"Il Volo Dell'angelo Di Pietra" - читать интересную книгу автора (O'Connell Carol)2Charles ammirò le caviglie sottili di Augusta che saliva le scale facendogli strada in veranda. I merli appollaiati sulla ringhiera restarono indifferenti al passaggio della donna, ma volarono via a uno a uno quando lui salì i gradini di pietra dietro di lei. Giunto in cima alle scale calpestò il rampicante che allungava fin lassù i suoi fitti germogli. Fiori di campo autunnali crescevano tutt'intorno alla casa, e il loro profumo si sovrapponeva all'aroma del caffè che saliva dalla tazza che teneva in mano. «Sto aspettando una parente» disse Augusta. «Si chiama Lilith. I suoi genitori mi hanno telefonato stamattina avvisandomi che sarebbe arrivata. Suo padre deve averle detto di farmi una visita di cortesia, prima di presentarsi per cena.» Si accomodò su una poltrona con lo schienale alto, che pareva la più solida tra una serie di seggiole di vimini piuttosto malconce. Charles si sedette accanto a lei e guardò il panorama. Effettivamente, la casa sorgeva in un punto più alto rispetto alla pianura circostante, perché, nonostante i quasi dieci metri di altezza dell'argine, dalla veranda si riusciva a vedere il Mississippi. I gabbiani si tuffavano nella corrente del fiume e riprendevano il volo stridendo. Un battello a vapore si dirigeva a sud, verso New Orleans, facendo ribollire le acque melmose con la sua ruota a pale. Per un istante gli sembrò che la grande imbarcazione scivolasse in equilibrio perfetto lungo la sponda del fiume. Charles continuò a seguire il suo lento progredire finché non fu distratto da una figura sull'argine. Una silhouette slanciata con lunghe gambe da puledro percorse a gran velocità il ripido declivio e scomparve dietro gli alberi vicino al cottage di Henry Roth. «Ecco Lilith Beaudare, la figlia di mio cugino» disse Augusta. Ne intravidero l'ombra in un tratto soleggiato del cimitero, poi svanì tra gli alberi. La giovane aveva coperto quel tratto correndo a velocità sorprendente. Adesso, rallentata l'andatura, procedeva lungo il viale alberato, verso la casa. Charles riuscì a distinguerne i colori: il rosso della T-shirt, il viola dei calzoncini, il nero della pelle. Osservò la carnagione pallida di Augusta, e lei, come se stesse concludendo una barzelletta, esclamò: «Il mondo è cambiato, Charles. Cerca di restare al passo con i tempi!» e rise. «Mio cugino, Guy Beaudare, si trasferì con la famiglia a New Orleans quando Lilith era piccola. Venivano sempre a trovarmi d'estate, poi hanno smesso. Non vedo quella ragazza da anni. Strano che Lilith si presenti a Dayborn proprio ora, subito dopo che la tua amica è finita in prigione.» Poi, con una certa circospezione, si avvicinò e gli disse: «Dovresti trovarlo strano anche tu». La giovane donna imboccò le scale. Appena prima che comparisse in veranda, Augusta ridacchiò, «Credi che Lilith sia di pelle scura? Dovresti vedere sua madre! È nera come la notte: Africa profonda». Mentre si presentavano, Charles studiò la giovane. I capelli erano corti e neri e incorniciavano un bel viso su cui spiccavano labbra color prugna. Era un po' più alta di Augusta, circa un metro e settanta; la stessa statura di Mallory. Dopo aver baciato la cugina su entrambe le guance, Lilith gli strinse la mano, trattenendola un attimo più del necessario. Sorrideva, ma i suoi occhi erano inespressivi. «Lilith è arrivata in città per dare una mano allo sceriffo Jessop» spiegò Augusta. «Credo di averle detto che il suo vice è in ospedale.» Charles lo lesse come un avvertimento, sebbene fosse convinto che non ci avrebbe messo molto per indovinare la professione di Lilith. Il suo modo di conversare la tradiva. Non formulava mai una frase che non sottointendesse una domanda, e non lasciava mai spazio per una controdomanda. Proprio come Mallory. Ma con lui non funzionava: Charles era abituato da un pezzo agli interrogatori. «Da quanto tempo conosce Augusta, signor Butler?» «Ci siamo incontrati per la prima volta questo pomeriggio.» Lilith si piegò verso di lui, incalzandolo con un'altra domanda. «E cosa la porta qui da mia cugina?» Alle spalle di Lilith, Augusta gli fece cenno di tapparsi la bocca. «Ma sentitela un po'! Si è diplomata all'accademia di polizia da nemmeno due settimane e vuole già interrogare la gente!» Le scoccò un'occhiata severa. «Questi