cane di Kathy smise di gemere e le urla di Ira cessarono. Si era rifugiato in qualche altro sogno.

Ogni volta che doveva svegliarlo per strapparlo a un incubo, per Darlene era un supplizio. Il terrore negli occhi del figlio la distruggeva. Ira la respingeva sempre, disgustato da ogni dimostrazione di affetto materno. E quella era la cosa peggiore, perché lei lo amava molto.

Rimase in piedi accanto alla finestra pregando affinché il cane non latrasse più.

Lascialo stare. Lascia in pace mio figlio.

Non c'era modo di consolare Ira ignorando quel che gli era accaduto tanti anni prima. Lui non era mai riuscito a dirglielo. Dall'età di sei anni, il modo di comunicare di Ira era stato per lo più musicale: mormorii di note al piano, brani di ritornelli cantati. Ma lei non era portata per la musica, perciò le conversazioni del figlio erano a senso unico.

Così molte domande erano rimaste senza risposta e continuavano a tormentarla. A volte Darlene si convinceva che Cass Shelley sarebbe tornata dall'aldilà per dissipare le ombre della sua vita e far cessare i brutti sogni di Ira.

Il figlio urlò di nuovo. Era sveglio adesso e picchiava la testa contro la spalliera del letto.

Darlene si precipitò nella sua camera. Mentre gli si avvicinava, Ira cessò di dimenarsi e la fissò con gli occhi sgranati. Era l'inconsapevole richiesta di aiuto. Ma sua madre sapeva che, se avesse cercato di prenderlo fra le braccia, lui avrebbe ricominciato a urlare.

Non era più un bambino ormai, ma il suo corpo era rimasto piccolo e fragile. Il volto magro faceva sembrare ancor più grandi gli occhi, più vulnerabili nella loro implorazione di soccorso. Lei desiderava cullarlo e accarezzarlo, invece ritrasse le mani dietro la schiena per rassicurarlo che non l'avrebbe toccato. Rimase in piedi accanto al letto fino a quando Ira, sentendosi nuovamente al sicuro, si addormentò sottraendosi così al latrato del cane di Kathy.

Dopo essere tornata nel suo letto, Darlene rimase a lungo sveglia.


Intanto, a Owltown, anche la donna nascosta nello sgabuzzino era sveglia. Si strofinava gli occhi con i pugni serrati, come per cancellare le immagini che le affollavano la mente. Alma Furgueson voleva solo dimenticare. Lei era lì, aveva visto tutto, dall'inizio alla fine; ma non aveva capito quanto era successo, non più di Darlene Wooley, che non aveva visto nulla.


Lilith Beaudare augurò la buona notte ad Augusta, lasciandola alla sua insonnia cronica.

Percorse di corsa il viale ed entrò nel bosco. Attraversò il cimitero a gran velocità, calpestando l'erba che copriva il terreno consacrato. Poi di nuovo sullo sterrato, lungo la strada che passava davanti al cottage di Henry Roth e saliva fino all'argine, da dove si poteva vedere Dayborn illuminata.

Correre era la sua passione, sempre all'inseguimento del lupo.

Quella sera Augusta aveva dato voce al più gran timore di Lilith: una volta che avesse raggiunto il lupo, cosa sarebbe successo? Se lei non fosse riuscita a riconoscere quel momento, sarebbe stata condannata a una vita ordinaria.

Lilith era al culmine dell'euforia, cosa che le capitava spesso quando correva, e pur essendo un'atea convinta, sentiva che le sarebbe bastato allungare la mano per toccare il volto di Dio e le sue bianche zanne da lupo. In quello stato di grazia, il corpo non avvertiva più la stanchezza, né il terreno sotto i piedi: era come volare.

Il cane latrò di nuovo, e Lilith ritornò sulla terra. I piedi ripresero a battere ritmicamente sul terreno compatto. Guardò gli alberi avvolti nell'oscurità. Un soffio di vento, scivolandole sulle spalle, le avvolse la pelle sudata in un manto di brividi.


La detenuta giaceva supina, fissando il soffitto. Rettangoli di luce dorata galleggiavano sul muro, in un gioco di ombre e riflessi che dal lampione in strada rimbalzavano fra le sbarre della finestra.

Mallory ascoltava i latrati del suo cane, pensando che non era ancora arrivata a casa.