non sono affari tuoi, Lilith, ma l'ho ingaggiato per indagare su una donna che potrebbe essere la figlia di Cass Shelley. Se le cose stanno davvero così, è arrivato il momento di consegnarle le proprietà della madre.» La signorina Trebec si alzò e Charles la imitò, ritenendolo un invito a prender commiato. Augusta si rivolse alla cugina: «In caso tuo padre non te l'abbia detto, sono io l'esecutrice testamentaria. Dalla morte di Cass ho incassato gli affitti e pagato le tasse per la casa. Ma ora sono stanca. Così, non appena il signor Butler avrà accertato la linea di successione, potrò liberarmi da questa noiosa incombenza». Lilith annuì e si girò verso di lui. «Mi chiedevo se fosse autorizzato a esercitare nello Stato della…» «Piantala, Lilith. Basta immischiarsi nei miei affari.» Le due donne incrociarono gli sguardi come se si stessero fronteggiando in un duello, e la più giovane ebbe la peggio, schiacciata dalla determinazione dell'altra. «Immagino che per lei sia giunta l'ora di andare» disse Augusta allungando la mano per salutarlo. Charles augurò una buona serata a entrambe e si diresse verso il viale di querce da cui era venuto. Lo stridio degli uccelli accompagnava i suoi passi. Un grosso storno nero appollaiato sopra una tomba lo seguì con lo sguardo. Attraversando il cimitero, Charles percepì lo spostamento d'aria del suo battito d'ali. L'uccello si posò su un monumento all'altezza della sua testa, e gli puntò in faccia il becco aguzzo. I suoi occhi erano freddi come quelli di un rettile. Charles credeva alla teoria secondo la quale i dinosauri non si erano estinti, ma si erano trasformati in uccelli. Osservò lo storno spiccare il volo verso il sole basso all'orizzonte. Solo allora notò che gran parte delle tombe e dei monumenti guardava a est. Forse una tradizione locale voleva che i morti riposassero rivolti verso il punto in cui nasce il sole, simbolo della resurrezione. Solo una tomba era rivolta a nord. Si avvicinò per osservarla meglio. Era una piccola cappella, con una porta in ferro battuto e due finestre dalle splendide vetrate istoriate. A una prima occhiata avrebbe detto che la cappella appartenesse al periodo coloniale, ma poi si accorse che era stata costruita con una pietra morbida e porosa. Considerata la raffinatezza dell'insieme, l'impiego di un materiale così scadente pareva fuori da ogni logica. Sopra la porta un bassorilievo raffigurava la testa di un uomo. Gli occhi di pietra ai lati del naso ormai sbriciolato fissavano Casa Trebec. Il nome inciso sull'architrave era scomparso per l'erosione, e il cognome era a malapena leggibile. Già, proprio così. Cosa avrebbe pensato il fu signor Trebec della sua casa in rovina? Charles fece il giro della tomba e imboccò di nuovo il sentiero che portava all'abitazione di Henry Roth. Prima di uscire dal cerchio d'alberi, si voltò verso il monumento dedicato a Cass Shelley, visibile oltre uno stretto corridoio di tombe. L'angelo di pietra era rivolto a sud. E Una violenta raffica di vento irruppe fra gli alberi, strappando mazzi di foglie e trascinandole con sé all'altro lato del cimitero. Poi d'improvviso il fruscio dei rami cessò, come se il vento avesse chiuso una porta dietro di sé. L'aria era fredda e immobile. Non si sentivano rumori d'insetti né richiami d'uccelli. Le pietre allungavano le loro ombre, appiattite dalla luce del crepuscolo. Cosa sarebbe stato capace di fare il cugino Max con un'ambientazione del genere! I cimiteri erano un palcoscenico perfetto per un illusionista. Mentre usciva dalla zona alberata, Charles sentì il rumore d'un motore. La sua automobile era parcheggiata nel viale d'accesso della casa di Roth. In giro non si vedevano altre vetture. Si avvicinò alla porta d'ingresso. Il rumore del motore s'interruppe di colpo. Doveva essere molto vicino. Seguì il vialetto che girava intorno alla costruzione, superando un grande pollaio adiacente a un garage vuoto. La stradina lo portò in mezzo a un boschetto. Una vecchia cappella fatta di grandi blocchi grigi appena sgrossati era quasi completamente ricoperta da pesanti rami. Solo gli archi delle finestre e le porte spalancate non erano oscurate dal fogliame. Un grosso blocco di pietra torreggiava sul retro di un pick-up rosso parcheggiato lì accanto. Charles fece il giro del pick-up e salì una breve scalinata. Fermatosi sulla soglia della cappella, sbirciò all'interno. Due ampi lucernari si aprivano nel soffitto. L'interno, sgombro da panche e altri arredi religiosi, era a stento illuminato dalla luce del tramonto, che creava ombre inquietanti. In fondo all'abside, sagome spettrali coperte da teli bianchi formavano un cerchio su una pedana rialzata. Sculture di granito e di marmo erano disposte qua e là, senza un ordine preciso. Molte erano figure alate, apparentemente sul punto di spiccare il volo dalle loro basi non ancora scolpite. Un ometto piccolo, dalle fattezze delicate, danzò in mezzo alla cappella insieme alla statua di una donna. La strana coppia scivolò oltre un lungo tavolo da lavoro, e Charles poté scorgere le rotelle del carrello su cui poggiavano i piedi dell'uomo e la sua partner di pietra. Charles stava per chiamarlo, quando si ricordò che Henry Roth era sordo. Lo raggiunse alle spalle mentre stava sistemando un telo su una statua. Per nulla sorpreso, lo scultore si girò per guardare in faccia l'ospite inatteso. Charles immaginò che avesse avvertito le vibrazioni dei suoi passi sulle assi di legno del pavimento. Lo scultore non era di razza bianca e nemmeno nera. Aveva la pelle dorata, gli occhi color nocciola spruzzati di pagliuzze verdi e i capelli bianchi e ricci. L'espressione del suo volto esprimeva una muta curiosità. Sulle prime Charles gesticolò impacciato. Ma il linguaggio dei segni era stato la sua prima lingua, e nonostante fossero passati vent'anni dalla morte di suo padre non impiegò molto a ritrovare l'antica disinvoltura. Muovendo le mani e scandendo le lettere, gli disse: « L'uomo annuì. Charles mosse ancora le mani. Quando aveva un vuoto di memoria, scandiva le lettere della parola a una a una invece di miniarla in un unico movimento fluido. Ogni tanto faceva un errore, ma in generale se la cavava più che bene. Usando le mani e la mimica facciale, riuscì a descrivere il proprio rapporto con Kathy Mallory, che Henry Roth ricordava con il nome di Kathy Shelley. Sollevava le sopracciglia per esprimere un punto interrogativo quando aveva bisogno di aiuto, stringeva le labbra per significare un punto esclamativo. Solo gli ignoranti pensavano che il linguaggio dei segni fosse un rozzo alfabeto di gesti. Era invece una lingua tridimensionale, molto sofisticata. La mano di Charles scese in picchiata come un falco, poi le dita fluttuarono nello spazio per riassumere la storia che Augusta aveva raccontato a Lilith. Durante la lunga e complicata spiegazione dei fatti, Henry Roth si era dimostrato attento e paziente. Ma quando Charles finì di parlare, fece un gran sorriso e con le mani gli disse: « «Mi spiace.» Charles parlò ad alta voce, stavolta. «Non avrei dovuto dare per scontato…» « Quando la conversazione ritornò su Mallory, Charles disse: «Non voglio allarmarla presentandomi così, senza alcun preavviso. Potrebbe pensare che io abbia spifferato qualcosa allo sceriffo». Sicuramente avrebbe «Mi vuole aiutare? Sarebbe disposto ad anticiparle la mia visita e ad assicurarle che Augusta confermerà che mi sto occupando del passaggio testamentario?» Lo scultore usò tutte e due le mani per dirgli che forse l'indomani avrebbe parlato a Mallory, ma solo se lo sceriffo non gli avesse fatto molte domande, cosa piuttosto improbabile. Non gli piaceva l'idea di mentire a un uomo che conosceva da tanti anni. Charles non doveva contare troppo sul suo aiuto. Le mani gli ricaddero inerti lungo i fianchi. Charles abbassò lo sguardo, annuendo deluso. «Capisco.» Certo che capiva. Quell'uomo non lo conosceva neppure. Perché avrebbe dovuto aiutarlo oppure mentire per lui? Henry Roth si strinse nelle spalle per significare che non poteva offrirgli nulla di più. Poi gli disse che aveva del lavoro da fare e doveva portarlo avanti. Charles lo seguì fino alla porta. Dopo aver steso una rampa di metallo pieghevole sopra i gradini, lo scultore avvicinò un carrello al retro del pick-up. Sebbene il carrello avesse delle buone rotelle, Charles immaginò che trasportare il blocco dal veicolo allo studio avrebbe messo a dura prova le forze di quell'omino, non più alto di un metro e cinquanta. In un attimo si tolse la giacca e si arrotolò le maniche della camicia. «Permetta che faccia io.» Henry Roth si fece da parte. Charles fece scivolare il blocco fin sul carrello. Poi, appoggiando la spalla alla pietra, lo spinse lungo il piano inclinato della rampa. Lo scultore lo ringraziò con un sorriso, poi a segni disse: « Poco dopo Roth chiuse la porta e i due uomini si allontanarono dalla cappella per tornare verso la casa. Prima di salutarsi, si diedero appuntamento per la mattina successiva nella piazza del paese; Roth diceva di aver escogitato un modo per evitare lo sceriffo e le sue domande. Charles sali sulla Mercedes e partì. Ripercorse la strada sterrata, girando intorno al cimitero. Vicino al ponte c'era un palo sormontato da una freccia di legno. Tutto quel che restava della scritta era una "y" finale. La freccia misteriosa puntava verso una strada laterale, uno stretto tunnel ricoperto da un fitto intreccio di rami. Un altro cartello affisso su un albero avvertiva di non entrare nella palude nei pressi del Finger Bayou, un fiumiciattolo che correva parallelo alla strada senza nome. L'indicazione per l'Upland Bayou era dipinta di fresco, fissata alle travi metalliche del ponte. Quel secondo corso d'acqua, più ampio, si muoveva lento, fiancheggiato da alberi ricoperti di muschio. Sulla sponda più lontana c'erano case di legno poggiate su zoccoli di mattoni, e piccole barche a fondo piatto ormeggiate a banchine su palafitte. Dopo aver attraversato il ponte, Charles si trovò a un bivio. Alla sua destra c'era la deviazione per la statale, e campi di canna da zucchero a perdita d'occhio. Prese la strada a sinistra, che portava al paese. Sui due lati della Dayborn Avenue i bambini giocavano nei giardini delle case e le finestre si illuminavano a mano a mano che gli inquilini rientravano dal lavoro. A parte il caldo torrido e qualche albero di banane, avrebbe potuto essere qualsiasi angolo d'America. Charles arrivò nella piazza principale e accostò la macchina davanti al Dayborn bed amp; breakfast. Lì c'era tutto quel che gli aveva promesso il depliant: un collage di storia dell'architettura. L'austero edificio georgiano all'estremità della piazza doveva essere il municipio. I muri erano dipinti di verde e la cupola bianca del tetto voleva imitare quella del duomo nella capitale dello Stato. Accanto si allungava una serie di case in mattoni, con l'intonaco viola, rosa, blu e giallo. Il massiccio edificio coloniale che gli stava di fronte era il più vecchio di tutti. Il tetto spiovente del Dayborn bed amp; breakfast aveva cinque abbaini e un comignolo su ogni lato, e le assi di copertura dipinte di scuro scendevano fino alle colonne del portico. Portò le valigie su per le scale e incontrò la padrona di casa, Betty Hale, una donna con i capelli bianchi, dalle forme generose e dal sorriso simpatico. Dopo avergli mostrato la camera, lo ricondusse sul portico. Gli altri ospiti sedevano su delle sedie allineate lungo la ringhiera. Guardavano verso nord con dei binocoli. Betty si tolse dal collo il suo e glielo porse. «Signor Butler, mi spiace tanto che si sia perso la gara serale dei pipistrelli. Ma se si sbriga riuscirà ancora a vedere qualcuno dei perdenti.» Seguì la direzione del suo dito fino alla sommità triangolare della casa di Augusta Trebec, al di sopra degli alberi lontani. Mise a fuoco le lenti e vide tre pipistrelli che volavano oltre il tetto. «Ora guardate sull'altro lato della piazza, sopra l'ufficio dello sceriffo» disse Betty a tutti gli ospiti. Le teste si girarono insieme. «Vedete quella luce che si è appena accesa? Vedete le sbarre alla finestra? È lì che è imprigionata la donna che ha ucciso Babe Laurie, anche se la finestra della sua cella si apre sul vicolo, fra l'ufficio dello sceriffo e la sede dei pompieri.» Diede una pacca sulle spalle a Charles, rivolgendosi solo a lui: «Al cimitero potrà vedere qualcuno che le assomiglia molto. Se vuole domattina c'è la visita guidata; è inclusa nel prezzo della stanza». Sbigottito, Charles afferrò solo in parte quel che diceva Betty Hale riguardo agli orari della colazione e della partenza per la visita. Era ancora più inconcepibile dell'accusa di assassinio. Mallory era diventata un'attrazione turistica. Sprofondò nella seggiola e fissò la finestra illuminata. Restò sul portico a lungo. A notte inoltrata, quando ormai sul bed amp; breakfast era calato il silenzio, Charles era ancora lì. Fissò la luce della finestra di fronte, finché non si spense. |
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